Magazine Cinema
di Fernando Muraca
con Valeria Solarino, Antonino Bruschetta, Lorenza Indovina
Italia, 2015
genere, drammatico
durata, 89'
Opera prima di Fernando Muraca, la terra dei santi è un film che parla di 'ndrangheta. Ma non si avventura in ambiziose analisi storico-sociali o nella raffigurazione archetipica di un' opposizione manichea e bidimensionale. Protagonista qui è chi spesso rimane ai margini delle cronache e subisce in silenzio: le donne. Tre donne sole, schierate nei diversi lati della barricata. Tre vittime di diverse situazioni e diversi ambienti sociali, che una fotografia cupa ci comunica schiave di un impietoso positivismo, schiave della propria imprescindibile appartenenza a fazioni opposte di una lotta che è scontro sistematico fra due sistemi di vita, e ha i caratteri -sapientemente enfatizzati da una scenografia solennemente magniloquente della scena del rituale iniziatico- di una profonda obbedienza religiosa. Una guerra civile causata dall'arcaica presenza di un'organizzazione che inquadra i propri membri in un sistema di valori alieno, e che coinvolge tutti in diverso grado. Una battaglia che -intuisce un magistrato che ha la fredda compostezza di Valeria Solarino- può essere vinta facendo leva proprio su chi in questo sistema ha tutto da perdere. Se la 'ndrangheta è un esercito, se chi vi entra è prima un soldato che una persona, l'unico modo per combatterla è toglierle manovalanza, togliere la potestà genitoriale alle madri.
Questo è il grande perno del film, l'incontro-scontro fra una donna magistrato e una donna madre -Assunta, una grande Daniela Marra- portatrici di due sistemi antitetici di vita. Una regia curata e minimalista ci accompagna attraverso le vicende che sconvolgono la vita di Assunta, costretta a sposare il fratello del marito morto e madre di un giovane 'ndranghetista, divisa fra i due mondi di Vittoria e della cognata Caterina -Lorenza Indovina in una versione drammatica del proprio ruolo in “Qualunquemente”- moglie di un boss latitante. Una storia profondamente umana che non ambisce a voler essere niente più di una finestra su un mondo poco conosciuto, composta di scene dalla forte carica espressiva, come il parallelo tra la corsa di Caterina -chiusa da un'inquadratura stretta su una stanza scura, metafora del suo ambiente- e quella di Vittoria, lungo piano sequenza della donna che corre pensierosa sulla spiaggia finché non comprende la necessità di superare la propria prospettiva, “immergendosi”-come s'immerge simbolicamente in mare- in quell'ambiente estraneo.
Michelangelo Franchini
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