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La sveglia al collo

Creato il 17 maggio 2012 da Albertocapece

La sveglia al colloLa ministra Cancellieri, oltre ad avere la delega allo stato di paura, interviene anche sull’immigrazione e ha intenzione di bloccare i flussi: “la situazione economica è drammatica, non abbiamo molta offerta di occupazione”. Certo stupisce che non partecipi all’otttimismo del suo primo ministro che parla di crescita come affetto da priapismo economico, ma in definitiva questa non è altro che la logica in cui si muove il liberismo in Europa a cominciare dall’Italia dove da tempo si è sulla buona strada: quella di trasformare i cittadini in immigrati per i quali il lavoro ha meno diritti, con una cittadinanza ridotta, disponibili per necessità ai lavori, malpagati, incerti, poco sindacalizzati ed  estranei a qualsiasi speranza sociale. L’esercito degli stranieri in patria è pronto a prendere il posto degli stranieri tout court.

Questa però  non è una malvagità specifica dei filobanchieri  al governo: è solo più facile attuarla in un Paese che assomiglia più alla Grecia che alla Francia e dove lo spirito di casta attenua qualsiasi sensibilità sociale, rende naturale l’indifferenza e il cinismo. Però tutto questo è nella logica delle cose, è l’altra faccia della medaglia di non saprei quale sostanza del liberismo finanziario: se il denaro può creare denaro esso diventa la fonte ultima del valore spodestando il lavoro come generatore unico e fondamentale di ricchezza e persino di capitale come plus valore della produzione.

Questo è il senso finale del neo liberismo, quello stesso per il quale tutte le ricette ideate e imposte per fare fronte alla crisi non si occupano della domanda, ma solo dell’offerta. Visto che alla fine, la crisi, depurata dalle bolle e dai depistaggi, è una crisi di sovrapproduzione e di domanda scarsa, i rimedi si rivelano a prima vista ottusi e controproducenti. In realtà essi corrispondono da una parte alla marginalizzazione del lavoro come creazione di ricchezza che invece viene ricercato nella scommessa continua di mercati che trattano quantità di denaro di gran lunga superiori a quello dei beni effettivi,  dell’altra al tentativo di ridurre il valore residuale del lavoro, ovvero la sua valenza sociale e per estensione politica.

La ricattabilità che segue alla dissoluzione dei diritti e che diventa tanto maggiore quanto più sono modeste le retribuzioni, la capacità di suscitare guerre tra poveri,  l’appello continuato a un egoismo personale che è statisticamente perdente fin dall’inizio, sono gli strumenti attraverso i quali si cerca di eliminare l’antagonista principale che è appunto il lavoro. E qui non mi riferisco direttamente alla lotta di classe già in crisi dopo la decadenza della “fabbrica”, ma ad ogni tipo di lavoro ormai visto come “costo” e non come la base di creazione di qualsiasi tipo di valore. Il denaro è ormai al centro di questa nefasta illusione.

Quindi non c’è affatto da stupirsi della volontà di impoverire e di sbarazzarsi dello Stato che nella sua funzione di redistribuzione è visto come un ostacolo, se non quando collabora attivamente alla propria distruzione. Ecco perché questa crisi da qualunque parte la si guardi non può essere considerata come ciclica. Non tanto per la sua  gravità inusuale, ma per la posta in gioco: denaro contro lavoro, sfruttamento contro diritti, democrazia contro oligarchia. Sembra mancare lo spazio per quelle vie mediane che furono il cammino europeo del dopoguerra: il tentativo di equilibrare capitale e lavoro. Il capitale non essendo più essenzialmente produttivo è passato dall’accumulazione alla creazione e non tollera compromessi.

Ecco perché, finito il dominio incontrastato dell’Occidente, si devono cercare nuove colonie. E visto che la terra è finita, anzi piccola, anzi raggrinzita, si tenta di ricrearle in casa, raccontando le vecchie favole della mano invisibile, della concorrenza, dello stato minimo al servizio della finanza, dunque piccolo, ma occhiuto e feroce, del buon egoismo, della separatezza, del lavoro come concessione, della mercificazione globale. E man mano, mentre si distribuiscono perline e specchietti, ci metteranno la sveglia al collo per la gioia di buana Monti. A meno che quella sveglia non serva a svegliarci.


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