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La Talpa

Creato il 19 gennaio 2012 da Elio
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La TalpaLA TALPA (2011)
Regista: Tomas Alfredson
Attori: Gary Oldman, John Hurt, Colin Firth, 
   Tom Hardy, Mark Strong
Paese: Francia, UK, Germania

Non si può sempre pretendere una sceneggiatura originale. Non più. Ad oggi la quantità di opere scritte e girate è incalcolabile ed è quasi inevitabile ritrovare durante la visione richiami di ogni tipo. Diviene quindi necessario distinguersi con ogni mezzo a disposizione. Molti sembrano non aver afferrato il concetto, molti altri sembrano far finta di non averlo afferrato, perché fintanto che la minestra riscaldata funziona, perché cambiare? Alfredson al contrario sembra condividere la riflessione e farla propria. Affronta generi che solitamente chiamano regia e ritmi diversi, serrati e capaci di coinvolgere attraverso soluzioni più classiche, con uno stile del tutto opposto. Lo ha fatto con “Lasciami Entrare”, esordio giustamente apprezzato, raccontando una storia con al suo interno la figura di un vampiro nella maniera meno vampiresca possibile. Più un dramma con un elemento sovrannaturale che altro. E lo ha fatto ora con “La Talpa”, forse il film spionistico con meno ritmo di sempre, benché il soggetto sia quanto di più adatto ad una pellicola di tutt'altri tempi narrativi. 
La Talpa
È la storia di una presunta talpa all'interno dell'Intelligence inglese. A guidare quest'ultima è il c.d. Circus, ossia le sei teste più importanti al suo interno. Dopo un'operazione legata alla talpa, il capo del Circus, Controllo (John Hurt), viene costretto a lasciare il comando e l'Intelligence, e deciderà di portarsi dietro una delle sei teste, George Smiley (Gary Oldman). Quando un anno più tardi tornerà a bussare con insistenza alla porta dei servizi segreti l'ombra della talpa, proprio a Smiley verrà affidato l'incarico di dirigere l'indagine finalizzata a smascherarla.
Regia e stile narrativo mostrano subito il loro profilo migliore. Appena il tempo di introdurre la sequenza dell'incontro in Ungheria, perché avvenga. Un bar con dei tavolini all'esterno, una stradina resa suggestiva da un campo medio che non rinuncia ai suoi protagonisti; i tempi sono lenti, quasi riflessivi, lasciano ai soggetti come allo spettatore lo spazio per osservare e valutare dettagli ed espressioni. L'avvicinarsi del climax della sequenza è suggerito dal sonoro che si fa insieme ovattato di rumori crescenti ed indefiniti, fino all'esplosione dell'azione. Esplosione che in realtà è più un'implosione, tanto è resa poco spettacolare. Non realistica e asettica, al contrario evidentemente filmica, però non spettacolare. Quello appena descritto è il passato di sceneggiatura più teso dell'intera pellicola, ed è stato diretto con tali ritmi. Si può ben immaginare, di conseguenza, quale possa essere la gestione narrativa della restante parte di una storia che si snoda, da questo punto in avanti, principalmente tra uffici e altri ambienti chiusi. Col senno di poi quella iniziale di Alfredson sembra quasi una palese dichiarazione di intenti, e al termine di certo non gli si potrà in nessun modo non riconoscere di esser stato con essa coerente. Forse anche troppo.
La Talpa
Lo mano del regista è quindi ferma, non si concede mai movimenti di macchina più sostenuti, preferisce al contrario soffermarsi su personaggi e situazioni per il tempo necessario a svelarne tutti i tratti, e anche oltre. Del resto quello spionistico è solo uno sfondo, primi e primissimi piani sono per i caratteri raccontati, per le loro ferite e per i loro rimpianti, per i loro errori e per la loro solitudine. Perfettamente al servizio di tale scelta l'uso del flashback, e più in generale di un montaggio che aggiunge tasselli tanto allo storia quanto ai mosaici caratteriali, con sequenze dedicate anche solo esclusivamente agli sguardi e che non a caso si incastrano e funzionano alla perfezione. A conferire al tutto una carica emotiva fondamentale, senza la quale la pellicola si sarebbe in tutta probabilità risolta in una noia al minimo insostenibile, la fotografia di Hoyte Van Hoytema, che spegne ogni ambiente che illumina pur riuscendo a coglierne gli angoli più caldi, più vivi ed umani. Disillusione e nostalgica malinconia si alternano sullo schermo, rese vive da luci cupe in grado di esaltarne lo spessore, come nella sequenza innegabilmente potente, forse la più riuscita, in cui Smiley racconta il suo incontro con Karla.
A parentesi simili però, inattaccabili e coinvolgenti, si affiancano in maniera sistematica altre che al contrario non hanno affatto la stessa potenza e che appaiono meri esercizi di stile. E a volte neanche quello. Essendo la pellicola basata quasi unicamente sull'empatia, tanto che scoprire chi è la talpa è una curiosità che diviene a tratti marginale, le parentesi non in grado di far passare emozioni trascinano immediatamente lo spettatore fuori dal film. La continuità emozionale è quindi più volte spezzata dall'incapacità del regista di gestire senza sbavature uno stile difficile, in grado di creare una dipendenza che se non soddisfatta può rivelarsi particolarmente deleteria. Una volta entrati infatti in quel turbinio di emozioni di cui si scriveva in precedenza non è per niente gradevole essere costretti ad uscirne per aspettare poi di rientrarci. È difficile inoltre perché tempi così lenti, che Alfredson più di una volta rende davvero troppo lenti, possono facilmente risolversi in una narrazione monotona e quindi del tutto priva di fascino. 
La Talpa
Il finale fortunatamente, però, non rientra tre le cose meno riuscite ed è anzi perfetto nel comunicare ancora una volta con gli sguardi. Inutile sottolineare a tal proposito quanto enormi siano le interpretazioni, tranne forse quella di Tom Hardy, la cui recitazione appare sempre troppo impostata e di conseguenza poco credibile. Un dettaglio, in ogni caso, essendo portati a concentrarsi su un Gary Oldman al quale non si potrebbe muovere alcuna critica anche volendo; su un John Hurt che mette in piedi un personaggio controverso ed estremamente vivo; e più in generale su attori immersi completamente nella parte, tanto che – si consiglia di non andare avanti con la lettura se non si è visto il film – il confronto silenzioso, carico di umanità ma al tempo stesso gelido, affidato agli sguardi di Mark Strong e Colin Firth, tra i due personaggi da loro interpretati è enorme, anche solo come scelta di sceneggiatura. Rischia di far rivalutare, a caldo, l'intera pellicola.

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