Una porta interamente ricoperta di occhi. Un viso umano dal quale spunta una lingua biforcuta. Un astronauta alto 10 metri che fluttua sulla facciata di un palazzo. Sono solo alcuni esempi di street art che si possono notare passeggiando per le strade di Berlino. La città è colma di muri ciechi, cicatrici dei bombardamenti alleati, che sono diventate gigantesche tele a disposizione degli artisti urbani. La profusione di graffiti, collage e stencils che ricoprono i muri della città è tale che si ha quasi l’impressione di essere in un museo a cielo aperto. Tutto è cominciato alla fine degli anni ’70, nella Berlino Ovest, quando il muro che divideva la città divenne un manifesto politico dell’assurdità di quella separazione. Poi, dopo la riunificazione, fu l’entusiasmo per la libertà ritrovata ad assumere la forma di graffiti colorati, che invasero i quartieri della vecchia Berlino Est per mano di artisti nati e cresciuti nel settore sovietico.
Ora, dopo più di vent’anni, i tempi sono profondamente cambiati, e l’arte urbana, sensibile al mutamento storico, si è rivelata essere sismografia in immagini, come una sorta di storiografia inconscia della città stessa. Le nuove leve della scena berlinese confermano infatti quella che è stata una tendenza rintracciabile nel corso di tutti gli anni ’00: l’arte urbana non vuole più essere veicolo di un messaggio politico. In questo senso, anche il collocamento spaziale delle opere è mutato. Se ai tempi della DDR i writers utilizzavano il muro per garantire la massima visibilità possibile alle loro opere, un artista contemporaneo come Alias opera in senso opposto. I suoi stencils, caratterizzati da un’abilità tecnica senza eguali nella scena, appaiono in luoghi nascosti, dando vita ad un rapporto intimo con il fruitore. Don’t tell anyone è appunto lo slogan con il quale Alias ha firmato uno dei suoi lavori più famosi, un ragazzo che tiene un dito davanti alla bocca intimando il silenzio. Non è certo un caso che la firma di questo artista sia una figura incappucciata, con il viso coperto dalle mani o completamente privo di volto: bisogna restare anonimi se si vuole conservare un’identità, che non può tuttavia essere politica. A volte sono gli stessi writers a rifiutare un tipo di analisi che si azzardi a rintracciare nelle loro opere un contenuto di critica sociale. E’ il caso di Xoooox, artista urbano molto noto a Berlino, il quale disegna tramite stencils splendide modelle su muri fatiscenti. A chi vedeva in questa operazione una critica al mondo della moda, egli ha candidamente risposto che il suo intento era abbellire quei muri tramite le immagini di ragazze avvenenti.
Questa è la nuova prassi dell’arte urbana, le cui migliori proposte saranno presentate nell’ambito di Stroke, il più importante festival di street art tedesca, che quest’anno vede la città di Monaco ospitare la sua sesta edizione a partire dal 3 Maggio. Le aspettative, in questo senso, riguardano una conferma del disimpegno: nell’arte urbana tedesca non sono rintracciabili né la veemenza delle incursioni urbane che caratterizzavano gli albori del graffitismo americano, né la militanza degli artisti che operano nei paesi della primavera araba. In Germania si cerca, da un lato, il virtuosismo tecnico, ed in questo senso il festival ospiterà per la prima volta nella sua storia una sezione interamente dedicata all’arte digitale. Dall’altro, si persegue la creatività in quanto momento ludico, pura espressione disinteressata, senza dimenticare di guardare al mercato con un occhio di riguardo. Questo è infatti l’altro grande mutamento nel mondo della street art contemporanea: la sua commercializzazione.
Negli ultimi anni, a Berlino, si sono viste nascere vere e proprie gallerie d’arte specializzate in arte urbana, che dal canto suo ha accettato di buon grado i corteggiamenti provenienti dal mainstream. Gli artisti organizzano mostre, vendono opere ai galleristi e, salvo alcune eccezioni, il loro anonimato è diventato più una questione di stile che una pratica effettivamente volta a proteggere la loro identità. Una situazione impensabile fino alla fine degli anni ’90, quando l’arte urbana era ancora concepibile come espressione rabbiosa di un forte disagio sociale. Certo ci sono alcuni artisti contemporanei che restano fedeli alla tradizione, come Mein lieber prost. I suoi volti stilizzati, spesso accompagnati da slogan che invitano a deridere passanti e turisti, sono pensati proprio per essere disegnati, con rapidi movimenti, in luoghi dove i graffiti sono illegali, con l’intento di utilizzare un luogo simbolico per attirare l’attenzione del pubblico. Ma qui in Germania si ha l’impressione che tali pratiche assomiglino ormai a vestigia di un tempo passato, sicuramente glorioso ma dal quale ci si sta inesorabilmente allontanando.
Questo articolo è stato pubblicato a pagina 26 de “La Lettura” (inserto culturale del Corriere della Sera) di Domenica 25 Marzo. Riproduzione riservata.