Il testo che segue costituisce l'Introduzione (da pag.13 a 48) al libro di Robert Kurz, "Marx Lesen" (Frankfurt am Main, Eichborn, 2001)
Letture di Marx nel XXI secolo
di Robert Kurz
Colui che era considerato morto, è più vivo che mai. In quanto teorico attivo e critico, Karl Marx è stato dato per morto più di una volta, ma è sempre riuscito a sfuggire alla morte storica e teorica. Ciò si deve ad un motivo: la teoria marxista può morire in pace solamente insieme al suo oggetto, ossia, insieme al modo di produzione capitalista. Questo sistema sociale, "oggettivamente" cinico, va oltre i comportamenti che impone in maniera così arrogante agli esseri umani, e produce, insieme ad una ricchezza oscena e insipida, una povertà di massa delle stesse dimensioni; contrassegnato com'è da una dinamica di furia cieca in grado di elevare all'ennesima potenza delle catastrofi incredibili, la sua semplice sopravvivenza fa sì che, inevitabilmente, riemergano sempre temi e pensieri di critica radicale. A sua volta, il punto essenziale di questa critica consiste nella teoria critica di quel Karl Marx che, quasi 150 anni fa, già analizzava fin dalle sue fondamenta, senza mai essere stato superato, la logica distruttiva del processo di accumulazione capitalista. Tuttavia, come qualsiasi pensiero critico che oltrepassi la data di validità di un determinato spirito del tempo, anche per l'opera marxista vale il fatto che si rende sempre necessaria una riapprossimazione teorica in grado di scoprire nuove sfaccettature e di rigettare vecchie interpretazioni. E non solo interpretazioni, ma anche elementi della sua propria teoria legati al suo tempo. Ogni teorico ha sempre pensato più di quanto sapesse, e non sarebbe serio chiamare 'teoria' una teoria esente da contraddizioni. Perciò, non solo i libri posseggono un loro destino, ma anche le grandi teorie. Tra una teoria ed i suoi recettori - tanto coloro che la sostengono quanto quelli che l'avversano - si sviluppa sempre un rapporto di tensione in cui si manifesta la contraddizione interna alla teoria, a partire dalla quale - e solo allora - si viene a creare conoscenza.
Invece di tornare ad affrontare il problema della processualità storica della teoria sociale alla fine del XX secolo, il cosiddetto pensiero postmoderno si è interessato solamente a mettere a tacere la dialettica fra formazione della teoria, ricezione e critica. Ed è proprio la teoria marxista in quanto non investigata nei suoi contenuti, né analizzata nelle sue condizioni storiche, e ancor meno corretta, che soffre a priori di un rifiuto circa la sua legittima pretesa ad essere una "grande teoria". Questa falsa modestia, che non viene vista come tale ma viene semplicemente repressa rispetto alla grande totalità delle forme di socializzazione capitalista, ci porta ad un livello inferiore della riflessione teorico-sociale. La politica dello struzzo, da parte di un pensiero ridotto e disarmato in modo così spontaneo, sminuisce il fatto che non sia possibile tracciare una linea di separazione fra la problematica delle cosiddette grandi teorie e dei grandi concetti, ed il loro oggetto sociale reale. La pretesa di voler abbracciare il tutto è provocata, oltremodo, dalla realtà sociale. Nella sua esistenza reale, la totalità negativa del capitalismo non cessa di agire, semplicemente perché viene concettualmente ignorata e perché non vogliamo guardare in tale direzione: "la totalità non ci dimentica", come afferma la celebre battuta del teorico inglese della letteratura, Terry Eagleton.
La critica postmoderna della grande teoria, assimilata con gratitudine da molti ex marxisti come forma di pensiero suppostamente confortante, non doveva rinviare ad un pensiero positivo ed apologetico in senso tradizionale, bensì piuttosto alla disperazione di una critica sociale che è frastornata e che trasale di fronte a qualsiasi compito che oltrepassi la sua capacità attuale. Si tratta di un'evasione che può avere solo carattere provvisorio: alla fine, il pensiero critico verrà implacabilmente ricondotto davanti all'ostacolo che dovrà cercare di superare. E quest'ostacolo, certamente, è molto difficile da affrontare, soprattutto perché il pensiero marxista praticato fino ad oggi si trova costretto a saltare dalla sua propria ombra (andare contro i suoi propri interessi). Si potrebbe cambiare questa metafora un po' strana con quest'altra: il marxismo nasconde in cantina un cadavere che non può continuare a tener lì per molto tempo ancora. Ossia, tanto la contraddizione fra la teoria marxista e la sua ricezione avvenuta attraverso il vecchio movimento operaio, quanto le contraddizioni all'interno della teoria marxista, registrate alla fine del XX secolo, sono arrivate a maturare a tal punto che non si può più concepire una riattivazione, o una riattualizzazione, di questa teoria dentro gli stessi modelli usati finora. In passato, ogni volta che il Marx dato per prematuramente morto è tornato ad uscire dalla sua tomba sano e salvo, tali resurrezioni si sono verificate sempre in un'epoca che poteva essere chiamata "il secolo del movimento operaio". Allo stato attuale, sembra chiaro che quella storia è finita. In un certo qual modo, i suoi motivi, le sue riflessioni teoriche e i suoi modelli sociali di azione si sono dimostrati falsi. Hanno perso la loro forza di attrazione, la vita ne è fuggita via, e si presentano a noi come se fossero sotto vetro. Quel marxismo non è altro che un pesante pezzo da museo. Ma ancora nessuno ha reso chiaro perché le cose stiano così. La partenza precipitosa dei vecchi adepti reca in sé qualcosa di ipocrita, e il trionfalismo, altrettanto precipitoso, dei vecchi avversari appare un po' ingenuo. Questo perché, con la fine incompresa di un'epoca che non è stata ancora debitamente studiata, i problemi maturati nel corso di tale storia non sono svaniti; al contrario, si sono aggravati in una maniera drammatica, nuova, e tuttavia sconosciuta. Si ha quasi l'impressione che quest'epoca passata sia stata solo la fase di trasformazione in crisalide, il periodo di incubazione di una grande crisi qualitativamente nuova che poteva avvenire solo in seno alla società globale, la cui natura può essere identificata solo adesso, sia dal punto di vista teorico, usando concetti equivalentemente grandi e, dal punto di vista pratico, con una trasformazione sociale equivalentemente radicale. Di fronte alla situazione reale, la religione professata, di un "pragmatismo" democratico e di economia di mercato che domina dappertutto, sortisce lo stesso effetto che avrebbe l'utilizzo dell'aspirina per combattere l'AIDS, o le manichette dei vigili del fuoco per combattere l'esplosione di un reattore nucleare. Risulta ingannevole il fatto che il concetto centrale di una tale filosofia da ciarlatani che mescola scienza, politica e management, cioè quella che è la formula magica rituale della "modernizzazione", sembra altrettanto vuota, morta e museale che i grandi concetti del movimento operaio. La fine della critica significa anche la fine della riflessione, e nel capitalismo postmoderno, sconsiderato e irriflessivo, il mantra della "modernizzazione" ha assunto l'aspetto di una vana idolatria. Il concetto di modernizzazione è diventato altrettanto inverosimile dei concetti del "punto di vista operaio" e della "lotta di classe". Questa perdita di significato comune da entrambe le parti va anche riferita ad una comune entità e ad un luogo storico comune sia al vecchio marxismo che al mondo capitalista. E' l'identità segreta degli avversari accaniti, quella che emerge sempre alla superficie quando il conflitto immanente sopravvive solo perché il sistema comune di relazioni diventa fragile. Seguendo questa riflessione, come circostanza integrale della modernizzazione, il marxismo non può essere morto e, allo stesso tempo, rimanere vivo un capitalismo che continua, imperturbabilmente, la modernizzazione, all'infinito. Piuttosto, si tratta solo di una vita apparente in un regno intermedio, ossia, di una presenza di zombie, senza vita reale, nei loro corpi. Nella stessa direzione, si muove il riduzionismo tecnologico del concetto di modernizzazione staccato da ogni contenuto di carattere sociale, analitico-sociale ed economico-critico. Se l'accesso ad Internet e alla biotecnologia devono essere tutto, finisce che alla fine non significano niente, poiché le scienze naturali e la tecnologia non possono esistere da sé sole, né possono produrre un progresso isolato. Sono efficaci solo nel quadro di un contesto di sviluppo sociale e socioeconomico che superi le fasi precedenti. Una modernizzazione centrata su un carattere puramente tecnologico, che non mette in discussione lo status quo dell'ordine sociale e che sostiene di essere arrivata alla fine delle trasformazioni delle forme sociali attraverso l'economia di mercato e la democrazia, si squalifica da sola. Queste riflessioni sono di per sé un'indicazione di come si possa definire la fine del marxismo del movimento operaio. Se la nuova crisi globale del XXI secolo, che mostra gradualmente i suoi contorni, consiste nel fatto che le basi comuni della storia attuale della modernizzazione si stanno dimostrando obsolete, ciò significa anche che proprio il marxismo delle sinistre politiche e sindacali, insieme alla sua riflessione teorica, si è mosso all'interno delle forme capitalistiche. La sua critica del capitalismo non si riferiva, quindi, al tutto logico e storico di questo modo di produzione, ma solamente a determinate fasi già percorse dello sviluppo, o da superare. In tal senso, nel suo secolo, il movimento marxista della classe operaia non è stato in alcun modo il becchino del capitalismo (secondo la celebre metafora marxista) ma, al contrario, ha rappresentato l'inquietudine interna propulsiva, il motore vitale e, in una certa forma, "il tecnico di aiuto allo sviluppo" della socializzazione capitalista. Perciò, il "non-ancora" marxista, nel senso usato dal filosofo Ernst Bloch, non si riferiva assolutamente - contro le sue intenzioni - all'emancipazione dal capitalismo, dalle sue forme repressive e dalle sue pretese fondamentali, ma piuttosto al riconoscimento positivo, dentro il capitalismo e dentro il progresso, del fine della modernizzazione all'interno del bozzolo capitalista. Il "non-ancora" era la propria scissione interna dal capitalismo, che non significava una visione che andasse al di là di esso, la sola che potesse rendere visibili i suoi limiti storici.
