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La torre della serpe

Creato il 06 marzo 2015 da Cultura Salentina

La torre della serpe

6 marzo 2015 di Redazione

di Mauro Minutello

Dino Licci: La torre del Serpe, olio su tela

Dino Licci: La torre del Serpe, olio su tela

Otranto, Torre della Serpe 10 giugno 1480

Sono qui fermo da molte ore ormai. Seduto a poppa, guardo i forzati incatenati ai remi seguire il ritmo cadenzato del fischietto e vedo abbattersi lo staffile sulle schiene di chi lo interrompe; non avrei mai pensato, quando il maestro d’ascia mi prese a garzone, che sarei stato costretto a seguire il suo destino ed imbarcarmi su una galea del sultano: il grande Maometto II.

Sono qui ferma da molte ore ormai. Guardo l’imboccatura della tana, sono nascosta da due settimane, dalla notte in cui quel mercantile olandese si sfasciò sugli scogli appuntiti della costa sottostante. Ricordo ancora il cibo che trovai il giorno dopo nelle conche di marea e la scorpacciata che ne feci, ricordo la rabbia con cui mi cercarono tutti: i soldati, i pescatori ed i pastori. Da qui vedevo passare i loro piedi, sentivo il rumore assordante dei bastoni battuti sulle rocce: “non resisto più, devo bere. Sì, questa notte uscirò”.

Sono qui fermo da molte ore ormai. Seduto nella stanza della riserva, con tutti gli orci pieni di olio ai nostri piedi, il capitano Zurlo ha inviato verso la scogliera cinque dei suoi uomini a guardia della lampada e agli ordini del sergente Mendoza che tarda a venire; è risaputo che gli spagnoli preferiscono le osterie ed il tavolo da gioco al lavoro. È il tramonto quando lo vedo arrivare dall’altura dove s’innalza la Torre. Con le scarpe impolverate, con quel passo strano e la mano poggiata con forza sull’elsa della spada quasi fosse un bastone, dovrà controllare le guardie addette alla difesa di quell’olio che permette alla lampada di ardere. Non deve più succedere che la bestia salga dagli scogli a berlo; questa cosa è già costata la vita all’equipaggio olandese, perito sugli stessi scogli giorni fa.

 

Le condizioni di vita sulle galee sono infime. I duecento remigi, costretti a vivere alla catena, ogni tanto vengono imboccati con una galletta imbevuta nell’aceto affinché non perdano i sensi e continuino la voga. I cento soldati, il capitano della fanteria, l’equipaggio e noi civili ammassati a poppa. Da ore navighiamo, dovremmo giungere in vista della costa alle prime luci del giorno. Il capitano freme all’idea di ingaggiare battaglia con gli infedeli. Gli informatori dicono che le vedette sulle coffe dovrebbero avvistare nelle prossime ore la luce della lampada posta in cima alla torre. Da quel momento in poi dovremo navigare in silenzio per non dare l’allarme; quando il mare è calmo, i rumori viaggiano lontano sull’acqua e prego Allah il Misericordioso affinché protegga le nostre vite guidandoci alla vittoria. I capitani delle galee hanno ordinato di spegnere i grandi bracieri che ardono tutto il giorno sulla coperta; il loro fumo nero potrebbe essere avvistato da lontano.

Le condizioni di vita su queste rocce diventano ogni giorno più dure: i pastori con i cani sempre più attenti alle greggi ed agli agnelli nati da poco, le masserie con le loro recinzioni che mi impediscono l’ingresso ai pollai ed agli ovili, sta per arrivare l’estate e la mancanza d’acqua renderà i giorni a venire sempre più duri. Ho deciso, devo cambiare territorio ed andare lontano, non posso più stare qui. Tra poco, però, uscirò per arrampicarmi ancora una volta sulla torre. Devo fare molta attenzione alle nuove guardie, non devono vedermi.

Le condizioni di vita in queste stanze non sono delle migliori con questo caldo. Aiutato da Nicola ho riempito la lampada ed acceso lo stoppino, tra un’ora devo riboccare l’olio nel serbatoio alla base. Non è ancora buio, si vede a distanza sino all’orizzonte ma “cosa c’è lì, lontano, verso l’isola di Saseno? Sembra fumo”. No, non può essere. Guardo ancora ma non si vede più nulla; mi conforta che pure Nicola non riesca a veder niente. Forse sarà stato un gioco di luce causato dall’umidità che si leva dal mare; meglio rientrare e riposare.

Ormai è notte fonda, le vedette della nave hanno avvistato la luce sulla costa ancora lontana molte miglia; sembra una stella che brilla lontano. Non si odono più i fischietti che ritmano la voga, solo gli staffili fanno sentire il loro sibilo ancor prima di percuotere le schiene degli schiavi. Accoccolato sulla mia bisaccia cerco di dormire, nonostante l’umidità della notte, ma quando la vedetta grida il capitano che la luce sulla torre non si vede più perché qualcuno ha spento la lampada, ho paura perché penso che ci abbiano forse visto. “Pure loro avranno certamente delle vedette”, penso, e ora sarà più difficile giungere ad Otranto. Intanto, si sta anche levando un forte vento di scirocco.

Ormai è notte fonda, in silenzio sono riuscita salire sulla torre, la lampada è colma di olio. Devo stare attenta ma lo voglio bere tutto come sempre. Sotto, gli uomini dormono dopo aver bevuto il vino rosso che ha portato il pescatore. Due ragazzi vegliano raccontando i loro sogni di adolescenti. Se nessuno guarderà da questa parte tra poco avrò finito e poi la lampada si spegnerà. Come sempre dovrò correre come non mai per evitare la caccia che mi daranno le guardie quando si accorgeranno del mio misfatto.

Ormai è notte fonda, mi sveglio di soprassalto accorgendomi che la lampada è spenta. Con tutto il fiato che ho in gola urlo «sergente Mendoza, sergente Mendozaaaa è tornato ancora ed ha bevuto l’olio. Dovete cercarlo, l’ho intravisto mentre scendeva dalla torre».

I soldati lo cercano già. Armati di spade si fanno luce con le torce tra gli scogli e all’improvviso uno urla: «È qui è qui, l’ho ferito, non andrà lontano. Correte, è quiii !». «Dov’è, non si vede, è fuggito ancora», chiede Mendoza.

«No! c’è sangue questa volta, non l’ha passata liscia» urla il soldato mentre un altro, controllando le riserve, dice: «Sergente non abbiamo più olio, la lampada resterà spenta. Speriamo che questa notte nessuno arrivi dal mare».

Abbiamo perduto la guida che ci forniva la luce sulla costa, chissà dove approderemo. “Non troveremo Otranto questa volta ma gli infedeli la pagheranno cara, ne sono certo. Torneremo con più navi, la vittoria sarà nostra per la gloria del Sultano: Allah, pace e benedizioni su di lui, lo serbi in vita”.


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