Silvio Berlusconi vuol far credere agli italiani che l’uscita dalla crisi è in fondo a destra. Ancora una volta si sbaglia, e di brutto: in fondo a destra abbiamo imboccato la strada della crisi e ritornando in fondo a destra non ci sarebbe la fine della crisi ma la crisi della fine. Pier Ferdinando Casini ha detto alcune cose che hanno fatto più clamore della qualificazione dell’Italia alla semifinale degli europei contro la Germania: un accordo di governo tra moderati e progressisti o, con altre parole, popolari e socialisti è cosa buona giusta per continuare a lavorare con il governo Monti e far fronte comune a una situazione economico-finanziaria che non è destinata a mutare con il cambio di governi e di politica e non risolvibile dalla mano destra o dalla mano sinistra. Ma ciò che ha detto Casini non è una novità, semmai è una continuità. È’stato lo stesso presidente del Consiglio, consapevole dello “stato di eccezione” in cui siamo, a definire il patto parlamentare che lo sostiene “strana maggioranza”. Tuttavia, la cosa più strana in questa stranezza è quanto potrà fare l’ex capo del governo che sembra intenzionato a trasformare ancora una volta il suo partito in una zattera populista. A volte Berlusconi appare come il modello dell’antimoderato per eccellenza.
Quel che ha detto recentemente il presidente Napolitano – «nessuno Stato si salva da solo» – vale ancor di più in chiave politica ed elettorale: nessun capo di partito e nessun capo-popolo, vecchio o nuovo o “pittato” che sia, salverà da solo l’Italia. Il populismo è oggi da evitare come la peste. E la peste si chiama uscita dall’euro, ritorno alla lira, divisione dell’Europa, spezzare le reni a questo o quell’altro paese. Tutti sentimenti intestinali che nocciono gravemente alla salute del corpo nazionale che ieri, come oggi e come domani ha il medesimo problema di sempre: piazzare i titoli italiani per finanziare il debito, tagliare la spesa non più sostenibile della pubblica amministrazione e stimolare la crescita. Su questi temi nessuno è in grado di garantire da solo e con i voti del suo partito niente di che. L’unica cosa che si può garantire è la luna del pozzo e così il disastro di una nazione intera. Se il Pdl vuole imboccare la strada del populismo, faccia pure; ma chi non perderà il bene dell’intelletto e – ce lo si lasci dire – l’amor di patria ha il sacrosanto diritto di mostrare agli italiani l’avventura anti-italiana del nuovo populismo berlusconiano e rivendicare per sé le ottime ragioni dei moderati che sanno che per continuare ad essere italiani bisogna stare in Europa a testa alta (un po’ come accade – e per una volta il paragone tiene – alla squadra di Prandelli).
C’è un argomento strano – anche questo “strano” – che è ripetuto da politici e da qualche ottimo giornalista, ad esempio Ostellino. L’argomento è il seguente: andare a votare non è peccato, lo hanno fatto in Spagna, in Grecia, in altri paesi, perché solo in Italia ci devono essere i “tecnici”? Tesi strana perché evita di dire due cose: primo, al voto si andrà tra meno di un anno e dunque non si capisce perché precipitarsi ad ottobre; secondo, il voto non cambia la natura dei nostri problemi. Chi dice il contrario dice una bugia e chi pretende di fare delle elezioni la soluzione dei nostri problemi aggiunge un altro problema. Non c’è soluzione diversa da questa: fare in modo che le riforme del governo Monti abbiamo non solo il sostegno ma anche la loro origine nel Parlamento Ieri come oggi, esempio e responsabilità.
tratto da Liberal del 26 giugno 2012