La prospettiva della "non-simultaneità" immanente alla formazione del sistema sociale moderno, può essere rappresentata a diversi livelli. In tal modo, la forma ancora giovane di produzione capitalista, in quel lasso di tempo del XIX secolo che coincide con il periodo della vita di Karl Marx (1818-1883), era, in una certa maniera, non simultanea in relazione a sé stessa. Da una parte, questo modo di produzione aveva sviluppato una sua logica interna al punto da essere diventato visibile nei suoi aspetti di base, e astrattamente riconoscibile; dall'altra parte, le forme specificamente capitaliste si trovavano ancora mescolate in varie modalità con le relazioni pre-capitaliste che erano in fasi distinte di decadenza e con quelle trasformazioni che erano ancora lontane dall'essere concluse. Se la coscienza storica di una tale società in continua trasformazione e fermentazione, arrivava a confondere ogni fase del processo di trasformazione con il "capitalismo in quanto tale", allora, a maggior ragione, la coscienza pratica rimaneva inevitabilmente coinvolta nelle necessità quotidiane, e si vedeva obbligata ad equiparare il capitalismo a quelle manifestazioni sociali dirette, che però erano ancora impregnate, senza dubbio, delle impurità e dei residui premoderni, sotto diversi aspetti. Per queste ragioni, il concetto di modernizzazione non era così unidimensionale come lo è oggi, ma era sovraccaricato da una specie di critica inter-capitalista (la si potrebbe definire come un'autocritica interna progressiva del capitalismo ancora non completato). La cosa assumeva ancora più senso quando si trattava di una lotta di classe molto semplice da essere definita. Da un lato, proprio i soggetti capitalisti del XVIII e del XIX secolo, provvisti di modelli di pensiero e comportamento premoderni, tendevano a trattare con paternalismo, e con aria signorile autoritaria, i salariati da loro sfruttati come dipendenti personali, anche se, nel caso del "libero lavoro salariato", ed obbedendo alla sua forma, si trattava di contratti fra eguali. Da un'altra parte, i salariati e le loro organizzazioni, che venivano represse in primo luogo dallo Stato, rivendicavano proprio questo carattere di relazione contrattuale sulla base di un'uguaglianza giuridica, opposta al carattere dominante, e manifestamente personale, del capitale che empiricamente non corrispondeva ancora alla sua concezione logica. Con tutto ciò, e proprio per questo motivo, la lotta di classe divenne il motore della storia dell'imposizione capitalista, e la critica al capitalismo fatta nei confronti personali dei capitalisti-proprietari equivaleva alla logica pura del capitalismo, ossia alla logica di un sistema di rigorosa eguaglianza formale fra individui astratti, i quali appaiono in qualche modo tutti come atomi di un processo che, rispetto ad essi, si autonomizza.
Nonostante ciò, al di là dei modi di dominio paternalista e personale e al di là delle relazioni sociali corporative, ci sono stati anche altri fattori di non-simultaneità interna, come per esempio modelli culturali premoderni, che sotto diversi aspetti apparivano come un ingombro a fronte del tempo dinamico ed astratto introdotto dall'amministrazione delle imprese, a fronte della giornata di lavoro astratto, delle regole politico-economiche unificate, della normalizzazione della quotidianità e delle cose, della riduzione funzionalista dell'estetica, ecc.. Indipendentemente anche dalla lotta di classe e dalla critica immanente al capitalismo, ad essa vincolata, il contesto sistemico capitalista non era ancora sufficientemente maturo, soprattutto se si tiene conto che anche nei paesi capitalisti più sviluppati (con l'Inghilterra in testa) il modo di produzione capitalista non aveva ancora raggiunto appieno tutti i rami della produzione, e le sfere sociali che si trovavano fuori dalla produzione d'impresa (Stato, famiglia, vita culturale, corporazioni extra-economiche, ecc.) non si erano adattate a sufficienza alle esigenze capitaliste, ed ancor meno venivano ristrutturate secondo l'immagine della razionalità capitalista.
Sotto un altro aspetto, la non-simultaneità dello sviluppo capitalista assunse la forma di una non-simultaneità esterna. In quell'epoca, una gran parte del pianeta non si trovava assoggettata alla logica di questo modo di produzione, pure sotto la forma colonialista superficiale. Una parte considerevole delle annessioni coloniali aveva avuto luogo nel XIX secolo, e anche nei paesi e nelle regioni del mondo già conquistato, le strutture di riproduzione sociale non erano poi evidentemente così penetrate dal capitalismo. Mantenute come riserve di materie prime e considerate più come mercati marginali, venivano incluse in maniera parziale nel processo capitalista, e la vita - nei grandi entroterra, dominati politicamente e militarmente solo in forma sporadica - si svolgeva in gran parte secondo forme pre-capitaliste. Nel frattempo, anche dentro la stessa Europa si aveva un'accentuata disparità di sviluppo. Sebbene il capitalismo potesse già contare su una larga storia preliminare, alla fine del XVIII secolo solo l'Inghilterra, che presentava l'embrione di un'industrializzazione, poteva esser chiamata una paese capitalista moderno, in confronto al quale lo sviluppo del resto del continente era relativamente arretrato. Dentro l'Europa continentale, la parte occidentale (specialmente la Francia e l'Olanda) era molto più avanzata rispetto alle regioni centrali e meridionali. In Germania, ancora non si erano sviluppate a sufficienza le condizioni di base per la formazione di un'economia nazionale omogenea, e nemmeno un corrispondente dello Stato nazionale. Così, in Europa e nella cerchia di quei paesi che cominciavano a chiamarsi vagamente capitalisti, il XIX secolo si svolgeva sotto il segno di "una lotta per guadagnare terreno". Nella competizione fra Inghilterra e Francia, questa prima modernizzazione rigenerante finì per creare un vero e proprio paradigma che segnò profondamente lo sviluppo di Germania ed Italia. In Asia, fu il Giappone ad unirsi al gruppo, mentre sull'altra sponda dell'Atlantico gli Stati Uniti cominciavano un cambiamento improvviso, alla ricerca di un approccio autonomo allo sviluppo industriale capitalista. Solo attraverso tale modernizzazione rigeneratrice, avvenuta nella seconda metà del XIX secolo, poté sorgere quel centro globale contraddittorio composto da una quantità relativamente piccola di paesi che, con un'alternanza di configurazioni, andranno a dominare, mediante travolgenti guerre mondiali, il mondo capitalista. Quello che si instaurò dopo la seconda guerra mondiale, come club esclusivo - che da relativamente poco tempo promuove conferenze globali sotto la denominazione di "G7", e che appare come una triade formata dal centro dell'Unione Europea, dagli Stati Uniti e dal Giappone - continua ad essere rappresentato dallo stesso complesso centrale di quegli Stati ed economie nazionali che furono il risultato della "posizione raggiunta nella gara" dagli anglosassoni e dagli europei occidentali e della successiva modernizzazione rigenerante intrapresa da Germania, Italia e Giappone nel XIX secolo.
Non poteva essere evitato che, insieme alla non-simultaneità interna di base, venisse a determinarsi una non-simultaneità esterna, nazional-statale e nazional-economica, nell'anticapitalismo immanente del vecchio movimento operaio. Laddove c'era, sotto un aspetto o l'altro, un certo ritardo dello sviluppo, relativamente alle altre nazioni, questo veniva assunto positivamente come problema; e dove le disparità erano specialmente grandi, identificarvisi assumeva un carattere assai marcato. In Germania, la socialdemocrazia marxista ed i sindacati erano fra gli oppositori maggiormente veementi dell'unificazione nazionale. Ma a partire dal fatto che l'unificazione nazionale-statale venne realizzata, in ultima analisi, "dall'alto", da parte del primo ministro imperiale Bismarck, nell'ambito di un impero anacronistico. si può dire che la socialdemocrazia tedesca si comportò come una sorta di patriottismo borghese piuttosto oscuro. Nei rapporti di concorrenza, a partire dal modo in cui si configurarono a causa della congiuntura della modernizzazione rigeneratrice avvenuta nel XIX secolo, tutti i partiti operai finirono per assumere il punto di vista nazional-economico e nazional-statale del "proprio" paese, un tipo di orientamento che, come si sa, portò i movimenti operai nazionali "amici", a scontrarsi sui campi di battaglia della Prima Guerra mondiale. Sotto l'effetto della modernizzazione rigeneratrice, questa sterzata verso il punto di vista della concorrenza nazionale-economico era intimamente legata alla non-simultaneità esterna e, seguendo una necessità logica, al ruolo di avanguardia assunto dal movimento operaio in riferimento alla non-simultaneità interna del sistema capitalista. In altre parole: in realtà, l'opposizione sociale verso l'interno, ed il conformismo nazionale verso l'esterno, non erano poi così antagonisti come potevano sembrare a prima vista.
