La strategia dell’Iran

Creato il 13 maggio 2012 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR

Per secoli, il dilemma dell’Iran (precedentemente, della Persia) è stato quello di garantire la sopravvivenza e l’autonomia nazionale di fronte a potenze regionali come la Turchia ottomana e l’Impero russo. Sebbene l’Iran sia sempre stato più debole di questi vasti imperi, è sopravvissuto per tre motivi: geografia, risorse e diplomazia. Le dimensioni e il suolo montuoso dell’Iran hanno reso le incursioni militari nella regione difficili e pericolose. L’Iran è stato inoltre capace di mettere in campo sufficienti forze per fermare gli attacchi, pur permettendo occasionali asserzioni di potere. Allo stesso tempo, Tehran si è impegnata in abili lavori diplomatici, mettendo una contro l’altra le potenze che la minacciavano.

Nel XIX secolo l’intrusione delle potenze imperiali europee nella regione aggravò le difficoltà dell’Iran, insieme allo stanziarsi della potenza britannica a occidente dell’Iran e nella Penisola Arabica alla fine della Prima Guerra mondiale. Ciò venne a coincidere con una trasformazione dell’economia globale verso un sistema basato sul petrolio. Oggi come ieri, la regione è una grande fonte per il petrolio mondiale. Con l’emergere del petrolio come fondamento della potenza industriale e militare, gli interessi britannici alla regione – già presenti – diventarono di prim’ordine. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, gli americani e i sovietici sono diventate le potenze straniere con la capacità e il desiderio di influenzare la regione, ma la realtà strategica di base di Tehran ha tenuto duro. L’Iran ha affrontato minacce regionali e mondiali da cui si è dovuto o scostare o adeguarsi. La potenza mondiale non poteva perdere interesse a causa del petrolio, tanto meno le potenze regionali che non avevano altre possibilità.
Sia sotto il governo dallo Scià che degli Ayatollah, la strategia dell’Iran è rimasta la stessa: bloccato dalla geografia, protetto dalle forze difensive e occupato in complesse manovre diplomatiche. Ma sotto questa realtà, si è sempre nascosta un’altra visione del ruolo dell’Iran.

L’Iran potenza regionale

L’Iran – paese con una posizione essenzialmente difensiva – ha ancora un’immagine di potenza regionale. Lo Scià ha rivaleggiato con l’Arabia Saudita in Oman e ha sognato armi nucleari. Ahmadinejad duella con l’Arabia Saudita in Bahrein, e sogna anch’egli le armi nucleari. Guardando al di là della retorica – cosa che dovremmo sempre fare quando si studia la politica estera, poiché la retorica si propone di intimidire, corrompere e confondere le potenze straniere e l’opinione pubblica – dobbiamo vedere una sostanziale continuità della strategia dell’Iran a partire dalla Seconda Guerra Mondiale.

Dalla Seconda Guerra Mondiale l’Iran ha dovuto affrontare pericoli regionali come l’Iraq, con il quale ha combattuto una guerra brutale durata per quasi un decennio, costata all’Iran circa 1 milione di vittime. Ha dovuto affrontare anche gli Stati Uniti, i quali attraverso il loro potere hanno ridefinito gli schemi nella regione. Finché gli Stati Uniti hanno avuto un forte interesse nella regione, l’Iran non aveva scelta se non quella di delineare la sua politica in funzione degli Stati Uniti. Per lo Scià ciò significava piegarsi agli Stati Uniti provando allo stesso tempo a controllare abilmente le loro azioni. Per la Repubblica Islamica, significava opporsi agli Stati Uniti provando a manipolarli con azioni a favore degli interessi iraniani. Entrambi hanno agito utilizzando la tradizionale sagacia della strategia iranica.

La Repubblica Islamica ha avuto più successo dello Scià, conducendo, prima della guerra irachena nel 2003, una campagna di disinformazione sofisticata per convincere gli Stati Uniti che invadere l’Iraq sarebbe stato semplice dal punto di vista militare e che gli iracheni avrebbero accettato gli statunitensi a braccia aperte. Alimentato il desiderio nordamericano da tale convinzione, è diventato uno dei tanti fattori che fecero sembrare l’invasione attuabile. In una seconda fase, gli iraniani hanno aiutato molte fazioni irachene nella resistenza agli USA, trasformando l’occupazione – e i progetti statunitensi di ricostruzione dell’Iraq – in un incubo. In una terza e ultima fase, l’Iran ha usato la sua influenza in Iraq per dividere e paralizzare il paese dopo il ritiro degli americani.

Queste manovre hanno portato l’Iran a raggiungere due obiettivi: innanzitutto, gli americani hanno deposto l’acerrimo nemico dell’Iran, Saddam Hussein, azzoppando strategicamente l’Iraq. Inoltre l’Iran ha aiutato a costringere gli Stati Uniti a uscire dall’Iraq, creando un vuoto nel paese e minacciando la credibilità statunitense nella regione, diminuendo qualsiasi appetito degli Stati Uniti per ulteriori avventure militari nel Medio Oriente. Voglio sottolineare il fatto che tutto ciò non è stato un complotto iraniano. Molti altri fattori hanno contribuito a questa sequenza di eventi. Allo stesso tempo, le manovre iraniane non rappresentano un dato di minore importanza in questo processo; l’Iran ha approfittato abilmente degli eventi che si erano creati da sé.

