Meina è una ridente cittadina del lago Maggiore, confinante con Arona e sede, da tempo, di molte
ville in cui personaggi importanti hanno trascorso in assoluta riservatezza i loro momenti di riposo,
ma che è stata nel XIX secolo anche un centro industriale di una certa importanza. All’ingresso del
paese, dove una volta sorgeva il porto, c’è un albergo, oggi fatiscente, carico di tristi ricordi: quando
ancora si chiamava “Hotel Meina” ed apparteneva alla famiglia Behar, nel 1943, divenne il luogo in
cui fu compiuta una delle prime stragi di ebrei civili in Italia. L’Hotel Meina era un albergo di
prima qualità: un giardino che dava sul lago, l’imbarcadero dei battelli proprio a due passi, come la
strada statale, una sala da biliardo, una per giocare a carte. Anche la cucina era ottima, tenuto conto
del razionamento. Nel settembre del 1943 gli ospiti erano un centinaio: da quando la Casa editrice
Mondadori, a causa dei bombardamenti, aveva trasferito gli uffici ad Arona, non erano pochi i
dirigenti che vivevano nell’albergo. Con essi, alloggiavano all’Hotel Meina anche alcune famiglie
di ebrei greci fuggiti appena in tempo da Salonicco: la famiglia Fernandez Diaz, composta dal
nonno Dino, da suo figlio Pierre, da sua moglie Liliana e da Jean, Robert e Brachette, i loro figli; la
famiglia Mosseri, composta dai coniugi Marco ed Ester e dal figlio Giacomo Renato e sua moglie
Odette; infine, la famiglia Torres, composta dai coniugi Raoul e Valerie. Arrivava da Salonicco
anche Daniele Modiano, mentre gli altri tre ebrei vittime del razzismo nazista furono Lotte
Froehlich, moglie dello scrittore Mario Mazzucchelli e due dipendenti del negozio milanese di
antiquariato del proprietario dell’albergo, Alberto Be har, che si trovavano a Meina per caso, come
aiutanti tuttofare nell’albergo: Vitale Cori e Vittorio Haim Pompas.
Quando il 15 settembre 1943 le SS si presentarono all’Hotel Meina, andarono a colpo sicuro:
qualcuno li aveva avvisati della presenza di ebrei nell’albergo. Non si trattava di nazisti qualunque:
facevano parte della divisione corazzata Leibstandarte “Adolf Hitler”, di ritorno dalla Russia, erano
soldati spesso giovanissimi, spietati e “specializzati nella strage all’ebreo”. Dopo avere occupato
l’Hotel, ordinarono a tutti gli ospiti di ritirarsi nelle loro camere e poi, individuati gli ebrei, li
portarono all’ultimo piano. Catturarono anche il proprietario e la sua famiglia, ebrei, ma turchi.
Poiché i Behar ospitavano nella loro abitazione meinese, villa Novecento, il console turco (la
Turchia era in quel momento neutrale), questi intervenne per liberarli ed essi, dopo avere pagato
una penale in denaro per avere ospitato degli ebrei, scamparono al massacro, pur divenendone
impotenti testimoni. L’occupazione dell’Hotel durò fino al 23 settembre, una settimana di agonia di
cui tutto il paese fu in qualche modo testimone: una strage che si differenziò dalla altre compiute
sulle rive del Verbano (ad Arona, Baveno, Stresa, Mergozzo, Orta, Pian Nava e Intra), per le quali
si cercò la massima segretezza. Gli ospiti dell’Hotel avevano molti amici a Meina e ad Arona, che
cercarono di mettersi in contatto con loro, di mediare. Ad alcuni fu consesso un lasciapassare e
poterono incontrarli un’ultima volta, pranzare con loro, raccogliere confidenze, alcuni ricevettero
anche gioielli e valori da mettere in salvo. Il 17 settembre il clima era così “disteso” che le SS più
giovani giocarono con i ragazzi Fernandez Diaz. Il giorno seguente, un cupo silenzio e un tangibile
nervosismo presero il posto del rumoroso via vai dei giorni precedenti. In tarda serata due individui
cercarono di allontanare dall’albergo il proprietario, che fu salvato dall’intervento del vice console
turco Dian Danish, che alloggiava in Hotel. Nei giorni successivi la situazione peggiorò. Il 22 fu
vietato agli ebrei di scendere al pianterreno e di passeggiare nel corridoio del quarto piano.