In questo campo di tensione fra non-simultaneità interna ed esterna del capitalismo del XIX secolo, si situa la genesi della teoria marxista. Marx - egli stesso un dissidente del liberalismo borghese - non poteva altro che portare con sé questa tensione. Ad un esame superficiale, l'azione di Marx rifletteva la doppia contraddizione, interna ed esterna, del capitalismo della sua epoca. In primo luogo, Marx (insieme a Friedrich Engels) era la figura più importante del cambiamento di campo sociale messo in atto dagli intellettuali di avanguardia, i quali, criticando le forme di governo strutturalmente arretrate esistenti, soprattutto nell'Europa continentale, smisero di essere borghesi liberali moderatamente oppositori, per passare ad integrare l'opposizione proletaria del movimento operaio che allora iniziava. Evidentemente, se si intende il carattere di questo movimento come un motore immanente allo sviluppo del capitalismo stesso, allora questo cambiamento di campo non fu in alcun modo così straordinario e trascendentale per la Storia, come ha sempre cercato invece di dimostrare l'agiografia marxista. A differenza dell'autocoscienza degli attori coinvolti, il semplice cambio del punto di vista di classe rimase nelle forme della logica capitalista, e rimase marcato, soprattutto, dalla delusione per lo scarso avanguardismo immanente a quella classe capitalista empirica, troppo radicata nello status quo dell'epoca, e troppo conservatrice. La forma di base del pensiero dissidente che ne risultava, consisteva nell'idea di trasferire, in un certo senso, i "compiti borghesi", realizzati con lentezza e senza grande entusiasmo da parte della "classe possidente" del capitalismo in ascesa, al giovane movimento operaio; compiti in gran parte legati all'ulteriore sviluppo capitalista che era stato semplicemente abbandonato (sviluppo delle relazioni giuridiche civili, omogeneizzazione dello spazio sociale, modernizzazione delle strutture familiari e culturali, ecc.), una tematica che torna sempre a trovare spazio nel pensiero di Marx. In tal senso, la teoria era cosciente solo di quello che, indipendentemente da essa, era già stato stabilito nel capitalismo, come impulso essenziale del movimento operaio per mezzo della sua lotta per il riconoscimento. Nella misura in cui la teoria marxista conferiva un'espressione scientifica a quest'impulso, poteva diventare il portavoce teorico-sociale, o il rappresentante scientifico, del movimento operaio, come sua condizione di quel motore interno di sviluppo del capitalismo. Questo ruolo della teoria marxista si rafforzò anche per il fatto che Marx - essendo tedesco - scriveva anche a partire dalla prospettiva del "sottosviluppo" capitalista specificamente tedesco. Già nella prefazione alla prima edizione del Capitale, dichiarava: "Ci ossessiona, come il resto dell'Europa occidentale, non solo lo sviluppo della produzione capitalista, ma anche la mancanza del suo sviluppo. Insieme alle calamità moderne, ci opprime una serie di calamità ereditate, che si originano a partire dall'inerzia degli antichi modi di produzione che sopravvivono, con il loro strascico di relazioni sociali e politiche anacronistiche. Non soffriamo solo a causa dei vivi, ma anche a causa dei morti. Il morto sequestra il vivo!" Da queste parole, appare evidente la forza con cui il dissidente Marx si aggrappa al concetto liberale di progresso e allo schema di sviluppo storico della filosofia hegeliana, che verrà trasferita alla storia dei modi di produzione economica solo a partire da una sua versione puramente storica o, come egli stesso arrivò ad affermare, la cui immagine verrà corretta. Da questo punto di vista, storicamente il capitalismo era una massa compatta e, per poterlo realmente abolire, in primo luogo era necessario introdurlo come un modo di produzione storicamente necessario, in nome dello sviluppo delle forze produttive; poi doveva essere circondato di cure e di coccole, per promuovere ulteriormente il suo sviluppo e, in un certo modo, avvicinarsi al suo concetto. Semplicemente, non era possibile sbarazzarsene, come affermò Marx in quella prefazione, poiché si trattava di tendenze "che si imponevano con ferrea necessità": "Il paese più sviluppato industrialmente appare appena sviluppato, se paragonato al suo futuro". Nel suo riferirsi in modo teorico -positivo, e in un certo modo storico-filosofico, tanto alla non-simultaneità interna quanto alla non-simultaneità esterna del capitalismo nel XIX secolo, Marx può essere letto come un teorico sensato della modernizzazione e, proprio per questo, come "teorico-capo" del movimento operaio moderno. In questa interpretazione, incontriamo di nuovo il Marx, assai noto, della "lotta di classe", dell'"interesse economico", del "punto di vista dell'operaio", del "materialismo storico", ecc.. Se dovessimo assumere la teoria marxista per questo, allora si distinguerebbe dalle altre teorie della modernizzazione solo per l'enfasi sul dato sociale, per la sua terminologia specifica e per la sua fondazione teorico-storica. Sotto un tale punto di vista, il programma di una critica puramente immanente al capitalismo, e rivolta ai diversi livelli di non-simultaneità, oggi sarebbe esaurito, ed in tal modo Marx sarebbe liquidato. In questo contesto, non si tratta di mere classificazioni di pensiero (teorico, scientifico), ma di categorie reali della riproduzione sociale e del modo di vita sociale che tornano ad emergere nella teoria in quanto concetti (per esempio, nelle scienze economiche di conio borghese). Per tale ragione, il sottotitolo del Capitale di Marx, ossia una "Critica dell'economia politica", ammette due interpretazioni: da un lato, come critica alle relazioni oggettive e reali esistenti prima di (o indipendentemente da) qualsiasi teoria, e considerate nella loro forma elementare di riferimento socio-economico; e dall'altro, come critica delle forme di pensiero e di coscienza ad essa legate e da essa risultanti, che si originano tanto nel "sentire comune" quanto nell'ideologia e nella scienza. E' abbastanza facile descrivere le categorie capitaliste di base; è però abbastanza difficile sottometterle ad una critica fondamentale. Il concetto astratto di "lavoro", il "valore" economico, la rappresentazione sociale dei prodotti come "merci", la forma generale del denaro, l'intervento attraverso i "mercati", la riunione di questi mercati in "economie nazionali" con determinate unità monetarie (moneta), il "mercato del lavoro" come requisito per una vasta economia di merci, monete e mercati, lo Stato in quanto "Stato astratto", la forma del "diritto" astratto generale (codificazione giuridica) di tutte le relazioni personali e sociali come forma di soggettività sociale, la forma statale pura e pienamente sviluppata della "democrazia", il costume irrazionale, e culturalmente simbolico, della coerenza nazionale-economica-statale; tutte queste categorie elementari della socializzazione capitalista moderna, da una parte sviluppatisi attraverso dei processi storici ciechi, furono, peraltro, imposte agli esseri umani dai rispettivi protagonisti e detentori del potere, in un processo di catechizzazione, assuefazione e interiorizzazione nel corso di vari secoli, con il risultato che, ben presto, tutte queste categorie sono apparse come costanti antropologiche praticamente insuperabili, mettendosi fuori da ogni critica. Arrivare a vedere il contesto della forma sociale capitalista - prima totalmente inesistente - come una legge naturale della convivenza umana che era sempre esistita, fu indubitabilmente una grande impresa della filosofia illuminista borghese e della teoria economica ad essa legata e messa in pratica fra la fine del XVIII secolo e l'inizio del XIX. Come si è arrivato a dire, queste categorie propriamente eterne erano state usate in modo equivoco ed incompleto nel passato, perché era mancata la comprensione necessaria (la ragione suscitata dall'Illuminismo). Ma dopo che, “fortunatamente”, si era incontrata questa ragione, la storia degli equivoci era arrivata alla sua fine e l'umanità avrebbe potuto finalmente marciare verso un futuro glorioso, obbedendo ai principi della società per eccellenza (leggi: il capitalismo), che era sempre esistita e sempre aveva governato. Con molta perspicacia e sottigliezza, Hegel modificò quest'ipotesi, ridefinendo le condizioni sociali premoderne - che agli illuministi apparivano ancora come errori ed equivoci - e stabilendo un numero equivalente di "stadi di sviluppo necessari", i quali, con certezza, nel loro contesto avevano solo il senso di mirare alla meravigliosa era moderna come punto culminante e finale dello sviluppo umano. Il fatto che Hegel avesse considerato quest'ultimo stadio come già raggiunto in piena monarchia costituzionale prussiana, è la prova evidente che lui confondeva, e parecchio, l'Età Moderna, ed il capitalismo (che per lui non aveva questo nome, ma meritava nomi molto più patetici, come per esempio "Weltgeist", spirito del Mondo) in quanto obiettivo della Storia, con la situazione reale, non ancora pienamente matura, del suo tempo. Così si diede la circostanza per cui la filosofia moderna in generale e le scienze economiche in particolare (e più tardi anche altre discipline accademiche autonome, come la sociologia, la scienza politica, ecc.) progettarono, per tutta la storia dell'umanità, il contesto totalmente nuovo della società capitalista vista come un principio presunto naturale della convivenza nella sua amministrazione. Ancora oggi, nonostante tutte le critiche che sono state formulate circa una visione astorica e non specifica, si mantiene come un fatto certo - almeno per le scienze economiche - che il primo attrezzo di pietra dell'uomo preistorico sia già stato capitale e che avesse un prezzo su un mercato formato da soggetti di scambio. Non si può negare che Marx rimase aggrappato ad Hegel dal punto di vista storico-filosofico, ma va anche detto che si divertiva enormemente con questi orripilanti anacronismi della scienza economica, non solo "storicizzando", esplicitamente o implicitamente, le moderne categorie capitalistiche, ma definendole anche come forme profondamente irrazionali, distruttive e, in fin dei conti, autocorrosive, della società. Però questa critica radicale si trova, a dire il vero, mescolata ed incrociata a quell'analisi della non-simultaneità interna ed esterna del capitalismo e a quella rappresentazione della classe operaia rivolta semplicemente al suo riconoscimento "dentro" il capitalismo; cosicché Marx oscilla permanentemente - in parte nel suo modo di esprimersi, e in parte nelle sue argomentazioni - fra una critica categorica fondamentale, da una parte, ed una rappresentazione "positivista" (e, come tale, comprensibile), dall'altro, arrivando anche ad essere evidentemente contraddittorio in molti dei suoi concetti e delle sue argomentazioni centrali. In tal senso, bisogna che si parli di un "doppio Marx", e a rigore lo si deve fare precisamente per quel che concerne questa immanenza positivista e questa trascendenza categoriale presente nella formazione della sua teoria. Per cui vediamo, a fronte di un Marx "essoterico" (rivolto al fuori e di facile comprensione), un Marx "esoterico" (che pensa categoricamente, e di difficile accesso). Il Marx essoterico è quello incline allo sviluppo immanente del capitalismo, mentre il Marx esoterico è quello che si volge a fare una critica categoriale del capitalismo.
