Magazine Cultura

La Svolta dei Blastema: «Stavolta Volevamo Pugni nello Stomaco»

Creato il 20 novembre 2012 da Dietrolequinte @DlqMagazine
La Svolta dei Blastema: «Stavolta Volevamo Pugni nello Stomaco»

È uscito il 16 ottobre Lo stato in cui sono stato, il secondo album dei Blastema. La rock band di Forlì lo ha presentato presso le Librerie Feltrinelli di Milano, eseguendo un set acustico che ha preceduto un’esibizione elettrica all’Auditorium Demetrio Stratos degli studi di Radio Popolare. Il gruppo sta riscuotendo sempre più consensi, alimentati anche dai singoli Synthami e Tira fuori le spine (un consiglio: vederne il video, perché merita), oltre che dall’attuale programmazione in radio di Dopo il due. Si può dire che i Blastema rappresentino la risposta alle esigenze – che sono forti e sentite, nel pubblico italiano amante del genere – di un rock che sappia creare, innovare ed emozionare mantenendo sempre una preziosa e rara onestà. Dopo il live unplugged alla Feltrinelli, e prima di quello elettrico in radio, abbiamo fatto una chiacchierata con Matteo Casadei, voce e autore dei testi, e Alberto Nanni, che ha aggiunto al suo ruolo di chitarrista anche la veste di produttore.

Un paio di anni fa in un’intervista all’Heineken Jammin’ Festival avevate detto scherzosamente che speravate che la musica vi facesse uscire dalle fabbriche in cui lavoravate. Come siamo messi adesso?

Matteo: «Siamo messi che siamo ancora nelle fabbriche, ma vista la situazione attuale non speriamo più di uscirne perché altrimenti resteremmo disoccupati! (ride NdR) Ma in realtà è un discorso ancora più importante, perché sembra che la gente debba fuggire da una vita che non vuole, invece è tutt’altro: io penso che ogni esperienza ti segni al punto di crearti, plasmarti. Non avremmo potuto fare questo disco se non avessimo fatto le vite che facciamo. A volte ho paura che far diventare tutto più facile probabilmente potrebbe smussare gli angoli di quella parte creativa forte che molto spesso viene dalla necessità di doverlo fare. In quanto a stimoli e motivazioni, noi ci troviamo direi nella terra di mezzo, in cui a fatica riusciamo ora a gestire gli impegni che precedentemente abbiamo preso, quelli lavorativi, ma che ci sono necessari perché ancora non abbiamo la garanzia di quello che sarà. Alberto fa un altro tipo di mestiere, ma ti confermerà la situazione».

Alberto: «Io faccio il tecnico audio, e nei ritagli di tempo porto avanti altri progetti, ma mi dedico principalmente al gruppo, con le problematiche che ne conseguono: quindi una precarietà maggiore ma che grossomodo è la situazione di tutti».

M: «Ma io trovo anche molto divertente quando ci troviamo a pagare il caffè e non abbiamo i soldi!».

A: «Esatto!».

M: «E dobbiamo fare la colletta… Questa è l’indigenza!».

A: «Il nuovo disco è così onesto che credo sia prezioso anche per questo, perché non è che la situazione sia iperfavorevole… e ci siamo trovati a fare quello che volevamo e dovevamo fare, ed è uscito e siamo contenti, pur con le difficoltà che sono inevitabili».

una immagine di Blastema Alberto Nanni e Matteo Casadei 620x413 su La Svolta dei Blastema: «Stavolta Volevamo Pugni nello Stomaco»

Infatti, mi domandavo quale fosse il background di vita che porta poi alla creazione di album come i vostri. Soprattutto nei testi ci sono atmosfere che hanno a che fare sia con un bagaglio che è assolutamente poetico, letterario, sia con esperienze di vita che comunque sono molto intense, nonostante magari ci possa essere invece una situazione familiare relativamente tranquilla alle spalle. Quindi sarebbe interessante collegare questo con il discorso che facevi sugli stimoli e sulla necessità di fare certi tipi di esperienze per creare qualcosa di forte, sentito…

