Non saprei. Questo improvviso cambiamento ha lasciato spiazzato pure il sottoscritto. Rimango guardingo e sgomento, ma è chiaro che effettivamente qualcosa è cambiato nei rapporti tra Berlusconi e Di Pietro. Se Di Pietro è addirittura arrivato a dire che lui parla con tutti, Cavaliere compreso, significa che c’è qualcosa di nuovo nell’aria. Ed è qualcosa di veramente rivoluzionario.
È però difficile fare un’analisi e una previsione su questo inedito rapporto. Però forse un azzardo posso farlo. Posso dire che quella di Di Pietro è una vera e propria strategia. Forse dettata dai suoi rapporti con il Partito Democratico, ormai sempre più ostaggio della sinistra vendoliana, o forse dalla crisi del Cavaliere che rischia di lasciare il centrodestra sguarnito di leader carismatici. Sta di fatto che questo cambiamento rimette in gioco molti sogni e riporta l’orologio indietro di anni, rispolverando vecchie identità politiche. Ecco perché ritengo esistano due ipotesi, che non necessariamente si escludono a vicenda e che anzi si integrano.
La prima ipotesi riguarda la crisi identitaria del PD. È possibile che lo sbilanciamento (a sinistra) del partito di Bersani sia tale che Di Pietro abbia intravisto la possibilità di incardinarsi nel centro e di acquisire quei voti moderati che votano centrosinistra e che però non vedono di buon occhio Vendola e la sinistra estrema, ormai sempre più ottusamente giustizialista (superando di fatto il giustizialismo dipietrista anche nei toni) ed estremista. Parlo soprattutto dei settori cattolici e centristi legati agli ex comunisti da un’alleanza storica e culturale che affonda le proprie radici nei decenni passati, ma che ha il suo limite in certi valori fondamentali cristiani non negoziabili. In altre parole, l’IDV si vuole proporre come l’ancora moderata del centrosinistra, che il Partito Democratico lentamente sta abbandonando per seguire (o meglio: inseguire) Vendola e affini.
La seconda ipotesi riguarda il lento ma inesorabile tramonto politico del Cavaliere. Sappiamo tutti che nonostante se ne dica, Di Pietro è comunque un’anomalia politica all’interno del centrosinistra. Le sue tematiche sono sempre state culturalmente lontane dai valori di Vendola, Bersani e D’Alema, e molto vicine alla destra. La sua collocazione in alleanza con l’ex PCI deve essere sempre letta in chiave antiberlusconiana più che in chiave anti-destra. Di Pietro non ha mai digerito il Premier né la sua politica. I motivi – sappiamo – sono i più vari (molti dei quali tuttora ignoti), e possono affondare nella stigmatizzazione feroce del sodalizio economico e personale tra il Cavaliere e Craxi e/o nel fatto che il Cavaliere discese in politica proprio quando il leader dell’IDV era al massimo della sua popolarità come uomo simbolo dell’anti-sistema di cui Craxi (e di riflesso il Cavaliere) fu una delle massime espressioni. Ora però le cose sono cambiate. Il Premier è politicamente arrivato al capolinea. Il PDL è traballante. É possibile un rinnovo totale del centrodestra, con nuovi esponenti e nuovi leader. È dunque possibile che vi sia lo storico (e inevitabile) salto della quaglia. Di Pietro che ritorna a «casa», nelle file del centrodestra.
Fantascienza? Può essere. Ma fino a un certo punto, se pensiamo a Fini e alla sua evoluzione (meglio: involuzione) politica. E se pensiamo soprattutto che se il Cavaliere dovesse abbandonare nel modo peggiore (senza operare un profondo rinnovamento del partito), i moderati potrebbero affondare con lui, lasciando di fatto campo libero alla sinistra vendoliana e a quei settori del PD ancora fortemente nostalgici delle vecchie logiche del PCI. In questo scenario – chiaramente – non tengo conto di Fini e Casini. La loro immagine è comunque compromessa con i moderati. Casini è politicamente troppo ambiguo per riscuotere le simpatie dei moderati duri e puri del centrodestra (se non di quelli con tendenze democristiane), mentre Fini ha praticamente e sistematicamente distrutto la sua credibilità politica nel centrodestra. Chi oggi lo segue e/o è disposto a votarlo evidentemente o è troppo orbo (politicamente parlando), oppure è incoerente quanto Fini. Non tengo conto nemmeno della Lega di Bossi, visto che la posizione del partito nordista spesso si è rivelata avulsa dalle logiche dei due schieramenti.
Ciò detto, vorrei essere chiaro. Io non salto certo di gioia per questo cambiamento di Di Pietro, che comunque è minimo, visto che ha acquisito quella minima decenza politica di dialogare con tutti, senza pregiudizio alcuno. Ma è indubbio che qualsiasi forza o energia sottratta alla sinistra italiana è comunque la benvenuta, seppure ritengo che il centrodestra debba stare in campana: i cambiamenti veri sono strutturali e non dettati dalle convenienze (politiche) momentanee, come (apparentemente) potrebbero sembrare quelle dipietriste.
di Martino © 2011 Il Jester