Nel frattempo, per lo stesso Marx, e per i suoi recettori in seno al movimento operaio, non era possibile separare questi due aspetti fra di loro così intrecciati. Sebbene Marx avesse riconosciuto ben presto la politica come forma di una socialità puramente estrinseca, astratta e dipendente dal processo di sfruttamento del capitale, credeva che il movimento operaio, proprio seguendo la strada della lotta politica (legata allo Stato), potesse lanciarsi, per mezzo della rappresentazione di interessi meramente immanenti, nella direzione di quella critica ancora diffusa e categorica che trascendeva la coscienza costituita dalla forma capitalista; una critica la cui realizzazione, egli stesso arrivò a qualificare come "sogno", "gigantesco obiettivo", oppure impresa di "enorme coscienza". A sua volta, il movimento operaio ed i suoi rappresentanti politici, in gran parte persone oneste, non avevano quasi nessuna idea di cosa farsene di quella critica categorica che compariva in maniera implicita o esplicita. In maniera un po' ipocrita, davanti al problema preferivano accampare la scusa che si trattava di un discorso teorico difficile da comprendere, assumendo un atteggiamento deliberatamente umile di fronte al "grande pensatore", ma solo per assumere sottilmente il senso comune dell'operaio salariato a fronte di quella "teoria nebulosa" e dei suoi "filosofemi" inutili e per niente pratici. In un tale scenario, a molti recettori - i quali si erano prima mostrati del tutto interessati - quelle tesi di Marx, supposte incomprensibili, circa la critica radicale delle forme capitalistiche, sembravano una sorta di "fanfaronate hegeliane", e persino una "cazzata filosofica". A dire il vero, il ragionamento ontologico-astratto e teorico-cognitivo della filosofia moderna - che sembra lontano dalla prassi - finisce per nascondere, con i suoi vestimenti terminologici, la riflessione sulle forme del pensiero capitalista che sono allo stesso tempo le forme sociali della prassi. Intanto che Marx, contro le sue proprie convinzioni, voleva riconoscere nella forma politica del movimento operaio - che andava oltre la semplice lotta quotidiana per gli interessi meramente sindacali - il veicolo di una critica radicale verso la forma ( ed in tal modo, paradossalmente, anche verso la propria forma politica); per il movimento operaio, all'inverso, questa forma politica si convertì nel mezzo mediante cui sarebbe stato possibile eludere prudentemente la critica categoriale della forma (una critica che, in qualche misura, poteva essere solo contemplata di sottecchi e che provocava timori) e conquistare il riconoscimento (con successo, a conti fatti) dentro il capitalismo, in quanto soggetto del lavoro, così come sul mercato del lavoro. In questo modo, si veniva a produrre un'illusione reciproca, e Marx diventava non solo, nella sua condizione essoterica, il rappresentante scientifico del movimento operaio, ma incarnava simultaneamente, nella sua condizione esoterica, il teorico importuno, protestatario ed imbronciato, perennemente scontento, il "so-tutto-io" predicatore di sermoni che passavano in secondo piano, diventando un fedele riflesso delle sue proprie contraddizioni in rapporto al movimento storico della classe operaia interno al capitalismo, invece che fuori da esso. L'inevitabile tensione derivante da questa relazione estremamente discrepante, fece sì che la teoria si convertisse in poco tempo nella sua canonizzazione e dogmatizzazione, come normalmente avviene quando la propria concezione del mondo reca in sé un punto cieco che non può essere tematizzato. E' vero che Marx arrivò ad osservare ironicamente che lui non era "marxista", ma non gli servì a niente. Per trasformare, e insieme scomunicare, la contraddizione teorica nell'ideologia di un "ismo", l‘unica possibilità era quella di adeguare la sua teoria ad una ricezione che equivalesse alle necessità del movimento operaio. E questa ideologizzazione ha fatto con Marx quello che accade con ogni pensatore che sta in modo non-simultaneo nel proprio tempo, ma allo stesso tempo avanti rispetto ad esso: solo per questo - come Marx essoterico - è stato elevato alla condizione di dogma, per essere invece degradato come Marx esoterico, e ricevere un calcio nel culo. E con più veemenza proprio da parte dagli ideologhi "marxisti" del partito e dagli eruditi accademici, da Karl Kautsky fino ad Oskar Negt. Forse non c'è nessun altro pensatore moderno cui meglio si attagli la seguente frase dell'aforista polacco Stanislaw Jerzy Lec: "Lo hanno lapiidato innalzandogli un monumento". Questa lapidazione del Marx esoterico continuò dopo la sua morte per un periodo di oltre un secolo. Durante il "breve" XX secolo, delimitato dalle date storiche del 1914 e del 1989, non ci fu nessun avanzamento della critica categorica nella teoria marxista né una conseguente nuova qualità della riflessione sociale, ma, al contrario, si poté assistere all'ascesa reiterata e, alla fine, alla caduta del Marx essoterico della modernizzazione positivamente immanente, nel quadro di un nuovo livello di non-simultaneità storica dentro il capitalismo. Considerato che il XX secolo non arrivò a rappresentare - nonostante le due guerre mondiali e la crisi economica mondiale (1929-1933) - il secolo della maturazione della crisi e della trasformazione del capitalismo ma, al contrario, rappresentò essenzialmente l'epoca della seconda ondata della "modernizzazione rigeneratrice". Solo allora le grandi regioni mondiali della periferia capitalista, la grande maggioranza dell'umanità, come aveva previsto Marx, entrarono nella storia mondiale. Questa seconda modernizzazione rigeneratrice del capitalismo si divise in due tendenze fra di loro intrecciate: da un lato, l'ascesa del socialismo di Stato (comunemente, capitalismo di Stato) ad Est, che esercitò la tesi di un proprio sistema mondiale, e dall'altro lato, il movimento di liberazione nazionale dei paesi coloniali dell'emisfero Sud, la cui decolonizzazione ed indipendenza civile e nazional-statale poté essere conclusa solo alla fine del secolo (in definitiva, con il ritorno di Hong Kong alla Cina). Il "big bang" di questa storia mondiale del XX secolo era stata la grande rivoluzione di Ottobre, avvenuta in Russia alla fine della prima guerra mondiale, seguita dalla rivoluzione cinese alla fine della seconda guerra mondiale, nonché le grandi guerre anticoloniali di liberazione (Algeria, Vietnam, Sud Africa) combattute nei decenni seguiti al secondo dopoguerra. Non si poteva evitare che il Marx essoterico - la cui teoria immanente della modernizzazione già svaniva, in qualche modo, dentro il movimento socialdemocratico occidentale, e veniva mescolata a scenari mobili della scienza positiva borghese - vivesse una seconda primavera nella seconda ondata storica della modernizzazione rigeneratrice. Con l'entrare nell'orizzonte globale del capitalismo, le regioni periferiche riuscivano a malapena a seguire le proprie tradizioni culturali limitate. Inoltre, mancavano di una teoria occidentale universale che facesse da sfondo legittimante e che allo stesso tempo, in quanto teoria di legittimazione universale orientata alla storia mondiale capitalista, possedesse un carattere storicamente di opposizione, per poter essere utilizzata nella competizione fra la periferia - occupata nella sua modernizzazione rigeneratrice - ed i centri già stabiliti del capitale. Di conseguenza, il Marx essoterico venne ripreso da teorici come Lenin, Stalin e Mao Tse-tung, e venne adattato alle necessità della nuova "lotta per guadagnare terreno" nella periferia capitalista. Queste esigenze differivano da quelle del movimento operaio occidentale, nella misura in cui non si trattava solo di mostrare apprezzamento per le persone che dipendevano da un salario in un capitalismo già stabilito; si trattava, assai più, di impiantare - con carattere rigenerante - le proprie categorie sociali capitaliste e, a dire il vero, molto ben oltre le esigenze di quel simile processo di modernizzazione rigeneratrice che si era registrato in Germania, Italia e Giappone, nel XIX secolo. Questo perché, in primo luogo, il ritardo nel grado di socializzazione capitalista era assai maggiore, se comparato alle discrepanza di quell'Europa più giovane; in secondo luogo, perché la "lotta per guadagnare terreno" doveva realizzarsi in un periodo di tempo molto più esiguo, e ad un livello di sviluppo del capitale mondiale più alto; e poi, in terzo luogo, perché ciò poteva avvenire solo all'interno di una competizione precaria contro un circolo dominante di carattere già globale, formato da poteri centrali altamente sviluppati e potentemente armati. In un tale contesto, la teoria marxista subì una nuova deformazione e una nuova riduzione. Gli aspetti esoterici della critica categorica - già sorti quanto meno come riflessione filosofica fuori dalla realtà e distanti dalle esigenze pratiche - sparirono quasi del tutto dalla discussione, perdutasi a metà strada fra Lenin ed i teorici della liberazione nazionale. Anche se la relazione sociale con il movimento operaio si era mantenuta dal punto di vista formale, questa