M: «Io non credo che ci siano vite tranquille. Penso che ci siano vite sopite, vite mascherate, dove la tranquillità è una facciata, perché ogni persona, ogni personalità ha bisogno di determinati stimoli e se li va a prendere. Noi ci dedichiamo completamente a vivere, a pensare, a stare con le persone, a fare quello che dobbiamo fare… Perché in realtà, come diceva John Wayne, un uomo fa quello che deve fare… È così: non puoi smettere di esistere perché reputi che ci siano delle cose doverose. Devi fare esattamente quello che ti porta a fare la tua esistenza, quello che ti porta a scoprire e a non stare in ammollo nel brodo che molto spesso ti ricopre. Poi la qualità, o forse la caratteristica, degli scrittori è che molto spesso sono dei bugiardi che vivono le vite degli altri, o vivono le proprie e le mistificano, oppure vivono delle situazioni e quando le vivono veramente non sanno descriverle e devono farlo attraverso un espediente che è la scrittura, che è la musica. E quindi dov’è la verità dei fatti? È nel momento in cui riesci a scrivere, a trasmettere esattamente quello che volevi fare. Farlo in musica è doppiamente difficile, perché anche se tu citavi un background poetico, lì bisognerebbe mettere in causa delle nozioni molto molto complesse, anche se stimolanti… ma quando fai musica devi scordarti di fare poesia, nel senso che stai facendo musica, quindi devi sacrificare qualcosa, e nel momento in cui la sacrifichi, sai che lo stai facendo… Magari qualcuno una volta ti dirà: “Questa cosa è banale, questa cosa è scontata”, ma tu sai perché l’hai fatto».

Però tante volte la poesia a te viene fuori lo stesso, eccome!

M: «Viene fuori perché ci sono tanti sacrifici che dall’esterno non si riescono a cogliere, perché è facile magari scrivere in maniera sconclusionata, però se fai un determinato tipo di musica, una musica come la nostra è la cosa più difficile da fare in Italia, perché… puoi fare dell’indie, puoi scrivere quello che ti pare, puoi musicarlo come ti pare e ritmarlo come ti pare. Poi ci metti sopra quello che vuoi… Ma fare questo è come suonare con un’orchestra, e in un’orchestra non fai tutto quello che vuoi».

Cosa nasce prima: testo, musica, li mescolate insieme?

M: «Nasce prima la componente musicale, sempre».

A: «E poi si seguono costantemente le modifiche che avvengono man mano».

una immagine di Blastema Live Feltrinelli Milano Foto di Fabrizio Bini 620x465 su La Svolta dei Blastema: «Stavolta Volevamo Pugni nello Stomaco»

Matteo, c’è qualche nome che vorresti fare fra i tuoi riferimenti che magari emergono solo a livello inconscio ma che possono aver plasmato la tua sensibilità?

M: «Pensa che a volte purtroppo mi capita che io ascolti una cosa che per gli altri è inascoltabile, ma quella cosa mi plasma, dopodiché cerco di farla mia. Comunque ultimamente mi sono “innamorato” di Maria Antonietta, una cantante che scrive in un modo che mi piace molto».

È curioso che nello stesso anno in cui i Litfiba hanno pubblicato Grande nazione, riferendosi quindi in maniera esplicita allo Stato, affrontato in modo politico-sociale, voi siate usciti con Lo stato in cui sono stato, in cui c’è questa molteplicità di significati per la parola “stato”. Quindi rispetto a un approccio palesemente rivolto alla condizione di nazione intesa come “Stato e popolo”, in voi anche l’osservazione dello stato si riflette ed è filtrata molto più tramite l’individuo, e quindi per mezzo della prima persona. Quindi mi interessava capire quanto in realtà questa sfumatura della parola “stato” abbia in realtà un po’ più a che fare con lo stato inteso come “la condizione in cui mi sono trovato”.

M: «Penso che la tua analisi sia perfetta, non c’è altro da aggiungere, perché è proprio così. Perché hai sempre due modi per approcciarti alla situazione: in terza persona o in prima persona. Con la terza persona, viene fuori una narrativa, stai raccontando un’esperienza in una maniera esterna, meno coinvolta, ed è un modo più analitico. Però probabilmente non è il nostro, perché per fare una cosa del genere devi essere incredibilmente preparato, ma soprattutto non vogliamo travestirci da rivoluzionari. Non m’interessa far vedere che anche io penso ciò che pensa qualcun altro. Allora invece cerchiamo di dare un senso molto più personale a ciò che viviamo e vediamo».

