Quando arriverà la fine del mondo? Prima di essere inseriti nella schiera dei catastrofisti sgombriamo subito il campo da ogni implicazione apocalittico-religiosa e pescando nel mazzo dei sette cappelli di De Bono quello bianco analizziamo la situazione con oggettività. Il quesito cui trovare soluzione è “quanto può durare una crescita infinita su di un pianeta finito?”. Fino a che punto sarà possibile mantenere un tasso di crescita esponenziale come quello attuale, solo rallentato da cicliche sporadiche recessioni, sapendo che già oggi il 20% della popolazione mondiale consuma l’80% delle risorse del pianeta?
Il primo rapporto dell’Osservatorio Nazionale sul consumo di suolo accerta che ogni giorno 200.000 mq. di territorio vengono coperti dal cemento, se a questo uniamo il valore dell’Impronta Ecologica, che è un indice basato su 6 parametri di utilizzo del territorio categorizzati per uso e proporzionati sulla intera massa della Terra, abbiamo un valore che rappresenta quanto suolo spetta ad ognuno di noi e questo valore è quello che ci serve darci di che vivere e che ricicla i rifiuti che produciamo, questo numero è per l’appunto l’Impronta Ecologia ed il suo valore è di 1,78 ha a testa. Bene il consumo medio mondiale attuale è di 2,2 quindi già adesso consumiamo più di quanto il pianeta riesca a produrre, stiamo mangiandoci il capitale oltre gli interessi per semplificare, ma non è finita qui, se 2,2 è già un valore drammatico se lo andiamo a disaggregare scopriamo che il range va dagli 0,56 del Bangladesh ai 12,5 degli Stati Uniti passando per i 5,5 dell’Europa, il triplo di quanto sarebbe consentito, senza aggiungere che il peso dei rifiuti nucleari ad esempio è superiore allo standard il che porterebbe a peggiorare la valutazione, è comunque evidente che il mondo occidentale vive a spese del cosiddetto “Terzo Mondo” e che con il salire dell’indice di benessere del BRIC e altri che seguiranno la situazione non può migliorare.
L’esemplificazione massima e più chiara l’abbiamo con la teoria della lumaca di Serge Latouche, la lumaca costruisce il suo guscio aggiungendo una spira dopo l’altra poi all’improvviso si ferma perchè se aggiungesse una ulteriore spira al massimo sostenibile lo stesso guscio diventerebbe sedici volte più grande rendendole impossibile la vita. Illuminante vero?
Si può forse ipotizzare una crescita continua ed infinita come quella che è in atto adesso? Se provassimo a passare da un continuo frenetico rincorrersi della corsa a due tra domanda e offerta ad un modus vivendi che trova oggi la sua definizione in Societing dove i problemi quando affiorano vengono risolti tramite una reciprocità tra imprese e consumatori in una forse utopistica, ma potrebbe anche essere percorribile, realtà di equilibrio nel mercato? Decrescita controllata non vuol forzatamente dire rinunciare, la scrittrice Dominique Loreau afferma “Le cose ci possiedono e ci sommergono”, e dagli studi che sono all’origine dei suoi libri ha sperimentato che nel 80% dei casi ciascuno di noi usa solo il 20% dei vestiti che possiede.
Su questo dibattito ovviamente le correnti di pensiero sono molteplici, dagli ottimisti che affermano che basta il mercato, in quanto al diminuire di una risorsa disponibile l’aumento del prezzo ne farà calare la domanda, certo che affidare il governo del grano alla finanza non vi appare forse azzardato per non dire irresponsabile? Senza entrare nella opposta schiera dei catastrofisti appassionati fans dei films di Mel Gibson, una soluzione senz’altro più razione e perseguibile è quella di una decrescita controllata e sostenibile ben diversa da un’improvvisa recessione come quella di cui stiamo vivendo i drammatici effetti.
Come primo obiettivo dovremmo smettere di intaccare le risorse del pianeta finito su cui viviamo, ripensare il concetto di produzione e necessità, ridistribuire la ricchezza, abbandonare i concetti di accumulo ed egoismo a favore di solidarietà, responsabilità ed intelligenza; abolizione delle frontiere con conseguente riduzione al minimo dello spostamento delle merci (consumo a km. 0); riduzione degli sprechi, dobbiamo considerare intollerabile che i paesi ricchi oggi producano 4 miliardi di tonnellate di rifiuti all’anno; riutilizzare e riciclare, cosa che sembra scontata, ma purtroppo così non è con differenze sensibili anche da comune a comune. Per evitare di finire contro il muro dell’auto-distruzione occorre un nuovo modello democratico di controllo e governance coerente con i bisogni collettivi ed individuali gestito concorsualmente tra politici e consumatori in simbiosi.
Utopia? Sogno? Se non vogliamo che il sogno si interrompa improvvisamente o peggio si trasformi in incubo non esiste altra via al vortice in cui ci siamo avvitati se non appunto una decrescita sostenibile, l’unica altra nostra alternativa e “non fare” come le sagge lumache ed aggiungere un’ulteriore, ultima, definitiva, spira al nostro guscio di consumismo.