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La talpa

Creato il 24 gennaio 2012 da Veripaccheri
La talpa
Un regista scandinavo al servizio di sua maestà. Un connubio singolare se non altro per la scarsa frequenza con cui i registi del nord Europa hanno frequentato i modi e la cultura del popolo anglossassone. Un esplorazione rischiosa per la difficoltà degli indigeni ad aprirsi allo straniero, ad entrare in empatia con ciò che non gli appartiene. Eppure Tomas Alfredson, di professione regista del cult movie "Lasciami entrare", in realtà già attivo con opere di scarsa visibilità almeno al di fuori della propria madrepatria, riesce a compiere il miracolo. Alle prese con la trasposizione filmica di un classico della letteratura britannica, "La Talpa" di John le Carrè, il regista svedese sembra essersi interessato soprattuto a cogliere l'essenza di quel carattere e, secondariamente a farlo vivere in relazione al periodo storico, l'Europa a cavallo dei anni 60/70, in cui si svolge la vicenda. Lo scenario è quello di un mondo diviso in due blocchi: da una parte la Russia, dall'altra gli Stati Uniti. In mezzo un ideologia, il comunismo, intesa a secondo dei casi come il meglio ed il peggio del pensiero umano. Un sistema di vita da affermare o da combattere a secondo dei casi. In questo realtà si muovono i protagonisti del film, un gruppo di agenti dei servizi segreti britannici impegnati a scovare la talpa che rischia di mettere in crisi l'organizzazione passando informazioni al moloch sovietico. In un clima di sospetti reciproci l'agente Smiley viene incaricato di occuparsi della faccenda con un indagine che dovrà portare alla luce il colpevole.
Trattando la materia con il rispetto che si deve ad un illustre genitore, Tomasson trasporta nella terra d'albione tempi e modi che sono consoni al cinema da cui proviene. Facendo a meno del glamour ed anche della cinetica di cui ci sembra non poter fare a meno quando si parla di spionaggio ed agenti segreti, il regista costruisce un film burocratico che si sofferma negli anfratti più anodini del potere: a partire dall'anonimato del suo protagonista, interpretato da un Gary Oldman clamorosamente lontano dalla nervosa fisicità degli anni giovanili, e continuando con tutto ciò che lo circonda, i suoi colleghi dimenticabili come gli ambienti in cui il film si sofferma ( la storia è girata quasi interamente in interni spogli ed angusti) , "La talpa" non dà mai un segno di vitalità. Neanche quando, dopo una serie di interrogatori che Smiley porta avanti con la metodicità di un esattore delle tasse, e che permettono alla vicenda di frequentare il passato attraverso i ricordi degli interrogati, il film arriva finalmente al nocciolo della questione con il mascheramento del colpevole. Una mancanza di climax che getta una luce sinistra su tutto quello che abbiamo appena visto. Le virtù di un film compassato, fieramente deciso ad apporsi alle frenesie del cinema moderno, appaiono improvvisamente come una mancanza di carattere. Lo profondità dello scrutare sorprendentemente monocorde. Certamente resta la performance del protagonista ed anche la capacità filologica di chi l'ha realizzato, ma il resto appare troppo sacrificato, a cominciare dal cast, in alcuni casi (Colin Firth) ridotto ad una visibilità che se non ne ha il minutaggio assomiglia però nell'economia generale ad un ruolo cameo. La promozione finale si accompagna alla sensazione di un film a cui manca qualcosa.

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