In queste ore, tanto tormentate, non sappiamo se i Greci torneranno alla loro amata e svalutata dracma. Lo facessero ne guadagnerebbe il loro smisurato orgoglio nazionale, ma ne perderebbe forse l'assetto economico nostro ed europeo. Se sono giunti a ciò è per la poca lungimiranza con cui una improvvida politica ha aperto i rubinetti del debito pubblico, onde apparire un posto dove si guadagnava bene senza produrre nulla, col peccato della grandeur di ritenersi in grado di ospitare barconi di emigrati del Terzo Mondo, per vedersi infine i suoi sostenitori vessati con sovrappesi di gran lunga superiori alla intrinseca pochezza dimostrata. Eppure sono loro i Greci (o i padri dei loro padri, sarebbe meglio dire) i numi tutelari della nostra civiltà, basata sull'esercizio della Ragione, sono loro che sull'antica dracma, incidevano in effigie su di un lato il viso di Atena, dell'intelligenza perspicua, contrapponendola sull'altro alla locale civetta (invero più simile per dimensioni al nostro assiolo), perché tale animale vedendo nel buio agli occhi degli antichi Greci (e forse prima dei predecessori Pelasgi) risultava il protettore di città, e quindi rivestiva un ruolo largamente positivo, poi soppiantato dalle odierne significanze negative; così doveva esser che la civetta diventasse per il mondo il simbolo stesso della ricchezza e grandezza di Atene e della sua intrinseca divinità. Tracce di un qualche uso simbolicamente positivo e protettivo della civetta, è rimasto anche da noi se col nome di prunatzonca (nome di pianta che, contenendo, come pare, il nome dell'animale) indichiamo una specie di pruno selvatico, il quale serviva a difendere i chiusi dall'intrusione di estranei o come protettore delle piante utile dal proliferare di altre selvatiche. Desmond Morris, il noto naturalista, in un bellissimo libro, ha ricostruito vita e passione di questo animale double face, tanto fascinoso quanto tenebroso; tanto amato in passato quanto sacrificato nel Medioevo. Io mi son limitato a far riscaturire da quelle plaghe balcaniche il suono inesplorato della nostra thonca, precisando quale contesto ora più che mai vero sia sotteso alla sua esistenza, e basando tutto ciò su prove linguistiche e non sugli alambicchi di qualche iberico cazzaro.
In queste ore, tanto tormentate, non sappiamo se i Greci torneranno alla loro amata e svalutata dracma. Lo facessero ne guadagnerebbe il loro smisurato orgoglio nazionale, ma ne perderebbe forse l'assetto economico nostro ed europeo. Se sono giunti a ciò è per la poca lungimiranza con cui una improvvida politica ha aperto i rubinetti del debito pubblico, onde apparire un posto dove si guadagnava bene senza produrre nulla, col peccato della grandeur di ritenersi in grado di ospitare barconi di emigrati del Terzo Mondo, per vedersi infine i suoi sostenitori vessati con sovrappesi di gran lunga superiori alla intrinseca pochezza dimostrata. Eppure sono loro i Greci (o i padri dei loro padri, sarebbe meglio dire) i numi tutelari della nostra civiltà, basata sull'esercizio della Ragione, sono loro che sull'antica dracma, incidevano in effigie su di un lato il viso di Atena, dell'intelligenza perspicua, contrapponendola sull'altro alla locale civetta (invero più simile per dimensioni al nostro assiolo), perché tale animale vedendo nel buio agli occhi degli antichi Greci (e forse prima dei predecessori Pelasgi) risultava il protettore di città, e quindi rivestiva un ruolo largamente positivo, poi soppiantato dalle odierne significanze negative; così doveva esser che la civetta diventasse per il mondo il simbolo stesso della ricchezza e grandezza di Atene e della sua intrinseca divinità. Tracce di un qualche uso simbolicamente positivo e protettivo della civetta, è rimasto anche da noi se col nome di prunatzonca (nome di pianta che, contenendo, come pare, il nome dell'animale) indichiamo una specie di pruno selvatico, il quale serviva a difendere i chiusi dall'intrusione di estranei o come protettore delle piante utile dal proliferare di altre selvatiche. Desmond Morris, il noto naturalista, in un bellissimo libro, ha ricostruito vita e passione di questo animale double face, tanto fascinoso quanto tenebroso; tanto amato in passato quanto sacrificato nel Medioevo. Io mi son limitato a far riscaturire da quelle plaghe balcaniche il suono inesplorato della nostra thonca, precisando quale contesto ora più che mai vero sia sotteso alla sua esistenza, e basando tutto ciò su prove linguistiche e non sugli alambicchi di qualche iberico cazzaro.
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