In occasione del XXI anniversario della dichiarazione di indipendenza della Repubblica del Kazakhstan, lo scorso 16 dicembre il presidente Nursultan Nazarbayev ha tenuto il tradizionale discorso d’indirizzo politico durante le cerimonie di celebrazione per la ricorrenza. La data ha un significato molto preciso per il Paese centrasiatico, non soltanto perché sancisce l’importanza di essersi smarcato da quanto restava dell’Unione Sovietica di Mikhail Gorbačëv ma anche e soprattutto perché ha gettato le basi per la rinascita di un territorio dalle vastissime potenzialità economiche e strategiche, dopo cinque anni di disordini ed instabilità interna. Fu proprio la rivolta scoppiata nel 1986, in seguito alla decisione del Cremlino di imporre il russo etnico Gennadij Kolbin ai vertici del governo nazionale di Almaty, ad avviare una serie di proteste passate alla storia con il nome di Jeltoqsan, un termine che riassume ancora oggi tutta la portata simbolica dell’incapacità politica di una classe dirigente corrotta ed estranea agli interessi nazionali e sociali dei popoli sovietici. Il caotico impianto legislativo messo in piedi attraverso le politiche di perestrojka e glasnost’ si rivelò chiaramente essere un insieme di strumenti degenerati e distorti, mascherati dalla falsa intenzione di riformare la base economica e politica del sistema socialista in modo apparentemente analogo a quanto sperimentato nella Repubblica Popolare Cinese a partire dal 1979 attraverso le politiche di riforma e apertura introdotte dal presidente Deng Xiaoping. In realtà, il sedicente riformismo sovietico non aveva niente in comune con il concreto e pragmatico riformismo cinese, ed il suo prodotto storico fu un inevitabile meccanismo di distruzione e disgregazione dello Stato. Qualche anno fa, Vladimir Putin ha sostenuto che il crollo dell’Unione Sovietica ha rappresentato la più grande catastrofe geopolitica del XX secolo. Tuttavia, ciò non basta a spiegare la consistenza di quella fase drammatica che mise in discussione tutto, finanche il diritto all’esistenza delle popolazioni, come messo perfettamente in evidenza durante gli anni in cui Boris Eltsin occupava la carica più alta della neonata Federazione Russa. Nel 1992, il Kazakhstan viveva dunque una situazione ambivalente: da un lato l’indipendenza da Mosca ed una certa continuità rispetto alla classe dirigente locale dell’era sovietica garantivano la stabilità politica, ma dall’altro l’improvvisa deflagrazione dell’Unione metteva a dura prova la sicurezza militare, economica e sociale di una repubblica indipendente troppo giovane per essere esposta ai rischi dei mercati e del terrorismo di matrice etnica e/o religiosa.
In cinque anni, il presidente Nazarbayev raccolse intorno a sé una squadra di collaboratori affidabile e pronta a rilanciare l’economia nazionale verso le nuove sfide imposte dai tempi e dai ritmi della storia, spostando la sede del potere politico centrale nella nuova capitale Astana, una città sorta quasi dal nulla nel cuore della Steppa. Il risultato di quella prima fase della ricostruzione del Paese fu la pubblicazione di un programma trentennale, suddiviso in tre fasi di sviluppo comprese tra il 2000 e il 2030. La dottrina adottata dallo Stato prese così il nome di Kazakhstan-2030 e delineò le linee generali che la giovane repubblica indipendente avrebbe dovuto seguire per ripristinare quella solidità economica ormai perduta, nel quadro del nuovo contesto geopolitico e geoeconomico. Facendo leva sui suoi primati energetici e sul mercato petrolifero, il Kazakhstan iniziò a depositare ingenti capitali nelle casse dello Stato per garantire al Paese una solida copertura finanziaria, finalizzata a fronteggiare qualsiasi crisi di portata globale. Questa scelta si è dimostrata vincente proprio negli ultimi quattro anni, quando i disastri provocati dai più importanti colossi finanziari degli Stati Uniti hanno messo a repentaglio la stabilità sociale delle economie di tutto il mondo. In quello stesso periodo, gli indicatori economici del Kazakhstan hanno registrato un netto calo del tasso di disoccupazione che, grazie anche ai programmi di protezione sociale, nel periodo 1998-2010 è sceso dal 14% al 5,5%, ed un evidente aumento del PIL, cresciuto del 254% circa nel periodo 1999-2010. Attraverso questa accorta combinazione tra l’impianto “statalista” ereditato dalla prassi sovietica e l’apertura agli investimenti stranieri, l’economia kazaka è oggi una fra le più dinamiche nello spazio postsovietico e costituisce indubitabilmente un modello di riferimento per tutti gli altri Paesi dell’Asia Centrale. Le vaste dimensioni geografiche e le enormi potenzialità minerarie hanno evidentemente il loro peso nel successo politico ed economico della dottrina politica pensata dal presidente Nazarbayev, tuttavia la forte instabilità che caratterizza la regione ed i fattori di rischio legati alle attività del terrorismo internazionale