E’ questo il tema principale del saggio degli statunitensi Erik Brynjolfsson e Andrew Mcafee, del MIT, di gennaio 2014.[1] E’ il terzo di tre dirompenti lavori sul rapporto tra tecnologia ed occupazione a firma di Brynjolfsson[2].
In quest’ultimo saggiogli autori ripartono da dove erano rimasti: la relazione fra occupazione e tecnologia in quella che ribattezzano come la seconda era della tecnologia, una sorta di quarta rivoluzione industriale.
The Second Machine Age si caratterizza per un mirabolante progresso nelle tecnologie digitali a disposizione del più ampio pubblico. E’ l’epoca della fantascienza che diventa realtà: dalle automobili in grado di guidare da sole, rese possibili dal dispositivo Chauffeur Google, a Siri, un assistente personale intelligente made in California (SRI International), comprato da Apple nel 2010, in grado di dare consigli utili a seconda delle necessità.
Self-driving cars, Jeopardy! Supercomputers, robot di ogni genere sono apparsi negli ultimi anni contribuendo a raggiungere un inflection point, un punto di flessione, in cui molte tecnologie che finora erano usate soltanto nei film di fantascienza divengono reali. Che la Second Machine Age abbia inizio!
Tre sono le caratteristiche principali del progresso tecnologico nell’era digitale: l’essere esponenziale, digitale e combinatorio. La tecnologia migliora con una crescita esponenziale che sfugge a qualunque previsione. Essa si basa per lo più su codici binari, bit. E’ un’informazione digitale “non rivale”[3] e con costi marginali di riproduzione prossimi allo zero.
La maggior parte delle innovazioni digitali ha carattere incrementale. Si tratta di ricombinazioni e adattamenti di tecnologie esistenti e di dispositivi già funzionanti, per rispondere ad esigenze nuove.
Le innovazioni comportano un incremento di produttività e, inevitabilmente, una nuova divisione fra lavoro umano e lavoro digitale[4]. Ma quali sono le conseguenze di questa strabiliante corsa della tecnologia digitale?
Brynjolfsson e McAfee identificano due maggiori conseguenze: the bounty e the spread, l’abbondanza e la disuguaglianza. Concentrandoci sulla seconda, aumentano i vincitori, ma anche i perdenti. Fra i primi ci sono le superstar, i talenti, i geni dell’informatica; ma anche chi ha accumulato nel tempo significative quantità del giusto “capital asset”. Coloro che si sono specializzati in task cognitivi e non routinari. Questo processo ha comportato non solo un incremento delle disuguaglianze individuali, fra lavoratori con differenti dotazioni di capitale umano, ma anche una diversa distribuzione del reddito fra detentori di capitale e lavoro.
Tuttavia l’accumulazione di capitale fisico trova un limite nell’abbondanza dello stesso, al contrario degli ideatori delle nuove tecnologie, ed in genere dei decision-maker, i cui compensi sono cresciuti molto (talent-based technical change)[5]. I mercati delle tecnologie digitali offrono compensi determinati da performance relative piuttosto che assolute: una differenza minima di prestazione fra due tecnologie può portare a gap significativi nelle retribuzioni. Pur in presenza di molteplici application per l’individuazione del traffico stradale, Google sceglie di acquistare Waze per un miliardo di dollari. In sostanza non c’è proporzionalità fra prestazione e compenso.
A detta di Brynjolfsson e McAfee, l’era della tecnologia digitale è quella della disuguaglianza per eccellenza e della disoccupazione tecnologica. Tuttavia alcune aree di lavoro rimangono prerogativa degli umani, dall’ideazione alla comunicazione complessa. In questi ambiti l’uomo non è stato ancora soppiantato dalle macchine. Qui i due autori si lanciano in raccomandazioni di policy che spaziano dall’inadeguatezza dell’attuale sistema educativo ad un intervento importante dello Stato per sovvenzionare le nuove idee imprenditoriali.
Senza indulgere ad un neo-luddismo del XXI secolo, gli autori prospettano uno scenario positivo in cui la tecnologia è ancora una volta in grado di migliorare le condizioni di vita, basti pensare ad ambiti di applicazione quali la sanità, l’educazione, i trasporti, ecc. Ma è in definitiva l’uomo, attraverso il sistema di valori che si è dato, a decidere dove e come applicarla. In tal senso, technology is not the destiny; we shape our destiny: siamo noi a definire il nostro destino.
[1]The Second Machine Age: Work, Progress and Prosperity in a Time of Brilliant Technologies, New York: Norton (http://www.secondmachineage.com/).
[2] Brynjolfsson, E. and McAfee, A. (2011) Race Against The Machine: How the Digital Revolution is Accelerating Innovation, Driving Productivity, and Irreversibly Transforming Employment and the Economy, Digital Frontier Press; Brynjolfsson, E. and Saunders, A. (2009) Wired for Innovation: How Information Technology is Reshaping the Economy, MIT Press.
[3] La non-rivalità in economia, tipica dei beni pubblici, è la possibilità di godere in comune di un determinato bene, ovvero il consumo di ciascuno non comporta sottrazione del consumo di un altro.
[4] Levy, F. and Murnane, R. (2004) The New Division of Labor: How Computers are Creating the Next Job Market, Princeton U. P.
[5] I compensi per i manager (CEO) sono aumentati del 300% nel 2005 (The Second Machine Age, p. 148).
19 maggio 2014