la successione

Creato il 29 gennaio 2015 da Plus1gmt

Il retrogusto dell’intruglio mi ricorda il sapore del caffè delle macchinette aziendali in trasferta. Ogni ufficio ha i suoi parametri di accettabilità di un prodotto artificiale come quello, e malgrado certe ampie scelte (moccaccino, cioccocaffè, marocchino alla nocciola eccetera) che si trovano talvolta a cui segue un’invidia prematura nei confronti dei benefit negli altrui posti di lavoro, già al primo sorso si finisce per rimpiangere gli standard a cui si è abituati, come se le papille e tutti gli altri organi del gusto si fossero adagiate sull’abitudinarietà degli input trasmessi al cervello.

Il che è una maledizione bella e buona perché quando invece si tratta di una moka, una di quelle usate sulle stufe in ghisa a legna di campagna come quella con cui è stato preparato il caffè che ho appena bevuto, subentra il pregiudizio culturale. Ah, finalmente una sensazione genuina, siamo portati ad ammettere noi di città. Balle. In certe zone rurali italiane ci sono ancora tetti in amianto e nessuno si cura di differenziare la spazzatura, per dire. Ci sono antenne telefoniche che solo a guardarle ci si riempie di radiazioni e non venitemi a dire che chi lavora la terra poi si lava le mani come nei vestiboli delle sale operatorie che si vedono nei telefilm prima di preparare i pasti ai propri bambini. Comunque la signora che mi ha offerto il caffé è stata per molto tempo un vescovo dei testimoni di geova, malgrado questo dettaglio è una donna di cuore di cui ricordo anche i suoi digestivi artigianali a base di genziana. Chiudo lo scanning del mio stato d’animo chiedendomi quale potrebbe essere l’effetto di una buona sigaretta – magari una Winston pacchetto morbido come quelle che fumavo da ragazzino solo perché la marca compariva nel testo di Fly on a Windshield / Broadway Melody dei Genesis – ma se già ho la bocca impastata così, con tabacco e nicotina il disagio potrebbe solo che peggiorare.

Così sulle colline di fronte mi spiccio a capire l’esatta posizione del bosco di nostra proprietà mentre il geometra che sa tutto della zone mi indica i punti di riferimento. Un albero a fianco un di un albero sopra un altro albero che è proprio sotto a quell’albero là. Chiaro no? Ma non è la prima volta che mi succede. Mio papà me l’ha fatto vedere decine di volte ma non ho mai capito e, per non complicare spiegazioni già difficili, facevo finta di sì. Mi diceva che quel bosco faceva parte della nostra proprietà, ma io invece vedevo solo una specie di montagna verde tutta uguale e probabilmente è così e certe sottigliezze come i confini catatali li distinguono solo i diretti interessati. Il guaio è che adesso una parte di quello che il geometra – che a tutti gli effetti ha l’alito di caffè addirittura peggiore del mio – mi indica sollecitandomi a seguire il suo braccio teso è mia, come prevede la successione in caso di decesso, e non dico che dovrei prendermene cura ma almeno sapere di cosa si tratta. Roba talmente di scarso valore e inutilizzabile che forse faccio meglio a regalarla al comune, non siamo in una di quelle storie americane in cui ci sono le grosse aziende petrolifere che si mettono in fila per offrirti miliardi. Qui solo terra povera per cavoli e patate e boschi in cui la maggiore ricchezza sono i funghi, per chi ha voglia di cercarseli spaventando i numerosi cinghiali che scorrazzano in giro.

Distolgo lo sguardo imponendomi di distrarmi ma faccio lo stesso in tempo a rammaricarmi della leggerezza con cui ho sempre trattato la questione. Da giovani sono i propri genitori che si fanno carico di certe cose e i genitori, si sa, non muoiono mai.



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