hanno messo più volte a repentaglio i pilastri della sicurezza collettiva (già menzionati nelle dottrine difensive sin qui adottate dal governo kazako), tanto più dinnanzi al fallimento della strategia globale messa in atto dagli Stati Uniti e dalla NATO all’indomani dell’Undici Settembre. La multivettorialità in politica estera pensata negli anni Novanta ha così lasciato il posto ad una decisa trama geopolitica di reintegrazione eurasiatica, che vede il Kazakhstan impegnato in prima linea nel quadro dei principali organismi intergovernativi guidati dal Cremlino: l’Organizzazione per il Trattato sulla Sicurezza Collettiva (CSTO) e la Comunità Economica Eurasiatica (EurAsEC) hanno dunque dato il via ad una notevole intensificazione dei rapporti multilaterali nell’alveo della CSI, impossibile fino a pochi anni prima a causa dell’instabilità politica ed economica della Russia di Eltsin. Il progetto più importante nato in seno all’EurAsEC, ma che avrà evidenti ripercussioni di carattere difensivo e strategico anche nel quadro della CSTO, è senz’altro quello che entro due anni dovrebbe dar vita all’Unione Eurasiatica, un nuovo e più solido spazio economico, politico e militare comune tra Russia, Kazakhstan, Bielorussia, Kirghizistan e Tagikistan (e forse anche Ucraina, Armenia e Moldavia). Il passo intermedio compiuto nel 2010 è rappresentato dall’unificazione dello spazio doganale dei territori nazionali russo, bielorusso e kazako: una trasformazione che, seppur seminale, ha già notevolmente favorito gli investimenti e gli scambi commerciali tra questi tre Paesi.
Alla luce dei risultati raggiunti e consapevole dei rischi che ogni sfida comporta, il presidente Nazarbayev ha così colto l’occasione delle celebrazioni per l’anniversario dell’indipendenza per introdurre ufficialmente al Paese la strategia Kazakhstan-2050. Sin dal nome essa evidenzia l’intento di sviluppare tutto ciò che è stato fin’ora raggiunto e quanto dovrà essere realizzato da qui al 2030, per proiettare la nazione verso il futuro. In questa nuova dottrina, Nazarbayev ribadisce l’importanza dei processi di liberalizzazione economica nei settori dell’industria leggera e del terziario, la necessità di diversificare l’indotto per evitare che la produzione nazionale si fossilizzi sul mercato delle materie prime, la funzionalità di una crescente capacità di attrarre investimento dall’estero, il carattere essenziale della stabilità sociale e del miglioramento del livello di vita dei cittadini. A tal proposito Nazarbayev richiama i pilastri costituzionali dell’unità nazionale e dell’integrità territoriale, appellandosi – come suo solito – ad un patriottismo che sappia farsi garante e rappresentante di una stabile coesistenza tra i 140 gruppi etnici e i 17 gruppi religiosi principali presenti nel Paese (il 55% della popolazione è di fede islamica sunnita, il 40% di fede cristiana, per lo più ortodossa, mentre il restante 5% si suddivide tra buddhismo, sciamanesimo e altre religioni minori). Come dimostrato dal successo riscosso durante l’ultimo Congresso dei Capi delle Religioni Tradizionali Mondiali tenutosi ad Astana nel 2012, il Kazakhstan, forte della sua plurisecolare coesione interculturale, intende farsi promotore internazionale del dialogo tra il Cristianesimo e l’Islam nel tentativo di costituire un fronte mondiale di nazioni che sappiano contrapporsi alla logica dello scontro tra civiltà preconizzato negli anni Novanta dai teorici del “New American Century”.
L’integrazione eurasiatica coinvolge dunque la dimensione culturale e quella economica in un insieme inscindibile di progetti e di proposte che da un lato inseguono un tentativo di modernizzazione sostenibile dei Paesi islamici meno sviluppati sul piano tecnico e industriale, mentre dall’altro invitano l’Europa, la Russia e la Cina ad intensificare i reciproci rapporti in un quadro di ritrovata multipolarità eurasiatica. Il Kazakhstan, infatti, ha ormai quasi completato i lavori per la realizzazione della tratta centrale della grande arteria autostradale continentale, considerata ai livelli di una “Nuova Via della Seta”, che nel prossimo futuro potrebbe collegare la Regione Autonoma Uigura cinese dello Xinjiang con l’Europa occidentale: in soli tre anni il governo ha consegnato al Paese circa 2.700 chilometri di strada, ai quali Russia e Ucraina dovranno aggiungere altre tratte per potersi raccordare con il territorio dell’Unione Europea. L’armonia sociale richiamata esplicitamente da Nazarbayev nel suo recente discorso, dunque, non riguarda soltanto la stabilità interetnica ed interreligiosa su scala nazionale e continentale, ma coinvolge chiaramente anche le condizioni economiche della popolazione nazionale e dei popoli del mondo in generale, appalesando più di un’analogia con la teoria della “società armoniosa” (héxié shèhuì) introdotta nello Statuto del Partito Comunista Cinese dal presidente Hu Jintao tra il 2005 e il 2007.