C’era un argomento difensivo in tutto questo. L’Iran si era visto accerchiato man a mano che gli Stati Uniti invadevano i paesi circostanti, l’Iraq a ovest e l’Afghanistan a est. Gli Stati Uniti furono valutati come estremamente pericolosi e imprevedibili fino all’irragionevolezza, ciononostante in grado di essere manipolati. Tehran, quindi, non poteva scartare la possibilità che gli Stati Uniti avrebbero scelto di attaccare l‘Iran. L’espulsione degli Stati Uniti dall’Iraq, comunque, limitò le possibilità militari americane nella regione.

Questa strategia aveva anche una dimensione offensiva. La ritirata nordamericana dall’Iraq predispone l’Iran a colmare quel vuoto. La geopolitica della regione aveva creato, probabilmente per la prima volta dopo secoli, un’apertura cruciale per l’Iran. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica che premeva da nord e dopo il crollo ottomano successivo alla Prima Guerra Mondiale, per l’Iran non c’era più una potenza regionale che si presentasse come una sfida. Secondo, con la riduzione delle forze statunitensi nel Golfo persico e in Afghanistan, la potenza mondiale ha limitate possibilità militari e per di più ha limitate opzioni politiche per contrastare l’Iran.

L’opportunità dell’Iran

Ora l’Iran ha avuto l’opportunità di comportarsi da potenza regionale, piuttosto che perseguire unicamente le complesse manovre per proteggere l’autonomia del paese e del regime. Gli iraniani hanno capito che l’inclinazione delle potenze mondiali (ed in primis degli USA) cambiava imprevedibilmente. Hanno quindi compreso che più aggressivi sarebbe diventati, più gli Stati Uniti avrebbero potuto impegnarsi militarmente per contenere l’Iran. Allo stesso tempo, sapevano che gli Stati Uniti l’avrebbero attaccato anche senza una possibile azione iraniana. Di conseguenza, l’Iran cercò una strategia che avrebbe potuto solidificare la sua influenza regionale senza innescare ritorsioni statunitensi.

Chiunque studiando gli Stati Uniti intuisce il suo interesse nelle armi nucleari. Lungo tutta la Guerra Fredda è rimasta nell’ombra di un primo colpo sovietico. L’amministrazione Bush ha usato l’eventualità di un programma nucleare iracheno per raccogliere approvazioni nazionali per l’invasione. Quando i sovietici e i cinesi ottennero delle armi nucleari, la risposta americana ha rasentato il panico e allo stesso tempo l’approccio degli Stati Uniti è diventato più cauto con questi paesi.

Guardando alla Corea del Nord, gli Iraniani hanno riconosciuto un modello che avrebbero potuto usare a loro vantaggio. La sopravvivenza del regime in Nord Corea, un paese di non molto rilievo, rimase incerta lungo tutto il decennio degli anni ’90. Quando il Nord Corea intraprese un programma nucleare, gli Stati Uniti si focalizzarono su di esso, diventando più cauti nell’approcciarsi al paese. Venne usata un’enorme attività diplomatica e un aiuto sistematico per fare in modo di limitare il programma nord coreano. Dal punto di vista della Nord Corea, la questione non era l’acquisizione di armi nucleari utilizzabili; il Nord Corea non era una potenza importante come Cina e Russia e una valutazione errata da parte di Pyongyang poteva portare a ulteriori aggressioni americane. Piuttosto, sviluppare armi nucleari di per se accrebbe l’importanza del Nord Corea, spingendo gli Stati Uniti a offrire incentivi o a imporre sanzioni economiche relativamente inefficaci (e quindi evitando un’ulteriore pericolosa azione militare). Il Nord Corea è diventato un punto cardine nell’interesse americano così che gli Stati Uniti hanno evitato azioni che avrebbero potuto destabilizzare il Nord Corea e far perdere il controllo delle sue armi nucleari.

I nord coreani sapevano che tenere delle armi nucleari utilizzabili sarebbe risultato pericoloso ma che avere un programma nucleare gli avrebbe dato potere – una lezione che gli iraniani hanno appreso bene. Dal punto di vista iraniano, un programma nucleare fa sì che gli Stati Uniti li prendano più seriamente aumentando la loro circospezione nei confronti dell’Iran. Al momento, gli Stati Uniti sono a capo di un gruppo di paesi più o meno propensi a imporre sanzioni che impauriscono gli iraniani poiché potrebbero affliggere la loro l’economia. Eppure gli Stati Uniti non vorrebbero prendere questa decisione.

Israele deve avere un diverso punto di vista riguardo al programma nucleare iraniano. Il programma potrebbe rappresentare una minaccia per Israele, più che per gli Stati Uniti. Il problema degli israeliani è dover avere fiducia nella loro intelligence riguardo allo sviluppo dell’arsenale nucleare iraniano. Gli Stati Uniti possono permettersi un errore di calcolo, ma non Israele. Questa mancanza di certezze rende Israele imprevedibile. Dal punto di vista iraniano, comunque, un attacco israeliano potrebbe essere benvenuto.

