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Ieri, a Ballarò, Paolo Mieli, come se aprisse una innocente parentesi: "La recessione e la stagnazione verificatesi nella prima metà del secolo scorso furono superate grazie - è brutto dirlo - al secondo conflitto mondiale. La ricostruzione promosse nuove energie e sviluppo". Queste più o meno le sue parole. Ma perché "è brutto dirlo"? Il punto è se sia vero o falso. E perché nessuno dei partecipanti replica alcunché all'affermazione "provocatoria" di Mieli? Io direi che la diagnosi era corretta. "Quello" sviluppo fu possibile grazie alla carneficina e alle distruzioni immani della guerra. Egualmente molti parassiti si ingrassano e si moltiplicano grazie ai cadaveri: più cadaveri più vita. E allora quale ipocrita reticenza ci impedisce di auspicare un nuovo conflitto? Ah, le fabbriche aperte giorno e notte a produrre armi! Ah, la domanda di forza lavoro! Ah, i disoccupati, gli inoccupati "scoraggiati" finalmente al lavoro! Niente più suicidi di lavoratori e imprenditori! Solo qualche milione di assassinati, solo tonnellate di macerie e città distrutte che dovranno essere ricostruite. Una pacchia, oltre che per i fabbricanti d'armi, per medici, infermieri, industriali e artigiani di cofani funebri, becchini, ma anche i genere imprenditori e lavoratori. No, non si può dire, non si può auspicare. Si può dire solo dopo, a devastazione avvenuta: "Beh, tutto sommato quell'Hitler, sarà pure stato un criminale, però, senza volere, quanto bene ha fatto!". Non credo proprio di caricaturizzare l'affermazione di Mieli assolutamente condivisa da tanti storici ed economisti. Sola differenza: questi ultimi non ne parlano nei talk show; ne scrivono per pochi dotti lettori o ne parlano in dotti convegni, naturalmente senza nominare parole come "strage" o come "sangue". Si dice di "ricostruzione" conseguente a un evento; in tale "narrazione" la carne e la sofferenza non devono essere nominati. Certo si potrebbe citare il concetto vichiano di "eterogenesi dei fini". I risultati sono difformi e talvolta opposti rispetto all'intenzione degli uomini. Allora la tesi di Mieli può apparire innocente, come se dicesse: "è capitato che una intenzione malvagia, la distruzione e il sangue, senza che nessuno lo attendesse, producessero bene e sviluppo". Una mera costatazione da storico? Non credo, visto come di fatto è condivisa da tanti studiosi dell'economia oltre che storici, studiosi interessati a conoscere il dato per replicarlo, qualora sembrasse utile. Il significato inespribile per pudore è che quel massacro e il conseguente rilancio potremmo replicarlo, se volessimo. Nei secoli scorsi erano il bisogno, l'ambizione, la contesa, la follia a scatenare la guerra e, coerentemente con l'eterogenesi dei fini, benefici non programmati potevano verificarsi. "Graecia capta ferum vincitorem caepit" (I romani vollero conquistare la Grecia che li conquistò). I colonialisti invadevano territori africani e facevano strage di resistenti, a scopo di dominio e ricchezza. Il beneficio non programmato era lo sviluppo e la "civilizzazione" indotti in quelle terre che creavano le premesse per il mondo globalizzato. Ormai sappiamo e non possiamo fingere di non sapere. Domani potrebbero essere tutto programmato ed essere gli economisti a decidere una bella guerra, a tavolino. Non so se ai popoli sarà concesso saperlo. "Sapete? Abbiamo bisogno di rilanciare l'economia. Domani dichiariamo guerra alla Germania. La Merkel è d'accordo". Forse per un po' di tempo sarà necessario inventare una scusa, una provocazione, un conflitto ideale. Poi sarà tutto più limpido. Pensiamoci un po'. Come nella buona fantascienza, l'incubo futuro è già presente nella sua sostanza concettuale. La distruzione già oggi è intesa motore dell'economia. Il tabu è la guerra (quella fra occidentali almeno), non la devastazione ambientale che è comunque guerra all'uomo passando per la natura. In un paese in cui esistono milioni di case inutilizzate, il precedente capo del governo pensava di rilanciare l'economia consentendo l'apertura di un vano, un terrazzino, facendo incontrare i piccoli bisogni del cittadino, in conflitto naturale con i bisogni collettivi, con le ragioni dell'economia che pretende lo scempio perché sviluppo e occupazione siano. Per ragioni che non so pare invece che sia infantile, non scientifico, etc. pensare che gli uomini semplicemente decidano insieme se costruire o abbattere case (non con la guerra, ma con le ruspe, non per il bene dell'economia ma per quello degli uomini). Marx diceva che era questa la differenza fra l'uomo e l'ape: la volontà/capacità dell'uomo di progettare la sua opera. Ma Marx è superato. Sarà riscoperto fra qualche secolo. Insomma mi sarebbe piaciuto che qualcuno replicasse a Mieli. Mi piacerebbe che qualcuno mi convincesse che non c'è altra strada che la distruzione, per salvare l'economia, l'occupazione, la felicità degli uomini. Qualora riuscisse a convincermi, chiederei di scendere, sceglierei un altro pianeta dove vigano altre leggi economiche. .
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