si ridusse praticamente a gruppi relativamente piccoli e ad organizzazioni sindacali nel contesto di un'industrializzazione ancora fragile. Gli stessi partiti operai marxisti periferici, si convertirono in macchine burocratiche della "valorizzazione rigeneratrice" delle società che ancora non erano permeate dalla forma economica capitalista. Non erano solo i rappresentanti dell'inquietudine interna del capitalismo o dell'ulteriore sviluppo di un capitalismo orientato verso lo Stato di diritto o verso lo Stato sociale, come i partiti fratelli dell'occidente; in più ( e nel caso di Lenin, anche in maniera relativamente consapevole), in senso astratto pan-sociale, dovevano "agire da borghesia", perché la borghesia sociale dei paesi periferici era semplicemente troppo debole per un tale compito. Per questo motivo, l'identificazione di questo marxismo periferico con ciascuna rispettiva nazione (nelle ex colonie, la nazione fu in generale un'invenzione tardiva e del tutto sintetica) acquisisce un carattere ancora più intenso che in Occidente. Il carattere paradossale di questo marxismo di legittimazione ideologica che si incontra nella seconda modernizzazione rigeneratrice, superava di molto quello registrato nei partiti operai occidentali, dal momento che in realtà si trattava di un amalgama che poteva essere spiegato solo a partire dal contesto storico speciale di "un capitalismo di sviluppo anticapitalista" o "capitalismo diretto dallo Stato", il quale, sul terreno della tensione di una non-simultaneità esterna particolarmente estrema, doveva esprimere la contraddizione della teoria marxista ad un livello ugualmente estremo. In sostanza, questa seconda ricezione del Marx essoterico avvenne in una maniera più profondamente radicale della prima, e questo non perché avesse mobilizzato la critica categorica occulta del capitalismo e avesse così aperto la strada in direzione della radice del rapporto storico, ma perché era più esposta ad un maggior carico di non-simultaneità inter-capitalista. In quanto burocrazie statali, i partiti operai marxisti non solo dovevano assumere i compiti borghesi in forma assai più enfatica di come accadesse in occidente; paradossalmente, dovevano anche impiegare la classe operaia come materiale umano del proprio processo di sfruttamento, per la prima volta su grande scala sociale! Se tale versione hard-core del marxismo essoterico si mostrò radicale, in realtà si trattava non tanto di una radicalità della critica teorica e pratica, quanto di una militanza forzata delle competenze nell'autoaffermazione inter-capitalista in gara contro i centri occidentali; militanza che per tale motivo cercò a lungo una rappresentazione marziale corrispondente, di tipo cultural-simbolico, e finì per realizzare - sotto il segno delle guerre rivoluzionarie e di indipendenza del XX secolo - il Kalachnikov, stilizzato sopra le insegne del lavoro, la falce ed il martello. Mentre non si riusciva a superare i problemi da tutto questo derivanti, con i mezzi offerti dalla teoria marxista della modernizzazione, questa differenza puramente relativa finì per portare - in seno alla ricezione di Marx - al grande scisma del movimento marxista mondiale. Tale divisione, condizionata a prima vista dall'apparente contrasto fra i riformismo moderato e la radicalità dell'Est e del Sud, in realtà rifletteva solamente la differenza nel grado di non-simultaneità e di inconcludenza della penetrazione capitalista. Per meglio spiegare: nello strato più antico della via di sviluppo occidentale, la questione girava intorno al semplice riconoscimento, già stabilito, da parte dello Stato moderno, mentre nello strato più nuovo, quello delle regioni dell'Est e del Sud, si trattava di conquistare il potere, al fine di installare una macchina statale moderna responsabile dell'industrializzazione capitalista di Stato. Si può ben capire come la forma di una radicalizzazione (centrata sulla questione del potere statale) della teoria marxista legata a questa congiuntura, potesse mobilitare nei centri occidentali solo una minoranza ideologica; il comunismo (come manifesto del nuovo impulso modernizzatore del capitalismo di Stato) in Occidente rimase una sorta di bambino maleducato, una specie di truppa ausiliaria dell'Unione Sovietica, e perciò non arrivò a superare lo status di una nota a piè di pagina della Storia, mentre manteneva invece il suo potere reale di irradiazione nelle grandi regioni della periferia mondiale. Come contropartita, la democrazia sociale dell'Occidente - saturata a causa di una partecipazione diversificata nell'amministrazione degli esseri umani e terrorizzata dalle forme crudeli della dittatura di sviluppo creata dal marxismo periferico - stava mettendo da parte, gradualmente e completamente, il suo marxismo, soffrendo una mutazione, dopo la seconda guerra mondiale, nella sua legittimazione e nei suoi programmi, per rivolgersi ad un'opaca teoria keynesiana dello Stato sociale, senza la retorica della lotta di classe e senza rivoluzione. Il bilancio: in un qualche modo, il Marx essoterico era diventato proprietà esclusiva dei ritardati storici.
Il destino della teoria marxista nel XX secolo, si può spiegare solo mediante la decifrazione dei contrasti esterni al contesto del ripudio inter-capitalista globale, dentro al quale il movimento storico-mondiale del capitalismo cominciò per la prima volta - non solo in accordo con la sua logica ma anche empiricamente - a mostrarsi come capitale mondiale, secondo la scienza capitalista, sotto forma di una competizione distruttiva e sotto forma di grandi catastrofi di dimensioni impreviste. Dentro tale evoluzione, si sovrapposero varie ondate di sviluppo, la cui reciproca influenza creò sistemi globali e rapporti di concorrenza solo provvisoriamente stabili. Il "secolo del movimento operaio (occidentale)" (approssimativamente dal 1848 al 1945) si incrociò col "secolo delle rivoluzioni nazionali di sviluppo" (dal 1918 al 1989) e con la lotta per il dominio capitalista su scala mondiale in seno al Centro, lotta che venne definitivamente risolta nel 1945, con l'inizio della "Pax Americana". Dopo la seconda guerra mondiale, tutto questo processo si manifestò attraverso la congiuntura formata dai "tre mondi", la quale segnò specialmente la seconda metà del XX secolo: il "Primo Mondo" del vecchio centro capitalista, sotto la discussa egemonia degli Stati Uniti; il "Secondo Mondo", rappresentato dal comunismo di Stato dell'Est, sotto la direzione dell'Unione Sovietica; e infine il "Terzo Mondo", composto da quei movimenti post-coloniali di liberazione nazionale e dalle dittature di sviluppo delle più diverse tendenze, esistenti nell'emisfero Sud del pianeta. Ovest ed Est, il Primo ed il Secondo Mondo si affrontavano, nella Guerra Fredda, in un cosiddetto conflitto di sistemi, mentre il Terzo Mondo si organizzava in parte nel gruppo dei cosiddetti paesi non allineati (con una chiara tendenza verso il socialismo di Stato), ed in parte diventava lo scenario di "guerre per procura" di entrambi i primi due blocchi.
La teoria marxista, che nella sua forma essoterica rimodellata scosse tutta quest'epoca, a partire dalla periferia, finì per essere del tutto sfigurata da entrambe le parti, fino ad essere irriconoscibile. Se all'inizio, quando la giovane Unione Sovietica si trovava ancora legata, culturalmente ed intellettualmente, alla politica ed alla storia umanista dell'Occidente (trasmessa dai socialisti emigrati sotto il regime zarista), e veniva ancora mantenuto, apparentemente, il pathos emancipatore dell' "uomo nuovo" e del "tempo nuovo" sovraccaricato di utopia, ben presto prevalse il carattere modernizzatore del capitalismo di Stato costruito dal regime sovietico e da tutte le dittature di sviluppo successive, per cui non figurava, come punto centrale, l'emancipazione sociale dell'essere umano, bensì la sua trasformazione in materiale di una partecipazione, sotto la supervisione dello Stato, al Mercato mondiale. In tal modo, non sorprende che subito dopo apparissero, non solo quelle forme di lavoro, di moneta e di mercato dello Stato burocratico, caratteristiche del punto di vista capitalista ma, una volta dissipatasi la polvere ideologia della rivoluzione, anche i consueti atti criminali della modernizzazione. A questo punto, l'Occidente, intimorito, nel corso della Guerra Fredda, da quell'ala antagonista radicata, rappresentata dai ritardati storici, elesse Marx e la sua teoria ad immagine della rappresentazione negativa di tutto l'Impero del Male; mentre i paesi del blocco orientale del capitalismo di Stato lo dipingevano come icona leggittimatrice di una speranza oscurata da molto tempo proprio dai regimi dell'industrializzazione dittatoriale di sviluppo. Nel suo abbaglio, l'Occidente non voleva riconoscere in un tale "Est marxista" ( e parte del Sud) l'immagine del proprio passato, anche quando l'Est cercava di imitare, nei successivi anni 1970, arrivando a sfiorare il ridicolo, non solo le categorie capitaliste, ma anche il modo di vita e di consumo capitalista ad un livello relativamente inferiore, sotto il manto della burocrazia di Stato.
