La taverna dei sette peccati di Tay Garnett. Volete vedere qualcosa di meglio?

Creato il 04 agosto 2011 da Spaceoddity
Nessuno come lei ha lavorato tanto per essere così compiuitamente Marlene Dietrich. Incarnazione esuberante e irrequieta dell'aforisma di Oscar Wilde per cui sarebbe la vita a imitare l'arte, e non viceversa, l'attrice smise presto di essere berlinese, tedesca, europea, di un luogo qualsiasi di questo mondo. Si fece donna del cinema, finché servi e si negò alla vista quando dovette fuggire alla fatale silhouette che non sapeva seguirla, rimanendo sempre, tale e quale, oggetto del desiderio. Si fece pagare, in termini economici e affettivi, vite intere di lavoro e d'amore, per darsi a ogni esperienza di vita che sapesse sedurla, mostrarsi accattivante.
La sua vita seguì di pari passo il suo mito: fu artista "totale", Brecht o non Brecht, fu donna di peccato. Incontrò Tay Garnett quando la sua vita, ben oltre i suoi film, erano noti, e si divertì in ciò che le riusciva penoso ne L'angelo azzurro: fare la donna chiassosa volgare, tutt'altro che pudica, donna da taverna. Ma declinando la sua figura alla maniera di Marocco, con quella dedizione, quell'amore che sconvolge la vita, i piani e i progetti di una vita vagabonda: là il soldato della guarnigione straniera Gary Cooper, ne La taverna dei sette peccati (1940, tit. or. Seven Sinners) un giovane John Wayne.
Costretta a lasciare sempre il posto in cui lavora, senza abitarvi mai davvero, la Dietrich gioca con sentimenti, ruoli e gossip. Dopo aver scatenato una rissa, al giudice che la allontana dal suo posto, dal locale, dalla città, dall'isola, dice con una perfidia da perderci la testa:
E qui, al posto mio, ci verrà un professore. A insegnare l'educazine, a tutti quanti.
Svestita della vena metafisica dei film di von Sternberg (e il "von" era tutto americano, un tocco di nobiltà non guastava mai a Hollywood), Marlene Dietrich non è ancora la misurata star da poster di jet set che sarà con Billy Wilder (con Scandalo internazionale e Testimone d'accusa). Ma è, sensibilmente, un personaggio diverso, per un film vivace, tutto dialoghi, incontri, e baruffe (che molto indugiano sulla slapstick comedy): fa anche lei a cazzotti come un maschiaccio, ma scioglie con sbarazzina e irresistibile femminilità i nodi ai cravattini di chi le capita a tiro, è audace fino a perdere il controllo di sé con il bel tenente, e si dibatte, senza liberarsi mai, dall'agente protettore Antro (Oskar Homolka).
La taverna dei sette peccati, nonostante le condizioni del file originale lascino molto a desiderare, è un film già scorrevole, leggero: ma, abbandonata la categoria del conturbante, che è propria della Dietrich, non è ancora lieve.

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