La terapia dei dolci

Da Alice

La terapia dei dolci
Come può un’autrice cult di manuali di auto-aiuto perdersi in un bicchier d’acqua? Ebbene, è ciò che capita a Julia Goodman. Anni trentasette, girovita impeccabile e un’esistenza a suo modo perfetta: la carriera in decollo, un marito grande, grosso e appassionato, la migliore amica di sempre con cui scansare a braccetto ogni forma di dipendenza famigliare, l’analista-feticcio che da anni la redime da ogni vizio. E, last but not least, i suoi 58 chili di peso. Finché, di punto in bianco, tutti sembrano piantarla in asso. Jake vola a Los Angeles per i suoi doveri di regista, Sarah lascia Manhattan per il ruolo di moglie remissiva in Ohio, il dottor Ness trasferisce baracca e burattini in Arizona e i 58 chili soccombono sotto una montagna di dolci. O meglio, di cupcake, tortine ipercaloriche dalla glassa irresistibile. Così, tra indigestioni di zuccheri e tragicomici speed date con improbabili strizzacervelli, Julia imparerà a rinunciare agli affetti surrogati, continuando ad amare gli originali e rimanendo in piedi sulle proprie gambe. E – vittoria! – riconciliandosi con la bilancia giusto in tempo per il lancio del suo nuovo libro. Con ironia sfacciata e umorismo sottile, La terapia dei dolci si inoltra coraggiosamente nel mondo della psicologia femminile, dove l’ambizione si unisce alla fragilità, la nevrosi al divertimento e Freud alla cioccolata.
Sembra che le donne newyorkesi siano costantemente alla ricerca di fama e successo, da questo libro la cosa che spicca maggiormente, e che potrebbe lasciare interdetta la lettrice media, è il maniacale (ab)uso della psicoterapia. La maggior parte delle persone con le quali interagisce Julia, la protagonista, sono dipendenti da strizzacervelli costosissimi, che a loro volta hanno bisogno di un supporto psichiatrico per tirare avanti. E' davvero così la società d'oltre oceano? Sono davvero tutti così psicologicamente instabili da dover ricorrere a terapie particolari e a sborsare centinaia di dollari per tirare avanti?Il libro è scritto in modo scorrevole e coinvolgente, ma alla fine lascia un po' di amaro in bocca, non ci si può fare a meno di chiedere se è davvero così che si vive a New York. E' vero, la protagonista riuscirà a combattere le sue dipendenze, ma quello che traspare come messaggio di fondo è che l'amore risolve tutto. Se si ha l'amore, allora si è a posto per il resto dell'esistenza, un po' riduttivo come messaggio. Ovviamente in un libro di questo genere è doveroso l'happy ending, è anche una delle spinte che porta alla lettura, ma forse qui la Shapiro ha leggermente forzato la mano.
Ammetto di essermi fatta attirare dalla colorata e deliziosa copertina, dalla trama avvincente e dal giudizio critico sulla copertina "Se Woody Allen portasse i tacchi a spillo si chiamerebbe Susan Shapiro", ma ricordo di aver pensato più volte, durante la lettura, "ma qui sono tutti matti".

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