Verso la fine del miracolo economico occidentale - quel grande boom del dopoguerra delle industrie fordiste, con l'automobile come bene centrale di produzione e di consumo - il Marx essoterico sperimentò ancora una volta - a dire la verità, ben oltre la sua epoca storica - un'insperata terza primavera, questa volta nella forma di quel grande movimento occidentale di giovani e studenti che si accompagnò a fenomeni simili anche nell'Est europeo (la Primavera di Praga) e nel Terzo Mondo. Ma questa terza primavera fu appena una fresca brezza e l'unica cosa che fece fu sfiorare lievemente, come movimento simbolico-culturale, la superficie della società. Il tentativo di arricchire questo movimento con il pathos nazional-rivoluzionario del Terzo Mondo e di riprendere di nuovo, in un grande piano strategico, la ricezione del Marx essoterico come forza storica globale, ben presto svanì in una cultura pop romantico-rivoluzionaria. Solo un'infima minoranza cercò di mettere in pratica un tale opzione strategica destinata al fallimento, con azioni militari kamikaze isolate e quasi esistenzialiste (come, per esempio, in Germania, la Rote-Armee-Fraktion). A questo punto, la teoria marxista non veniva più ripensata allo stesso livello dello sviluppo raggiunto dalle forme sociali capitaliste; al contrario, veniva reimportata in una forma concettuale assai impotente dalla periferia, la cui modernizzazione di recupero, dal punto di vista economico e strutturale, era già sul punto di fallire; sebbene la teoria si apprestasse a vivere i suoi ultimi trionfi rivoluzionari. Per quanto riguardava le metropoli capitaliste, ciò che era rimasto come residuo, o come avanzo della vecchia funzione della modernizzazione - nell'orizzonte della comprensione del Marx essoterico –, era un impulso controrivoluzionario del movimento del '68 verso lo scatenamento dell'ultimo stadio dell'individualità capitalista postmoderna: le tematiche intorno alla solita cultura critica, all'anti-autoritarismo, alla "rivoluzione sessuale" ed altre campagne del genere - tutte ancora adornate dal dizionario marxista imposto dal movimento giovanile e studentesco - finirono per trasformarsi in vari piani di management e marketing d'avanguardia, in una commercializzazione dell'intimo ed in una nuova auto-imprenditorialità della forza lavoro. Mentre i cosiddetti nuovi movimenti sociali, che dal '68 fino alla metà degli 1980 avevano intrapreso diversi tentativi di contro-cultura, si vedevano ancora (o si vedevano per sbaglio) come un'opposizione sociale fondamentale, ed ogni volta si riferivano con sempre meno frequenza alla critica marxista dell'economia politica. Era evidente che il potenziale delle interpretazioni marxiste già non bastava più, ai fini di una spiegazione progressista della realtà. Però, se non si ricorreva alla teoria marxista, l'analisi finiva per mancare di profondità critica, ed i movimenti andavano perdendo la loro forza, sciogliendosi o dissolvendosi dentro il capitalismo come subcultura e come politica lobbista dei gruppi isolati. Con l'estinzione di quel focolaio, finalmente il Marx essoterico poté sparire per sempre. Ma per mancanza di riflessione storica e teorica circa la sua importanza, questo esaurimento del paradigma marxista venne invece interpretato come se la critica del capitalismo dovesse essere archiviata perché si era trattato di un vero inganno. Questa superficiale impressione sembrò confermata quando nel 1989 - in modo ironico, nel preciso momento in cui doveva celebrarsi il secondo centenario della Rivoluzione francese - si sbriciolò il fragile impero del capitalismo di Stato dell'Est europeo, che sprofondò, quasi senza far rumore, nell'inferno della Storia. Il socialismo reale, che tanto era stato evocato nel nome del Marx essoterico, semplicemente aveva perso ogni sua realtà. E dopo di questo, già non si tenevano più: anche dentro il modo di vedere tipico della Guerra Fredda, quella rottura epocale, tanto inusitata quanto incompresa, venne proclamata, da tutti i versanti politici e teorici, come una vittoria decisiva della "economia di mercato e della democrazia"; formula che ancora ci perseguita come una melodia piatta e orecchiabile, fabbricata per essere venduta ai clienti del Kaufhaus des Westens (nota: Letteralmente significa "Centro Commerciale dell'Ovest. A Berlino Ovest, durante la Guerra Fredda, venne costruito un settore dove si stabilorono lussuosi negozi di lusso, dedicati ai rami più diversi, dalle scarpe e dai libri fino all'alimentazione con la miglior gastronomia. La struttura, che si trovava dentro il corridoio turistico centrale di Berlino, serviva - e ancora serve - come vetrina della modernizzazione e della potenza economico-commerciale della Germania occidentale, soprattutto all'epoca del Muro di Berlino, poiché si contrapponeva alla scarsa varietà commerciale della Berlino orientale - settore comunista). A quel tempo, dentro la visione, storicamente a corto raggio, della Guerra Fredda, il contro-sistema marxista, e con esso l'alternativa storica al capitalismo, appariva fallito. E a partire dalla prospettiva di una sinistra in evidente e rapida dissoluzione - che sapeva solo pensare nella maniera immanente del Marx essoterico - bisognava abbassare la testa e mostrarsi d'accordo con una simile valutazione. Da un lato, i grandi movimenti della fuga precipitosa verso un "realismo" conforme al capitalismo, con le loro conseguenze di una gara grottesca, e dall'altro la triste ed ostinata nostalgia marxista di una minoranza disorientata, sembravano sigillare definitivamente il destino della teoria marxista. Completamente fuori da ogni considerazione, rimaneva il fatto che qualcuno potesse avere un'altra interpretazione, molto differente, degli sviluppi e degli avvenimenti registrati; e in effetti ci sarebbe stata un'interpretazione di quel Marx esoterico represso, e la sua critica radicale categorica. Secondo questo punto di vista totalmente differente, del quale anche l'opinione pubblica teorica prendeva atto con riluttanza, non era stata l'alternativa storica ad aver fallito ma, al contrario, la modernizzazione di recupero della periferia. Se, a partire dal punto di vista della non-simultaneità esterna del XIX secolo, la "lotta per guadagnare terreno" era riuscita a raggiungere relativamente i suoi fini, dopo i successi iniziali aveva finito per crollare, nel XX secolo, nonostante gli enormi sforzi messi in atto. Le ragioni di questa sconfitta risiedevano proprio nello stadio di sviluppo del sistema capitalista mondiale: in condizioni di integrazione progressiva resa possibile dal commercio mondiale e dai mercati finanziari, ai ritardati storici sarebbe comunque mancato il fiato, al più tardi con terza rivoluzione industriale (microelettronica). Alla fine dei conti, non si trovavano in condizione (o solo al prezzo di un indebitamento esterno precario) di ottenere quella forza del capitale da destinare a questo nuovo armamentario tecnologico dell'apparato totale di produzione. In tal modo, avevano perso competitività sul mercato mondiale e, in una reazione a catena, si era aperta la discrepanza tra i prezzi di importazione e quelli di esportazione (termini di scambio) a detrimento di quest'ultimi, di modo che non avevano potuto ottenere le valute sufficienti, trovandosi così obbligati, alla fine, a capitolare in quanto economie nazionali autonome. Adesso, perfino i portavoce dell'economia di mercato e della democrazia, così come i neoliberisti della linea dura, incominciano a vedere con chiarezza che la crisi mondiale attualmente in corso, provocata dai successivi crolli nazionali-economici, non può essere risolta in alcun modo per mezzo di un semplice cambiamento nel campo politico-ideologico ed istituzionale, passando dal piano statale alla competizione del mercato, dal protezionismo relativo all'apertura del mercato, e dalla fallita dittatura uni-partitaria di sviluppo ad un parlamentarismo democratico. No, questa crisi è molto più profonda. Come bene lo hanno dimostrato i crolli subiti, e non ancora superati in assoluto, dalle "tigri" del Sud-Est asiatico -con la loro apparente economia miracolosa: non sono state solo le economie nettamente socialiste della periferia ad aver incontrato i loro limiti storici. Diventa sempre più chiaro che il capitalismo occidentale non può integrare, in un sistema mondiale unificato sotto la sua egida esclusiva, quei ritardati storici che hanno fallito nei loro tentativi autonomi di recuperare terreno e tempo perduto. La non-simultaneità inter-capitalista non è stata abolita in maniera positiva, ma soltanto in maniera negativa. Sotto la pressione di modelli di produttività e di redditività globalmente unificati, oggi una gran parte dell'umanità non riesce ad esistere dentro le forme sociali capitalistiche. Di più: in maniera inequivocabile, la crisi globale si manifesta anche dentro gli stessi paesi del nucleo capitalista, sebbene per il momento rimanga occultata grazie ad un nuovo capitalismo finanziario fuori dalla realtà, il quale può essere interpretato, a sua volta, come un fenomeno di crisi. Quanto più chiaramente, i fatti proclamano questa verità ai quattro venti, tanto maggiore è la confusione. Si deve, per esempio, riesumare la sepolta critica marxista al capitalismo e semplicemente rivitalizzare e ripetere i concetti ormai dimenticati della lotta di classe e di un'economia politica (di cui anche questi fanno parte) di un'epoca già scomparsa? La scienza ufficiale e l'opinione pubblica borghese persistono, con successo, a rianimare un dibattito balbuziente e superfluo. Apparentemente, non ci sarebbe alcuna possibilità di esprimere con chiarezza gli evidenti fenomeni di crisi, e sviluppare alternative sociali storiche (da cui anche il discorso ostinato, al confine con l'ignoranza, dell' "economia di mercato senza alternativa"). Come 150 anni fa, solo il Marx essoterico di una teoria della modernizzazione positiva rimane presente nella coscienza sociale, la teoria sociale soffre di una paralisi estrema.
