Il capostipite della famiglia dei wuxiapian (ad onor di cronaca non è il primo film del genere, ma in assoluto il primo a renderlo famoso in tutto il mondo), diretto dal regista taiwanese Ang Lee (che ha vinto per questo film l’Oscar al miglior film straniero nel 2001), “La tigre e il dragone” è l’unione ideale tra estetica, intrattenimento e contenuti. Se in occidente abbiamo avuto la letteratura cavalleresca, che esaltava la figura dei cavalieri con opere come “Il romanzo di Tristano e Isotta” di Bedier e “Don Chisciotte della Mancha” di Cervantes, ed il cinema epico-cavalleresco con film come “Le crociate” di Ridley Scott o “La maschera di ferro” di Randall Wallace, in oriente, pur rimanendo intatti molti temi, questo genere ha origine sin dalla dinastia Tang (618-907 d.c.) e raggiunge il massimo splendore con la dinastia Ming (1368 – 1644) grazie a romanzi come “Romanzo dei tre regni” e “Water Margin“, ed ovviamente il cinema non poteva rimanere immune al fascino di questa tradizione. Ang Lee, maestro indiscusso del cinema orientale, ripropone in chiave moderna un genere quasi dimenticato, e dopo “La tigre e il dragone” sono stati prodotti capolavori assoluti del genere come “La foresta dei pugnali volanti” e “Hero” di Zhang Yimou e “Detective Dee e il mistero della fiamma fantasma” di Tsui Hark. In questa pellicola tutta la tradizione cinese, che per essere compresa a fondo necessiterebbe di un approfondimento particolare, si muove sinuosamente attraverso l’eleganza e la flessuosità delle immagini. La storia altro non è che una ballata di amore e vendetta, mantenendo intatti i temi classici, in cui le storie di diversi personaggi finiscono con l’intrecciarsi indelebilmente segnando il destino di ognuno di loro. Da una parte troviamo Li Mu Bai (Chow Yun Fat, lo stesso de “I Pirati dei caraibi 3” e “Il monaco” per chi dovesse essere avvezzo al cinema prettamente orientale) e Shu Lien (Michelle Yeoh, la stessa di “007 – Il domani non muore mai“), sono due guerrieri erranti che non si possono amare perchè legati entrambi ad una persona del passato. Dall’altra parte ci sono Jen Yu (Zhang Ziyi, simbolo indiscusso del wuxiapian essendo protagonista anche dei film di Zhang Yimou) e Lo “Nuvola nera”, che sono divisi dalle leggi dell’impero cinese. L’ambientazione è quella di una Pechino del XVIII secolo, cioè sotto la dinastia Qing, in cui le storie di questi spadaccini volanti si muovono tra foreste di bambù e tetti della città vecchia. Il wuxiapian è esteticamente ineccepibile sotto diversi punti di vista, tra cui i costumi e la scenografia, che vede ad esempio gli uomini con la tradizionale acconciatura manciù (testa rasata a metà e l’altra metà raccolta in un lungo codino), e le donne con le antiche Buyao (decorazioni che sostengono i capelli), o anche l’uso delle armi classiche come la shuang gou (spada uncinata), la qiang (lancia), la jian (spada dritta, che nel caso del film è elemento fondamentale e si chiama “destino verde”) e la dao (sciabola). Altro aspetto fondamentale è quello dei combattimenti, volutamente inverosimili, che assomigliano più a danze eleganti che a veri e propri combattimenti (specie per chi è abituato agli sparatutto americani). Non è un caso che la danza sia una costante di questi film, dato il forte legame con la tradizionale arte marziale cinese. E’ evidente, leggendo queste poche righe, che la componente culturale del film è predominante, e non può che affascinare chiunque conosca poco della Cina, eppure Ang Lee ha il compito di misurare l’arte tipicamente orientale (la fotografia, i piani sequenza, i colori, sono tipicamente orientali) con l’intrattenimento che l’industria cinematografica richiede, e così sforna un capolavoro fuori dal tempo e dallo spazio, che si muove intelligente tra poesia e arte marziale, nel senso più estetico del termine. A tutto questo si aggiunge un’altra componente culturale predominante che è quella della filosofia zen, che vede in Li Mu Bai, un perfetto maestro. “Come la verità è nel silenzio, la forza è nella quiete. Non c’’è lotta senza pace interiore, ricordalo. Questo per darti solo una lezione di vita”“. Nulla da fare per chi si aspettava di trovarsi davanti all’ennesimo film di “mazzate” a colpi di kung fu, perchè si ritroverà davanti ad un film che parla di amore eroico, di cavalieri volanti pronti a morire per una giusta causa, di vendetta, e soprattutto si ritroverà a guardare un film che ha pochi rivali al mondo per estetica. Non è quindi lontano dalla fantasia immaginare dei Tristano e Isotta con gli occhi a mandorla, per chi facesse ancora fatica ad innamorarsi del cinema orientale. “Il nostro è un mondo terribile. Un mondo di tigri assopite e di draghi in agguato”“.
Voto 8,5/10