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La strage impunita: La strage di piazza della Loggia a Brescia, il 28 maggio 1974

Creato il 04 novembre 2012 da Peppinoimpastatoproject

La strage impunita: La strage di piazza della Loggia a Brescia, il 28 maggio 1974

Manlio Milani, 73 anni, è il presidente dell’associazione dei familiari delle vittime della strage di piazza della Loggia a Brescia. Quel 28 maggio 1974 sua moglie Livia Bottardi, che aveva 32 anni, gli morì tra le braccia. Milani ha atteso invano giustizia. Nessuno è mai stato condannato nonostante una lunga serie di processi: nell’ultimo, tra gli imputati c’era anche Pino Rauti. Assolto sia in primo sia in secondo grado.

Milani, che ricordo ha dell’uomo e imputato Pino Rauti?

«E chi lo ha mai visto? Al processo non è mai venuto. Come tutti gli altri imputati. Ma la sua è stata un’assenza molto più pesante».

Perché?

«Perché Rauti è stato un parlamentare. Un rappresentante dello Stato. E purtroppo abbiamo dovuto constatare che, ancora una volta, chi rappresenta le istituzioni si rifiuta di presenziare a un processo sulle trame di quegli anni. Rauti doveva venire, non fosse altro per smentire le accuse contro di lui».

Secondo lei perché non ha fatto neppure quello? Neppure una presenza per difendersi?

«Credo che l’assenza sia stata significativa del suo modo di rapportarsi con le istituzioni e con i cittadini. D’altra parte stiamo parlando di un uomo che, in un’intervista alla televisione svizzera, disse che “la democrazia è un’infezione dello spirito”».

Da quale cultura veniva Pino Rauti?

«Credo più da quella nazista che da quella fascista. Con un paradosso, però. Rauti provava rancore nei confronti delle democrazie occidentali che avevano sconfitto la Germania di Hitler: ma aveva rapporti con le loro strutture militari e con i loro servizi segreti. Quando Vincenzo Vinciguerra (estremista di destra condannato per la strage di Peteano, ndr) uscì da Ordine nuovo per andare in Avanguardia nazionale, lo fece proprio perché si rese conto che il vertice ordinovista – con Rauti, Maggi e altri personaggi poi coinvolti nelle inchieste sulle stragi – aveva collegamenti con gli apparati militari».

E come spiega questo paradosso? Odiare il blocco occidentale e collaborare con i suoi servizi segreti.

«Rauti era innanzitutto un anticomunista. Per questo non esitò ad allearsi con le detestate democrazie occidentali. Era un’alleanza strategica in funzione anticomunista».

Secondo lei Rauti ha fatto parte di un’organizzazione paramilitare?

«Rauti era al vertice di una struttura occulta. Lo scrive, in una velina inviata ai servizi segreti, la cosiddetta “fonte Tritone”, cioè l’ex estremista di destra Maurizio Tramonte, l’uomo che ha dato il via all’ultimo processo sulla strage di Brescia, quello appunto in cui era coinvolto Rauti. L’8 luglio 1974 Tramonte scrive al servizio segreto militare e cita Rauti come “comandante”».

Al processo, però, è stato assolto.

«Con molte ombre. La sentenza equivale alla vecchia insufficienza di prove. Però guardi, noi stessi, voglio dire noi stessi delle parti civili, eravamo dubbiosi. Tanto è vero che non abbiamo fatto né appello né ricorso in Cassazione contro la sua assoluzione».

Non c’erano elementi chiari?

«No, per la strage di piazza della Loggia non c’erano. Anche per piazza Fontana non c’erano, infatti fu prosciolto anche lì. Credo comunque che lui, per una lunga fase, sia stato al centro di tante vicende. Un punto di riferimento culturale e ideologico per tutto un mondo. Negli anni Sessanta era stato teorico della “guerra a bassa intensità”, che poi è diventata strategia della tensione».

È stato un cattivo maestro?

«Credo che lo si possa dire. Carlo Maria Maggi, che era uno dei suoi uomini, ha sostenuto che le stragi sono uno strumento di lotta politica».

Stiamo parlando però di posizioni di quarant’anni fa. Non sembra aver fatto vita da estremista, negli ultimi decenni.

«Lei vuole chiedermi se si è pentito? Non credo che si sia pentito. Penso solo che a un certo punto si sia chiuso in se stesso. Non è uscito dal rancore e dal senso di rivalsa nei confronti di chi ha sconfitto il nazismo, ma ha lasciato la prima linea per restare su un piano culturale».

Forse un voler cambiare vita?

«Forse. Ma avrebbe potuto contribuire a sviluppare idee diverse, a dare indicazioni diverse alle nuove generazioni. Soprattutto, avrebbe potuto contribuire a fare chiarezza sugli anni più bui della nostra storia. Non ha fatto né la prima né la seconda cosa».

Si è mai fatto vivo con voi?

«Mai. Non una lettera, non una telefonata. Neanche per dire “guardate che non sono stato io”. È la cultura di chi disprezza i rapporti con gli altri».

Che cosa si porta Rauti nella tomba, o nell’aldilà?

«Tanti misteri, tanti segreti. Tante spiegazioni che l’Italia aspetta da troppi anni».

fonte la stampa.it articolo-intervista di Michele Brambilla Milano 3.11.2012

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