La strana coppia Fini/Bossi. Mr. B in minoranza, non ci posso credere!
Creato il 18 giugno 2010 da Massimoconsorti
@massimoconsorti
Domenica prossima, come ogni anno, si terrà la Missa Solemnis del “popolo verde” (non gli ecologisti ma i leghisti) a Pontida. Quello sarà l’unico giorno in cui, dopo il Mattinale alle sorgenti del Po, i seguaci di Odino rinnoveranno la loro professione catartica di fede nella Padania anche se gli storici, supportati dai geografi, hanno dimostrato che non esiste. Il Druido capo, al secolo Umberto Bossi, aveva in tasca un discorso che avrebbe fatto raggiungere l’orgasmo perfino a Calderoli ma che, a causa degli ennesimi provvedimenti di legge pro Silvio, sarà costretto a riservare per un altro momento. Non se la sentirà, l’Umberto, di rivolgersi al suo popolo dicendo: “Vi chiedo scusa, ma avendo dovuto mettere ancora una pezza al rapporto di Silvio con la magistratura, del federalismo ne parleremo la prossima puntata”. Sono anni che l’Umberto sta lì lì per dare il trionfale annuncio ma poi succede che quella parolina magica, in grado di eccitare anche l’ottantenne cummenda malato di Alzheimer, gli resta in gola. Per colmo di sfortuna, la conferenza delle Regioni (incazzate nere con Tremonti per i tagli), gli ha detto chiaro e tondo: “Caro Umberto, il federalismo è a rischio”, mentre anche il bassotto poliziotto Roberto Maroni, pressato a destra e a manca da tutte le forze dell’ordine, gli ha fatto sommessamente notare che se passasse il ddl sulle intercettazioni così com’è “metà delle inchieste di mafia salterebbero”. A questo punto l’Umberto è sbottato. Lui, che ha impostato, oltre che sul federalismo, sulla sicurezza la sua campagna elettorale ha dato fuori di testa. Quel vecchio volpino allievo e discepolo di Giorgio Almirante, che risponde al nome di Gianfranco Fini, e che di mestiere fa il Presidente della Camera, si deve essere immediatamente reso conto dell’aria che tira nella Lega e, da attore consumato, ha preso il telefono e chiamato il Bossi che aveva appena dato l’ennesimo scappellotto al Trota non sapendo con chi prendersela. “Senti Umbertino – sembra gli abbia detto – ma tu il testo del ddl varato dal Senato lo hai letto bene?”. Sapendo che “leggere” nel caso di Umberto Bossi è usare una parola grossa, Fini ha proseguito consigliandogli: “fattelo leggere”. In quel momento, come per incanto, al Druido si sono chiarite le idee. Già pressato da tutte le parti, messo nell’impossibilità di dare il “lieto annuncio” della nascita del federalismo, a Bossi sono tornati in mente i quasi quaranta provvedimenti di legge presi a favore del suo Socio e si è detto: “Basta. Silvio si dii (non è un refuso), una calmata”. È nata così una strana alleanza, quella fra Fini e Bossi che ha messo per la prima volta in minoranza il Capo all’interno del suo stesso governo, per la felicità di Bersani al quale, profetizzando un “Vietnam” per Berlusconi, non è sembrato vero di averne azzeccata una.“Se Napolitano non firma il ddl, sarà un casino”, ha detto Bossi sapendo che già il gruppo dei giuristi del Quirinale, ha formulato tre rilievi sul testo approvato al Senato. Berlusconi, che non avrebbe voluto nessuna modifica al ddl si è ritrovato, così, drammaticamente solo. SilvioIl ha commesso un grandissimo errore. Basandosi ancora una volta sul suo presunto potere assoluto, ha preteso la corsia preferenziale anche per il ddl sulle intercettazioni, ponendo in secondo piano tutto il resto, manovra economica compresa, che è poi il motivo per cui è scoppiata la rivolta delle Regioni. Ma il Capo ha tutte le “sue” ragioni. Se il ddl passasse così com’è lui si troverebbe fuori da un’altra serie di guai giudiziari nei quali incappa a volte senza volerlo, tanta è l’abitudine a procurarseli. Non ultimo quello del regalo di Natale del 2005 che è bene ricordare. Nelle elezioni di Aprile di quell’anno, 11 regioni su 13 andarono al centro sinistra. Berlusconi sembrava finito. Gesù Bambino, indossate le vesti del duo Favata-Raffaelli, consegna proprio la notte di Natale, a Silvio, un nastro con su registrata la voce di Fassino che chiede a Consorte: “Allora abbiamo una banca?”. Il 27 dicembre quelle registrazioni finirono sul Giornale, diretto allora da Maurizio Belpietro e Berlusconi, a giugno, riuscì quasi a ribaltare il voto delle politiche. A far cadere il governo Prodi provvidero comunque Dini e Mastella (con Veltroni). Berlusconi, dopo la consegna dei nastri per la modica cifra di 300mila euro, congedò i suoi benefattori con un “Grazie, la mia famiglia vi sarà grata in eterno”, sul quale oggi Di Pietro vuole vederci chiaro chiedendo l’istituzione di una Commissione Parlamentare d’inchiesta. Di Pietro vuole sapere se “è vero o no che il presidente del consiglio ha avuto modo di ascoltare una registrazione illegalmente acquisita e illecitamente pubblicata sul giornale di suo fratello e non ha fatto nulla”. Fatto salvo che il risvolto penale della vicenda è al vaglio della Procura della Repubblica, resta il giudizio politico che solo una commissione parlamentare d’inchiesta potrà pronunciare. “Per l’impeachment a Nixon – ha detto ancora Di Pietro – è bastato molto meno”. Chi di intercettazioni ferisce…
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