In gran parte, i pochi gruppuscoli marxisti che rimangono non fanno praticamente niente per invertire questo stato di cose. Al contrario, rafforzano la paralisi e confermano con grande presunzione - quando riconsiderano il passato - lo stesso film che mostra il paradigma naufragato del Marx essoterico. Le bandiere e gli slogan delle rivoluzioni dello sviluppo di recupero sono già finite nel baule postmoderno delle vecchie cianfrusaglie. "Falce e martello" appaiono accanto ai simboli religiosi e a quelli di altra natura, come un accessorio sprovvisto del suo contenuto già diventato storico, e i fondi di investimento e le società di noleggio di automobili fanno pubblicità delle loro "rivoluzionarie" idee commerciali per mezzo di immagini alienate di Lenin. Ma il marxismo che è rimasto riflette instancabilmente sulla differenza qualitativa, peraltro ovvia, tra il socialismo reale de-realizzato ed il modo di produzione capitalista. E questo succede, sebbene la loro identità positiva sia stata ormai provata praticamente dal fatto che questo socialismo poteva solo fallire, secondo i criteri capitalisti, proprio perché questi criteri erano anche i suoi. Attualmente, si delinea un nuovo fronte di ritirata della sinistra globale, nel quale i concetti del Marx essoterico ("lotta di classe",ecc.) si legano agli elementi della dottrina economica keynesiana (interventi parziali dello Stato e sostegni sociali-statali da parte del capitalismo, ecc.). Alla guida di questa tendenza, si distingue il sociologo francese Pierre Bourdieu, che ha proclamato categoricamente la "difesa della civiltà keynesiana" contro la marcia trionfale del neoliberismo. A fronte della maggioranza dei "realisti" ex-di sinistra che ora, alla cieca, partecipano a tutto ciò che il capitalismo richiede - dall'esigenza di bassi salari per alcuni settori fino all'entrata in guerra della NATO - questo pronunciamento fatto da Pierre Bordeau, che chiama alla resistenza intellettuale e sociale, ci sembra estremamente simpatico. Ma questo atteggiamento dell'opposizione di sinistra non ha più alcuna autonomia storica, nessuna sostanza e nessuna prospettiva sociale. Al contrario della necromanzia dogmatica degli ultimi "credenti" che vivono fuori dalla realtà, l'iniziativa di Bourdieu può apparire non dogmatica e nuova solo per il seguente motivo: si tratta di una combinazione ideologica di due contenuti antichi e decrepiti, una volta antagonisti. In una tale circostanza, il riferimento al Marx essoterico appare senza dubbio solamente come evocazione rituale della lotta di classe, che rimane come retorica di accompagnamento, mentre per noi, per quanto riguarda il contenuto, si tratta solo di un'opaca nostalgia keynesiana. Così, per esempio, la rivendicazione irrimediabilmente ingenua di un "controllo politico dei mercati finanziari trans-nazionali" ripete quello stesso modello di un'epoca passata, ossia l'idea di una regolamentazione e di una moderazione statal-politica delle categorie reali capitalistiche non abolite, in un mondo che da molto tempo ha smesso di impegnarsi nel farlo. Il deficit di spesa della moderazione statale keynesiana è stato divorato dall'inflazione negli anni ‘70 e ‘80, in quanto il controllo monetario nazional-statale venne demolito dalla globalizzazione. Per questa ragione, un tale modello non soddisfa a nessuno standard della realtà inter-capitalista. Rimane come reminiscenza ideologica, e solo per questo è possibile uno strano matrimonio misto tra Marx ed il Keynesismo; matrimonio che subì la burla del marxismo degli anni ‘70, che era, esso stesso, solo una risonanza storica. In maniera reale, il keynesismo occidentale è fallito tanto quanto è fallito il capitalismo di Stato dell'Est nella seconda modernizzazione riparatrice. Tale posizione riesce ad apparire nuova al "radicale di sinistra", dal punto di vista formale, unicamente perché il sistema di coordinamento fra lo sviluppo e la coscienza sociale ha subito un dislocamento. Tuttavia, la sinistra riunita intorno a questa posizione - che è solo una battaglia che serve a coprire la ritirata - a dire il vero non si presenta con il suo nome marxista, bensì va ad annusare nel cassonetto del pattume storico gli stracci usati e gettati via dalla scienza economica borghese. Il fatto di non trovarci, in alcun modo, davanti ad un ritorno del Marx essoterico, lo si può dedurre anche dalla constatazione che la prospettiva di Bourdieau non si riferisce al futuro di un nuovo impulso di sviluppo capitalista da discutere febbrilmente, che possa essere, come in quel maggio lontano, presumibilmente legato all' "anticapitalismo"; ma si riferisce solo al passato ormai svanito del boom capitalista del dopoguerra, con le sue norme statal-sociali e con l'espansione del settore pubblico.
Perché mai la coscienza sociale si rifugia nello spettro di idee che rifiutano il pensiero che la nuova crisi globale del XXI secolo possa essere una crisi categoriale del capitalismo? Perché il Marx esoterico, represso ed imprigionato, in un mondo filosofico o in un futuro lontano e senza importanza per qualsiasi critica pratica, ha così tante difficoltà a far valere i suoi diritti?
C'è tutta una serie di ragioni, con cui si può rispondere a questa domanda. E tutte, hanno a che vedere con le dimensioni di questa nuova crisi che non può essere superata con le forme di azione e di coscienza finora vigenti. L'orizzonte di sviluppo interno capitalista è svanito, e non si può formulare un'opposizione emancipatrice dentro le categorie del moderno sistema di produzione di merci. Questo significa che non è possibile lottare semplicemente contro un nemico esterno facilmente definibile (la "classe possidente", le "forze reazionarie", "l'imperialismo" delle potenze costituite, ecc.), ma significa anche che la forma stessa del soggetto e dell'azione (capitalisticamente costruita) è stata liberata. Questo è tanto difficile da capire, quanto da sopportare.
E' evidente che lo sviluppo storico sia entrato in una zona tabù. Solo in superficie, il capitalismo è stato un processo per abbattere i tabù. In questa società, alla fine del suo sviluppo, (quasi) tutto è permesso, a condizione, tuttavia, che questo tutto si possa vendere e comprare. Ciò nonostante, l'apparente arbitrarietà universale si ritrova al tempo stesso limitata da forme completamente non-arbitrarie, in una certa misura dogmatiche, unidimensionali e senza alternative al valore, alla merce, al denaro e alla concorrenza su cui si basa la forma e la sostanza economico-imprenditoriale del "lavoro". Questa dittatura della forma sociale, la quale frattanto ha inglobato anche l'amore, il tempo libero, la religione, l'arte, ecc., non tollera altri dei. Ma non appena questo tabù viene a costituirsi, per mezzo di postulati e proibizioni esterne, essendo esso stesso regolato dalla forma moderna della coscienza e del soggetto ed essendo radicato, di conseguenza, molto più profondamente di tutti gli antichi contesti-tabù, risulta anche molto più difficile fare qualche progresso. Chi, per esempio, mette in discussione il sistema di guadagnare soldi, può aspettarsi che verrà dichiarato, dal senso comune, un caso psichiatrico. Giustamente, gli ultimi dinosauri del marxismo essoterico che sono rimasti - i cui rappresentanti hanno sempre reagito con paura, e mettendosi sulla difensiva, alle conseguenze esoteriche del loro maestro - considerano un tale pretesa come "esoterismo", cosa che, dalla loro ottica, senza dubbio, deve significare semplicemente irrazionalità, ciarlataneria, ecc.. L'idea che proprio il capitalismo possa avere espulso le forze produttrici oltre i limiti della soggettività "guadagnatrice di denaro" dell'essere umano moderno, li può solo scioccare e suscitare la loro totale incredulità. Per riuscire ad arrivare ad aprire uno spazio discorsivo alla critica categorica del Marx esoterico nei confronti del modo di produzione capitalista, ovviamente è necessario, in primo luogo, superare uno stadio preliminare; precisamente quella zona in cui le domande sono tabù: ché non si fanno certe domande e di certe cose non si parla. Poi si tratta di tematizzare i prerequisiti, finora taciti, che non erano analizzabili. E' stato il fatto di essere stato il primo ed unico teorico moderno ad avere "espresso a parole" il tacito a priori del sistema di produzione delle merci che ha portato ad una presunta "inintelligibilità" ed al "carattere filosofico fuori della realtà" del Marx esoterico. D'altra parte, la scienza economica - e insieme ad essa tutte le altre scienze sociali pienamente sviluppate (che oggi, in definitiva, sono degradate a semplici scienze ausiliare, per non dire "polizie ausiliarie" della scienza economica) - non ha come oggetto le categorie capitaliste di lavoro, valore, merce, denaro, mercato, ecc., ma le accetta solo come tacito prerequisito del suo ragionamento "scientifico". La forma del soggetto di scambio delle merci, la trasformazione della forza lavoro in denaro e del capitale-denaro in plusvalore (profitto) non viene indagata in cerca del suo "che cosa" o del suo "perché", ma solo in cerca del suo "come" funzionale, somigliante al modo in cui gli scienziati naturali analizzano solo il "come" delle cosiddette leggi naturali. Il primo ostacolo di una critica categorica al capitalismo, consiste, pertanto, nel cancellare a queste categorie il loro status di tacita ovvietà, e renderle esplicite e perciò, e solo allora, criticabili.