L’Iran non possiede armi nucleari e potrebbe seguire la strategia della Nord Corea non sviluppando mai armi utilizzabili. Comunque, se le avessero e gli israeliani le attaccassero e distruggessero, gli iraniani si ritroverebbero al punto di partenza, così come erano prima dell’acquisizione delle armi nucleari. Ma se gli israeliani attaccassero senza eliminarle, gli iraniani ne uscirebbero più forti e potrebbero reagire nello Stretto di Hormuz. Gli Stati Uniti, che ultimamente sono il garante del flusso marittimo di petrolio, potrebbero impegnarsi militarmente contro l’Iran o negoziare per garantire il flusso. Al di là del risultato, un attacco israeliano porrebbe la base per delle azioni iraniane che minaccerebbero l’economia mondiale, dipingendo Israele come il cattivo e portando gli Stati Uniti, spinti dalle potenze europee e asiatiche, a garantire il flusso di petrolio mediante concessioni diplomatiche piuttosto che azioni militari. L’esito positivo o negativo di un attacco israeliano costerebbe poco all’Iran e creerebbe opportunità sostanziali. Dal mio punto di vista, gli iraniani vogliono un programma, non armi. Con un attacco da parte di Israele il programma soddisferebbe a pieno gli interessi dell’Iran.
L’opzione nucleare rientra nella categoria della manipolazione iraniana di potenze regionali e mondiali, da tempo una necessità storica per l’Iran. Ma un altro e molto più importante evento è in corso in Siria.

L’importanza della Siria per l’Iran

Come abbiamo scritto, se il regime siriano sopravvivesse, sarebbe in parte dovuto al supporto iraniano. Isolata dal resto del mondo, la Siria dipenderà presto dall’Iran. Se questo avvenisse, la sfera d’influenza iraniana si estenderebbe dall’Afghanistan occidentale fino a Beirut. Ciò comporterebbe un fondamentale cambiamento nell’equilibrio del potere in Medio Oriente, esaudendo così il sogno dell’Iran di diventare la potenza regionale dominante nel Golfo Persico e oltre. Questo era il sogno dello Scià e lo è degli Ayatollah, ed è il motivo per cui gli Stati Uniti sono attualmente così ossessionati dalla Siria.

A cosa gioverebbe una tale sfera d’influenza agli iraniani? In primo luogo, costringerebbe la potenza mondiale, gli Stati Uniti, ad abbandonare l’idea di distruggere l’Iran, poiché la sua estesa influenza produrrebbe risultati imprevedibili e pericolosi. In secondo luogo, legittimerebbe il regime in Iran e nella regione più di quanto non sia legittimo al momento. In terzo luogo, con propri agenti lungo il confine settentrionale dell’Arabia Saudita con l’Iraq e la costa occidentale del Golfo Persico, l’Iran potrebbe cambiare radicalmente la distribuzione finanziaria dei proventi petroliferi. Affaccendati a preservare il regime, l’Arabia Saudita e gli altri Stati del Golfo persico dovrebbero essere a dir poco flessibili di fronte alle richieste dell’Iran. Deviare quel denaro all’Iran lo rafforzerebbe molto.

L’Iran ha applicato la sua strategia sotto diversi regimi e varie ideologie. Lo Scià, da molti considerato psicologicamente instabile e megalomane, ha perseguito questa strategia con moderazione e attenzione. L’attuale regime, considerato anch’esso psicologicamente e ideologicamente instabile, è stato limitato nelle sue azioni. La retorica e l’ideologia possono essere fuorvianti e solitamente vengono utilizzate proprio a tale scopo.

Questa strategia a lungo termine, perseguita a partire dal XVI secolo con la rinascita del nazionalismo persiano nella forma dell’Impero safavide, vede adesso uno spiraglio per un’opportunità d’apertura, progettata in qualche misura dallo stesso Iran. L’obiettivo di Tehran è quello di estendere la paralisi americana sfruttando le opportunità date dal ritiro delle forze americane dall’Iraq. Allo stesso tempo, vuole creare una coerente sfera d’influenza a cui gli Stati Uniti dovranno conformarsi per soddisfare la richiesta della loro coalizione per mantenere uno stabile rifornimento di petrolio, limitando così i conflitti nella regione.

L’Iran persegue una strategia su due fronti: il primo è quello di evitare mosse improvvise, permettendo ai processi di seguire il loro corso. Il secondo è quello di creare un diversivo tramite il programma nucleare per indurre gli Stati Uniti a replicare in Iran la politica attuata in Nord Corea. Se il programma causasse un attacco aereo israeliano, l’Iran potrebbe comunque trarne vantaggio. Gli iraniani hanno capito che possedere armi nucleari è pericoloso ma vantaggioso. Ma la chiave non è il programma nucleare. Esso è un mero strumento per distogliere l’attenzione da ciò che sta attualmente succedendo – uno spostamento degli equilibri di potere in Medio Oriente.

(Traduzione dall’inglese di Simone Catania)


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