Possiamo dire che questo nuovo disco sia un po’ più rock del primo? E comunque, avete notato voi stessi delle differenze o punti in comune salienti, magari dal punto di vista tecnico?

A: «Beh sì, abbiamo notato delle differenze, è senza dubbio un disco che si evolve rispetto al precedente… dici solo cose giuste».

Oh, che bello!

M: «Si vede che hai fatto un buon ascolto!».

Beh, l’ho fatto volentierissimo! Siamo ai primi ascolti e già posso dire che l’album mi piace anche più del primo.

M: «Anche a noi! Ma vedo che molti li stiamo lasciando indietro, invece, perché si aspettavano sempre queste cavalcate progressive, questi pianoforti, questi cambi d’ambiente, e invece noi volevamo pugni nello stomaco, stavolta».

una immagine di Blastema Live Radio Popolare Foto di Fabrizio Bini 620x465 su La Svolta dei Blastema: «Stavolta Volevamo Pugni nello Stomaco»

Confesso che mi fa piacere quello che state dicendo perché, anche sul rapporto fra il primo e il secondo disco, concordo con la vostra opinione. E amo quest’idea dei pugni nello stomaco, è una definizione che anche io do sempre alla musica che ti dà la botta più forte.

M: «Comunque sui suoni Alberto ha fatto un lavoro…».

Certo, infatti si sente: davvero chapeau!

A: «No, dai!».

No? Sì!

A: «No, hanno fatto un lavorone tutti quanti, anche la sezione ritmica e le tastiere».

Assolutamente, infatti arriva il turno di tutti, per i complimenti su questo disco! Ma per voi è vero che il secondo album è il più difficile da fare? È stato più difficile del primo?

A: «Sono tutti difficilissimi, c’è una rinascita continua. Poi è sempre una vita diversa, non ricordo nemmeno più in quante maniere era stato difficile il primo».

M: «In molte!».

A: «Questo lo è stato in altre maniere rispetto al primo, e chissà il prossimo quali difficoltà avrà!».

In che anno collochereste la vostra effettiva data di nascita come gruppo?

M: «Per me è da riferire fra il 1997 e il 1998, perché ci “corteggiavamo” fra di noi: suonavamo in gruppi diversi ma ognuno andava a vedere le prove dell’altro, perché volevamo suonare insieme! Quindi direi che come gruppo siamo effettivamente nati nel ’98».

Sbaglio o ancora nessuno vi ha chiesto il perché del vostro nome?

M: «Sì, è vero, non lo abbiamo ancora spiegato per bene! Stavamo cercando un nome che potesse contenere un umore, al di là del nome e del suono che volevamo intraprendere… ma in realtà ancora non sapevamo a cosa ci trovavamo di fronte. Immagina dei ragazzini concitati che si trovano sui banchi di scuola a suonare insieme e alla fine si dicono: “Come ci chiamiamo?”. Ci piacevano tanto i Nirvana, ci piacevano i Marlene, i Placebo, quindi per il nome avevamo una cadenza ben chiara in testa: ci piaceva il femminino, perché l’idea del femminile all’interno della parola ci interessava… apriva degli ambiti, in un certo senso. Ma non volevamo neanche essere troppo “rosei”, soft. Quindi abbiamo cercato un nome che fosse il più cupo possibile e che finisse per A. E allora, sfogliando il dizionario ci è capitato sott’occhio questo nome, blastema, che lì per lì non sapevamo nemmeno cosa volesse dire. Però è diventato interessante nel corso degli anni, io lo dico sempre, perché era esattamente… è stato lui che ha scelto noi, fondamentalmente, perché noi ci siamo ritrovati a dover gestire questo nome…».

Elevato…

M: «Esatto, era quasi un doverlo giustificare, ma questo nome nel significato vero che propone ci somigliava sempre più, perché la caratteristica di rigenerarsi, andare avanti, di creare tutto quello che era necessario allo svolgimento della nostra funzione musicale, era esattamente quello che era contenuto nella parola. Poi etimologicamente significa semplicemente “germoglio”, quindi è anche un significato più bello».

una immagine di Blastema Live Radio Popolare Foto di Fabrizio Bini 2 620x465 su La Svolta dei Blastema: «Stavolta Volevamo Pugni nello Stomaco»

Come vi siete trovati in questa nuova dimensione acustica, nel set che avete appena suonato alla Feltrinelli?