La sociologia culturale ha già sviluppato ampiamente, in forma astratta, come problema metodologico, la questione di una critica possibile ad un presupposto cieco. La trasformazione di una "dimensione tacita" (Michael Polanyi) dell'implicito, in un esplicito espresso per mezzo della lingua; la tematizzazione del momento finora indicibile come problema di comunicazione nelle epoche di crisi e di transizione, è diventato un luogo comune dentro le analisi storico-culturali. Ma in gran parte questo problema non è stato tematizzato con intento critico - se non positivo, come per esempio nella riflessione della teoria sistemica (Luhman), costruendo uno "telone di sfondo di ovvietà" che mira alla "riduzione della complessità". Su questa linea di pensiero, il tacito carattere aprioristico delle categorie capitaliste emerge come una sorta di sollievo per l'esistenza, e la sua crisi fondamentale non viene nemmeno presa in considerazione, in alcun modo, come possibilità. Ma quando il problema è stato affrontato come impulso tematizzante nel corso delle transizioni critiche, allora questo si è verificato. Sia per l'osservazione di epoche lontane (per esempio, da parte del filosofo Karl Jaspers, in relazione alla cosiddetta "era assiale" del V secolo avanti Cristo, quando ebbe luogo un primo grande impulso di separazione fra il mondo terreno e quello divino, insieme ad una rivoluzione degli ordini sociali), sia per l'investigazione delle ovvietà implicite nella vita quotidiana, le quali vengono espresse in parole e messe in discussione dallo sviluppo della meta-struttura sociale. La spiegazione del telone di sfondo implicito diventa affermativa solo con il capitalismo nel momento in cui coincide ampliamente con esso; ciò che il filosofo Jürgen Habermas chiamò "colonizzazione del mondo vitale". E' il capitalismo stesso, la prima ed unica forma sociale di dinamica cieca, che mette in discussione ovvietà permanentemente implicite nella vita quotidiana, come l'attività professionale, la convivenza sociale, la cultura, ecc., a partire queste ovvietà - senza dubbio, in nessun modo nel senso di un'emancipazione sociale, bensì, al contrario, come sottomissione totale dell'essere umano ai ciechi processi di mercato. Il problema della tematizzazione di quello che finora non è stato oggetto di comunicazione, diverrà fecondo in maniera emancipatrice solo quando questa ricerca si volgerà verso gli "assiomi impliciti" del capitalismo stesso - ossia, con il Marx esoterico, tornerà ad indagare la tematizzazione delle forme sociali categoriche che sono, per l'era moderna, il telone di sfondo tacito. Il concetto centrale del Marx esoterico, che rappresenta questa tematizzazione critica, e con essa il commiato emancipatore dalla modernità, è il concetto di "feticismo". A partire da esso, Marx mostra come l'apparente razionalità della modernità capitalista rappresenta solo, in un certo modo, la razionalità interiore di un sistema assurdo oggettivato: una specie di fede secolarizzata nelle cose, che si manifesta con le astrazioni, rese palpabili, del sistema di produzione di merci, delle sue crisi, assurdità e risultati distruttivi per l'essere umano e per la natura. Nell'autonomizzazione della cosiddetta economia, nella feticizzazione del lavoro, il valore ed il denaro si oppongono agli esseri umani, alla loro socievolezza, come un potere estraneo ed esteriore. Lo scandalo consiste nel fatto che questa autonomizzazione spaventosa, fantasmagorica e distruttiva delle cose morte, economicizzate, ha preso la forma dell'ovvietà assiomatica. Col suo concetto di feticcio, che il Marx esoterico estese anche allo Stato, alla politica ed alla democrazia, si è prodotto quello che ogni grande scopritore produce nelle cose umane: trasforma l'apparentemente semplice, il quotidiano, la "dimensione silenziosa" dell'ovvio nello strano, in quel che manca di spiegazione e nell'erroneo. Il Marx esoterico, a differenza del suo sosia essoterico immanente alla modernizzazione, nel detronizzare la modernità dalla sua posizione di regina dentro la Storia, non giustifica e non idealizza, come hanno fatto i critici meramente reazionari dell'era moderna, le relazioni delle società agrarie pre-moderne, ma, al contrario, inserisce l'era moderna nel contesto di una storia sociale di sofferenza dell'umanità, una storia non soppressa, inscritta nell'orizzonte di un ancor valido "non-ancora ". Quando il Marx classico analizza la Storia come se fosse un tutto, nel senso del concetto hegeliano, orientato al materialismo, allo sviluppo e al progresso, lo fa per mezzo del concetto di una "Storia di lotte di classe": proietta, pertanto, il processo di sviluppo e di imposizione inter-capitalista a tutta la Storia esistente fino a quel momento. E' solo col concetto di feticcio, impiegato dal Marx esoterico, che diventa possibile descrivere, ad un livello di astrazione più elevato, l'insieme di tutte le forme sociali sorte finora, non solo mediante retroproiezioni dell'era moderna: per quanto differenti le loro relazioni possono essere state, non ci sono mai state società autocoscienti che hanno potuto decidere liberamente circa l'impiego delle loro possibilità; ci sono sempre state società che sono state dirette con i mezzi feticisti dalle più diverse classi (rituali, personificazioni, tradizione determinate dalla religione, ecc.). Sotto questo punto di vista, si dovrebbe parlare di una "storia delle relazioni di feticcio". In tal senso, il moderno sistema di produzione di merci, con la sua economia autonomizzata irrazionalmente, rappresenta solo l'ultima forma di feticismo sociale, attraversato dalla sua cieca dinamica. Il compito che ne risulta rende manifesta finalmente la vera dimensione della crisi globale del XXI secolo. Si tratta - secondo le parole di Marx, e dette con la stessa audacia - non solo della fine alla storia capitalista, ma anche del problema di un superamento della storia esistente finora, comparabile con la cosiddetta rivoluzione neolitica o con quella rivoluzione dell' "era assiale" di cui parlavamo prima. Non è solo l'era della Guerra Fredda ad essere arrivata alla fine, ma anche la storia mondiale della modernizzazione in generale, e non solo la storia specificamente moderna, ma la storia mondiale delle relazioni di feticcio in generale. L'ipotetica riduzione della complessità per mezzo della macchina sociale capitalista - che ha sempre rappresentato più ideologia che realtà - si trasforma alla fine in distruzione. Anche per tale ragione, il salto è tanto grande e ci riempie di timore. Ma le relazioni di crisi, diventate irriconoscibili attraverso la loro continua evoluzione, reclamano implacabilmente: laddove c'era incoscienza sociale (dalla "mano invisibile" del culto degli antenati fino alla "mano invisibile" del mercato capitalista globale), dovrà sorgere coscienza sociale. In luogo di un mezzo cieco, bisognerà che sorga un processo decisionale sociale cosciente, organizzato da istituzioni autodeterminate (non stabilite a priori), oltre il mercato e oltre lo Stato.
Invece di prendere, infine, sul serio i postulati del Marx esoterico, a fronte della crisi mondiale, e conseguire una riflessione critica che vada oltre il paradigma della modernizzazione ormai esausta, le scienze sociali disarmate tentano di ingannarci circa questo compito. Non solo non vogliono nessun altro livello di riflessione se non quello di prorogare ancora una volta la vecchia forma di riflessione immanente alla storia dell'imposizione capitalista, andata oltre la sua data di scadenza. Per questo, il sociologo Ulrich Beck ha inventato il termine di "modernizzazione riflessiva". Ma quest'espressione che ha finito per essere parecchio utilizzata e recitata in modo incosciente, è un’espressione vuota ed è un involucro illusorio, in quanto la riflessività postulata non si riferisce, in assoluto, ad un modo di combattere il capitalismo, ma solo ad una pura fenomenologia. In altre parole: si suppone che, sempre nella cecità del contesto capitalista, la società dovrebbe comportarsi "riflessivamente" solo in rapporto ai diversi fenomeni e alle diverse conseguenze del suo comportamento insensato e distruttivo. Lo stesso carattere lamentoso hanno le ricette proposte, che vanno dal "lavoro civile retribuito" fino alla "amministrazione vicino al cittadino", ecc.. Non pretendono di arrivare ad una nuova forma di società che vada oltre il mercato e lo Stato, ma sarebbe la cosiddetta "società civile" - a dire il vero già da molto tempo corrosa dalla colonizzazione capitalista del mondo vitale - che, in quanto organo incaricato dei servizi di riparazione, dovrebbe sconfiggere la crisi che è scoppiata nei pori e in tutti i recessi esistenti fra il mercato e lo Stato. Questa prospettiva appare tanto irrimediabilmente irrealistica quanto la pretesa di resuscitare lo Stato sociale keynesiano che sta affondando. Fondamentalmente, il suo obiettivo è semplicemente quello di provare a compensare la soppressione degli obblighi sociali per mezzo della carità privata e dell'auto-attività morale sprovvista di senso critico. Non importa quali giravolte si fanno: non c'è alcun modo di eludere Marx, anche quando attualmente il "ritorno a Marx" si riferisce soltanto alla critica radicale categorica del feticismo dell'era moderna, una critica che è state repressa fino al giorno d'oggi. E non ci sarebbe niente da obiettare nei riguardi di questo Marx esoterico neanche se, per esempio, si insinuasse il sospetto di cattivo utopismo da parte sua. Con il Marx essoterico della modernizzazione, che accolse in modo compiaciuto gli utopisti nel pantheon dei suoi precursori, accadde esattamente il contrario. L'utopia può essere sempre letta dentro la storia della modernizzazione, come un appello all'ideale capitalista (ideologico) a fronte di una cattiva realtà capitalista. L'utopia è la malattia infantile del capitalismo, non del comunismo. Per questa ragione, anche il Marx esoterico è del tutto non utopico ed anti-utopico. Nel suo caso non si tratta né del paradiso in terra né della costruzione di un nuovo essere umano, bensì del superamento delle esigenze capitaliste sull'essere umano, della fine delle catastrofi sociali prodotte dal capitalismo. Niente di più, niente di meno. Il fatto che questo sarà possibile solo se verrà superata la storia avvenuta fino al presente come una storia di feticci, non appartiene all'arroganza della critica, ma all'arroganza del capitalismo. Anche dopo il capitalismo, continueranno ad esserci malattie e morte, invidia ed individui disprezzabili. Solo che non esisterà una paradossale povertà di massa, prodotta dalla produzione astratta di ricchezza: non esisterà un sistema autonomizzato di relazioni feticiste né forme sociali dogmatiche. L'obiettivo è grande, proprio perché, rispetto all'esaltazione utopica, si rivela relativamente modesto e non promette niente di più che liberare da delle sofferenze del tutto non necessarie.
- Robert Kurz -
fonte: Pimienta Negra, Critica Radical de la Cultura