In questo senso, sul piano interno il presidente kazako ha ricordato l’incremento demografico registrato negli ultimi quindici anni, l’aumento dell’aspettativa media di vita, la crescita delle possibilità di accesso nell’ambito scolastico e formativo, la costruzione di 942 scuole e 758 ospedali, il netto aumento del salario mensile medio e nuovi programmi previdenziali, sottolineando l’importanza di un accorto bilanciamento tra le politiche indirizzate alla sicurezza collettiva (sociale, politica ed economica) e le riforme finalizzate all’apertura e ad una particolare liberalizzazione economica che Nazarbayev, a differenza dei politici occidentali, continua a considerare uno strumento, e non un traguardo, teso all’avanzamento collettivo e allo sviluppo sociale del popolo, proprio come avvenuto in Cina attraverso il recupero in chiave economica della teoria confuciana della “modesta prosperità comune” (xiǎokāng), introdotta da Deng Xiaoping nel 1980.
Sul piano della politica internazionale, Nazarbayev ha invece sintetizzato in dieci punti principali le sfide globali che attendono il Paese:
- Accelerare il corso della storia attraverso la promozione della pace e del benessere internazionale
- Risolvere i problemi legati allo squilibrio demografico globale e alle grandi migrazioni di massa
- Rispondere con sollecitudine alle questioni relative alla sicurezza alimentare promuovendo nuovi piani di sviluppo dell’agricoltura e dell’allevamento nelle aree più indigenti.
- Individuare soluzioni adeguate alla domanda idrica nel mondo, stabilendo un piano di riconversione dei bacini acquiferi.
- Diversificare le fonti di approvvigionamento energetico, considerando prossima al tramonto l’era in cui l’economia era dominata in via quasi esclusiva dal mercato degli idrocarburi
- Porre seriamente la questione dell’esaurimento delle risorse naturali
- Considerare le innovazioni introdotte dalla nanotecnologia, dalla robotica e da molti altri settori hi-tech come il possibile avvio di una Terza Rivoluzione Industriale
- Rafforzare la stabilità sociale in un mondo dove anche le economie più avanzate stanno pagando il trasferimento della crisi dal piano economico-finanziario a quello politico-sociale.
- Combattere l’influenza culturale esercitata dalle teorie geopolitiche relative alla “fine della storia” e allo “scontro di civiltà”, attraverso la promozione del dialogo interculturale.
- Prepararsi ad una possibile nuova destabilizzazione globale in campo economico che, qualora conducesse alla recessione anche un solo Paese membro dell’Unione Europea, avrebbe effetti nocivi sulle economie emergenti come il Kazakhstan.
Nel 2050, secondo il presidente Nazarbayev, il Kazakhstan sarà ormai da tempo uno dei primi trenta Stati al mondo in termini di stabilità ed affidabilità economica e sociale. La nuova classe dirigente che assumerà le redini del Paese dovrà dunque trovare solide fondamenta politiche sulle quali continuare a costruire il futuro della nazione. Le parole-chiave sembrano dunque essere modernizzazione, democratizzazione e sostenibilità a tutti i livelli: nei tre settori principali dell’economia, nella nuova industrializzazione “mirata”, nell’ambito del settore Ricerca&Sviluppo e delle nuove tecnologie, nell’opera di diversificazione economica dell’indotto complessivo, nel quadro della legislazione fiscale e della lotta alla corruzione, nella formazione scolastica e universitaria, nello sviluppo umano e della donna in particolare, nella tutela dei minori e dei diritti della persona, nella salvaguardia dei costumi e delle tradizioni indigene, nella costruzione di una nuova intelligentia nazionale capace di neutralizzare le minacce di quelle che Nazarbayev definisce forze ostili che hanno interesse a distruggere l’unità e l’integrità del Paese, attraverso l’estremismo, il radicalismo ed il terrorismo. Decisivo, dunque, sarà il ruolo che Astana ricopre nel quadro dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, assieme a Russia, Cina, Uzbekistan, Kirghizistan e Tagikistan.
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