M: «Ci piace molto, perché rispetto ai nostri concerti è un’altra situazione: non hai amplificazioni, è tutto già equilibrato».

A: «Io sono curioso di riascoltarlo, avevamo fatto pochissime prove! Come suonavano le canzoni rispetto al disco?».

Non solo suonavano benissimo, e gli altri astanti lo confermano, ma se non ne avessi conosciuta nessuna sarei stata molto curiosa di ascoltarle poi sull’album!

A: «Meno male!».

M: «Infatti è molto divertente, perché nei live cambiamo radicalmente. Ci siamo divertiti oggi, perché è una dimensione in cui non ci troviamo mai».

E poi vedremo le ulteriori differenze anche nel live elettrico di stasera.

M: «Eh, per stasera io sono più preoccupato, invece Alberto è bello sereno ed era teso per l’unplugged… Non si sta mai tranquilli!».

A: «Ma era solo perché avevamo fatto davvero poche prove per il set acustico!».

La famosa ansia da prestazione…

M: «Eh, sai, noi uomini…».

No, no, ce l’avevo anche io a teatro!

M: «Ah, ecco che si scoprono le carte pian piano… bene, bene! (risata collettiva – per la cronaca: la performance serale elettrica è stata ottima ed esplosiva, come i Blastema hanno già abituato il loro pubblico, NdR)».

una immagine di Copia di COVER DISCO 620x620 su La Svolta dei Blastema: «Stavolta Volevamo Pugni nello Stomaco»

Come mai nell’album ricorre spesso la scelta di canzoni brevi? Hanno spesso una forma molto compatta.

A: «In realtà non lo abbiamo scelto: questo disco è venuto così, è cresciuto molto in fretta, i pezzi a nostro avviso avevano la conclusione in quei tempi, e se vuoi erano già parecchio strutturati. È nato così, come si nasce con gli occhi verdi, bassi o alti: questo è un disco breve (breve ma intenso, è proprio il caso di dirlo, NdR)».

M: «Comunque a volte capita di ascoltare dei pezzi di tre minuti e mezzo, in cui dopo un minuto e trenta tu già ti dici: “Ma da quant’è che dura ‘sto pezzo, otto minuti?”».

Comprendo quello che dici, ma non è di certo il vostro caso: a volte in qualche vostra canzone ci si potrebbe aspettare una coda un po’ più lunga, per crogiolarvisi un altro po’… ma non perché siano perfettibili, è solo una sensazione di “gimme some more” che si ha dopo qualcosa di bello.

M: «No, secondo me c’è sempre qualcosa di perfettibile, ad esempio in Quale amore io la sento, questa cosa che dici tu, perché è proprio la canzone che si presta al gioco, che infatti sarà un gioco live. Invece Alberto lo sentiva di meno, e allora abbiamo fatto come diceva il maestro! Però per tutti gli altri brani, direi che sono proprio confezionati così: nati per essere così».

Qual è il ruolo che dai a testi particolarmente evocativi, che hanno un riferimento un po’ meno “concreto”? Penso ad esempio a Tristi giorni: “la luce è una spia caduta ostaggio di respiri scavati in un’eternità di cenere”…

M: «Se ti dico che cos’è… È una ca**ata. Sarebbe “accendere una sigaretta”. Con un tiro, la luce si accende e poi si spegne: quindi, la luce è una spia… ostaggio di respiri… in un’eternità di cenere! Cioè, fumando la luce si accende e si spegne».

Ma vedi tu che giro di metafore ne è venuto fuori… Altro che ca**ata! Lo vedi che ho fatto bene a chiedertelo?

 

In copertina: Blastema – Live Radio Popolare – Fotografia di Fabrizio Bini

Le fotografie inserite nell’articolo sono di Marco Onofri e Fabrizio Bini

 

una immagine di cover Blastema Foto di Marco Onofri 620x413 su La Svolta dei Blastema: «Stavolta Volevamo Pugni nello Stomaco»


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :