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La strategia dello “stato islamico” nella provincia irachena di al-anbar

Creato il 17 febbraio 2016 da Eurasia @eurasiarivista
:::: :::: 17 febbraio, 2016 ::::  

di Giorgia Pilar Giorgi

Negli ultimi mesi il sedicente “Stato Islamico” ha portato a termine uno dei suoi progetti più ambiziosi, ossia la conquista della provincia occidentale irachena di al-Anbar. Storico bastione della confederazione tribale Dulaimi, che in passato ha sostenuto il regime di Saddam Hussein in cambio di una relativa autonomia nella gestione delle rotte commerciali verso l’occidente, la provincia costituisce poco meno di un terzo dell’intero territorio iracheno, estendendosi dai sobborghi di Baghdad fino al confine con la Siria, la Giordania e l’Arabia Saudita. L’ultimo baluardo della provincia a cadere nelle mani dei miliziani dello “Stato Islamico” è stato il suo capoluogo, Ramadi, una città di oltre 480.000 abitanti, per la maggior parte sunniti, che si è arresa lo scorso 20 maggio dopo quarantott’ore d’intensi combattimenti, aprendo così la strada ad una possibile offensiva gihadista verso la capitale Baghdad, distante appena un centinaio di chilometri.

La conquista del capoluogo di al-Anbar rappresenta la più grande vittoria dello “Stato Islamico” negli ultimi mesi. Infatti, da quando la coalizione internazionale capeggiata dagli Stati Uniti ha iniziato i bombardamenti, i miliziani non hanno mai riportato vittorie così importanti; anzi, hanno perso il controllo di Tikrit, liberata dall’Esercito regolare iracheno con l’aiuto delle milizie iraniane e dell’aviazione americana. La presa di Ramadi, inoltre, dimostra tutta la vitalità della minaccia del sedicente Califfato e smentisce le indiscrezioni sulle presunte difficoltà di al-Baghdadi di restare alla guida del gruppo a causa di supposti problemi di salute.

La provincia di Anbar è storicamente una delle zone del territorio iracheno più difficili da controllare, sia per via della sua imponente estensione sia per la presenza, in vari momenti della storia, di numerose fazioni armate che hanno spesso messo a rischio la sua stabilità. Una di queste è l’Esercito Islamico in Iraq, un’organizzazione militare di matrice islamico-nazionalista a maggioranza sunnita, nata in seguito al crollo del regime di Saddam Hussein e avente l’obiettivo di liberare l’Iraq dall’occupazione americana. Oggi la stabilità della regione è nuovamente compromessa dalla capacità dello “Stato Islamico” di allearsi con le realtà tribali locali ostili al governo a maggioranza sciita di Baghdad e di cooperare con le realtà paramilitari locali, come l’Esercito degli Uomini dell’Ordine Naqshbandi, (in arabo “Jaysh Rijal al-Tariqah al-Naqshabandiyya” – JRTN), una formazione baathista che, fin dalla caduta del regime di Saddam Hussein, ha animato l’insorgenza sunnita; il suo capo, Izzat Ibrahim al-Douri, ex vice del Rais, è stato ucciso in un’incursione della coalizione internazionale lo scorso aprile.

L’avvicinamento tra il fronte gihadista e l’insorgenza sunnita rappresenta un cambio di tendenza rispetto agli anni 2005-2007, quando formazioni di ex miliziani sunniti hanno collaborato con il governo centrale e con gli Stati Uniti per combattere al-Qaeda in Iraq, gruppo da cui poi ha preso vita lo “Stato Islamico”. In quegli anni, l’allora capo delle forze armate Usa in Iraq, David Petraeus, promosse i cosiddetti “Consigli del risveglio”, gruppi di ex insorti sunniti nati nella zona di Ramadi per contrastare la presenza gihadista nella regione. La collaborazione americana con i “Consigli del Risveglio” e le comunità tribali ha permesso, sia pure per un breve periodo, di migliorare la situazione interna al Paese, finché l’ex Premier Mailki, dopo aver vinto le elezioni nel 2009, ha deciso di emarginare i “Consigli del Risveglio” e ostacolare l’assorbimento degli ex ribelli nell’amministrazione pubblica.

Da quando l’esperimento dei “Consigli del Risveglio” è stato abbandonato, la stabilità del Paese è stata fortemente compromessa da un quadro settario sempre più frammentato che non ha permesso di organizzare un fronte comune contro le minacce alla stabilità. Questa situazione è stata aggravata dalla scarsa preparazione e dall’inaffidabilità dell’Esercito iracheno, che si è spesso sottratto ai propri doveri, ritirandosi di fronte all’avanzare della minaccia gihadista. Quando i miliziani del sedicente “Califfato” sono giunti alle porte di Ramadi, i soldati di Baghdad si sono ritirati dalla città, aprendo così la strada ai gihadisti, i quali hanno assalito il carcere militare della città e liberato decine di terroristi. L’inefficienza dell’Esercito è imputabile anche alla mancanza di lealtà al governo centrale, che spesso non ha pagato gli stipendi delle truppe schierate a Ramadi, costringendo il dipartimento locale a chiedere finanziamenti a famiglie del posto e a ricchi uomini d’affari.

Nella tattica di Baghdad per cercare di riprendere Ramadi, fin dalle prime ore è apparso prioritario l’utilizzo delle milizie sciite, gruppi armati iracheni formatisi per combattere lo “Stato Islamico” e appoggiate dalle Forze Qods iraniane. Tale scelta, sostenuta dal Premier iracheno sciita al-Abadi, è stata fortemente criticata dal Presidente americano Barack Obama. La convinzione dominante nel Dipartimento di Stato americano è che, prima di pensare a qualunque controffensiva, sia necessario riorganizzare l’Esercito e aumentare gli sforzi per riqualificarlo. A tal proposito, negli ambienti militari americani si sta riflettendo sul modo in cui migliorare l’addestramento e l’equipaggiamento delle tribù locali sunnite. Ai fini dell’addestramento, le forze statunitensi hanno deciso di utilizzare una nuova base nella provincia di Anbar, quella di al-Taqqadum, vicino alla città di Habbaniyah. È previsto, inoltre, l’invio di 450 nuovi addestratori sul territorio, a sostegno delle truppe irachene e delle forze tribali, alle quali dovranno unirsi, con tutta probabilità, altri 125 addestratori inviati dal governo del Regno Unito. L’obiettivo è di creare una forza capace di riprendere Ramadi, il cui numero di unità dovrebbe raggiungere i 10.000 uomini. Inoltre, il governo statunitense ed alcuni suoi governi europei, tra cui quello italiano, hanno annunciato l’intenzione di contribuire alla ricostruzione della polizia irachena.

In definitiva, l’episodio di Ramadi dimostra la capacità dello “Stato Islamico” di insinuarsi nelle fratture dello Stato e il tentativo di sostituirvisi dove esso dimostra di essere assente e di disattendere le promesse fatte ai suoi cittadini. Lo “Stato islamico” è una realtà parastatale che è riuscita a sfruttare il frammentario panorama tribale iracheno a proprio vantaggio, seducendo le tribù sunnite che da anni si sentono emarginate dalle scelte politiche del governo sciita di Baghdad. Di conseguenza, la sconfitta dello “Stato Islamico” non può prescindere dall’individuazione di quelle cause che hanno permesso al gruppo terrorista di cooptare le esigenze e le rivendicazioni delle tribù locali asservendole al proprio progetto.

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Tagged as: Giorgia Pilar Giorgi, Iraq, Isis, Mediterraneo, Stato islamico, vicino oriente

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