Dovevano restare nelle loro camere e tenere le porte chiuse. Dopo cena, il capitano Krüger
annunciò a voce alta, perché tutti gli ospiti ariani sentissero, che gli ebrei presenti nell’albergo
dovevano essere trasferiti, per ordine del comando delle SS di Baveno, in un campo di
concentramento che distava 150-200 KM da Meina, che i “detenuti” sarebbero stati trasferiti con
un’automobile privata a piccoli gruppi e che per tutto il tempo del trasferimento degli ebrei gli altri
ospiti dovevano restare nella sala da pranzo o, meglio, nelle loro camere, in modo da evitare
qualunque contatto con loro. I primi quattro ad essere prelevati furono Marco ed Ester Mosseri,
Lotte Froehlich, Vitale Cori. Furono fatti salire su una camionetta, non su un’auto privata, che
rientrò in albergo all’una di notte: era passato troppo tempo per un interrogatorio ad Arona, troppo
poco per un trasferimento nel fantomatico campo di concentramento. Il secondo gruppo scelto dalle
SS era composto da due coppie di sposi: i Mosseri e i Fernandez Diaz. Allontanandosi, Marco e
Liliana Fernandez Diaz abbracciarono i tre figli e il nonno. La camionetta, dopo averli caricati, si
allontanò in direzione di Arona. Alle tre del mattino del 23 settembre, le SS tornarono in albergo,
dove si era ballato tutta la notte, forse per occultare il rumore degli spari che Adriana Galliani,
fidanzata di Vittorio Haim Pompas disse poi di avere udito in diversi momenti. Vittorio Haim
Pompas insieme a Daniele Modiano e Raoul e Valerie Torres fu inserito nel terzo gruppo portato
verso Arona. La destinazione dei “detenuti” fu chiara il mattino del 23 settembre. I Tedeschi
avevano portato gli ebrei poco distante, alla Casa Cantoniera in località Pontecchio e dopo averli
fucilati li avevano gettati nel lago con sassi legati al collo per impedirne il riaffioramento, che
puntualmente si verificò e permise agli abitanti di Meina di conoscere la verità. Le SS allora
raggiunsero i cadaveri con una barca e li colpirono con le baionette per affondarli una volta per
tutte. Per tutto il giorno i ragazzi Fernandez Diaz restarono affacciati al terrazzo, chiedendo ai
passanti, che cercavano di rassicurarli, notizie sui loro genitori. Alle 22 furono prelevati con il
nonno: nessuno ebbe dubbi sulla loro sorte, quando la camionetta partì verso Arona.
La strage di Meina è uno degli episodi più terribili dell’occupazione nazista in Italia,
oltre che dei più ignorati. Nel 1968 ad Osnabrück fu celebrato un processo in cui i Behar si costituirono parte civile: due ufficiali furono condannati all’ergastolo, ma nel 1970 una sentenza della Corte suprema
di Berlino cancellò tutto, perché i reati erano da considerare caduti in prescrizione. In Italia non s’è
mai fatto un processo. Nessuno ha pagato per quei sedici morti. Ma c'è chi non ha dimenticato e da
anni racconta la verità: «I giorni di Meina hanno segnato nella mia vita - scrive Becky Behar - un
trauma perenne: non sono più stata la stessa, perché non è il fatto di essere sopravvissuto che ti
può dare pace».
Bibliografia di riferimento:
La strage dimenticata, atti dell’omonimo convegno, Interlinea, Novara, 2003
Enrico Massara, Antologia dell’Antifascismo e della Resistenza Novarese, Novara, 1984
Marco Nozza, Hotel Meina. La prima strage di ebrei in Italia, Mondadori, 1993