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La tradizionale prospettiva indiana della Futurologia

Creato il 18 febbraio 2013 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
La tradizionale prospettiva indiana della Futurologia

Ogni riferimento al contributo della civiltà indiana ai metodi per prevedere e pianificare il futuro dovrebbe iniziare dal riconoscere che la cultura indiana ha conservato la memoria di un lungo periodo di tempo, risalente non solo a secoli e millenni, come nel caso di altre parti del mondo ma, anzi, a miliardi e anche trilioni di anni in un modello di evoluzione spiraliforme che ricorre ciclicamente. Il detto latino Nihil novi sub sole si applica estremamente bene alla visione del mondo indiana. “Ciò che è stato rimane e si ripeterà” può essere un’altra espressione in grado di definirla, nonostante questa rivoluzione del tempo, circolare e pulsante, intorno ad un asse eterno, non neghi il progresso più di quanto non condanni l’umanità ad andare per sempre avanti inutilmente, come se si muovesse lungo un raggio in continuo mutamento, e tutto ciò sta a significare che nessun evento si ripeterà mai esattamente nel suo percorso.

Una spirale, per definizione, nasce dal suo seme iniziale mentre ruota, e i giri s’inseriscono all’interno del più ampio processo evolutivo, il quale è regolato da una legge immanente e trascendente: la Ṛta (di cui quattro derivati sono il greco rythmos, il latino rites e ratio e l’inglese rut o rate, il cinese tao) che allude al Dharma: il principio del mantenimento. Il Dharma è rappresentato da una ruota soprattutto nell’iconografia buddhista: la ruota della Legge, il cui movimento può anche essere descritto come quello di una spirale nel momento in cui cresce per racchiudere l’intero universo, come fosse una galassia in espansione. Questa nozione fondamentale di spazio-tempo è simile a un quadro relativistico frattale, una griglia o una matrice che determina tutte le cose, ma che è essa stessa incorporata in una meta-struttura di spazio-tempo-vuoto (parabrahman, sunya).

I cicli cosmici più ampi si riflettono in cicli sempre più brevi, naturali e umani, i quali sono tuttavia soggetti a deformazioni dovute a un numero di fattori psicologici ed esistenziali. Secondo il punto di vista indiano, nozioni astratte ed “umanistiche” come “democrazia”, “libertà” o “felicità” sono aspetti percettivi di bisogni più profondi inclusi nell’ordine sociale indiano (e indoeuropeo) basato sui tre o quattro principali varna (colori) del genere umano, i quattro stadi della vita di un individuo, e sui quattro obiettivi della vita umana: condotta ordinata e retta (dharma), benessere materiale ed intellettuale (artha), godimento in ogni ambito (kama) e realizzazione spirituale o liberazione dall’ignoranza e dalle condizioni limitative dell’esistenza fenomenica (moksha), l’unico valore incondizionato e non-relativo.

È opportuno notare che il Mahatma Gandhi ha lottato per sradicare l’intoccabilità, considerata un male che ha logorato la vitalità della società indiana, ma generalmente promosse la validità del varnasrama dharma che sta ad indicare una realtà cosmologica, erroneamente definita in Occidente come “sistema castale”, come se fosse una particolare creazione di ciò che Marx ha definito Tirannia Orientale. La moderna ricerca “occidentale” di quegli obiettivi soggettivi e discutibilmente “secolari”, spesso, indubbiamente, contraddittori come libertà, uguaglianza e democrazia sembra, dunque, futile nel contesto indiano, poiché disconnessa da una coscienza metafisica e “gnostica” e che pone l’individuo come elemento superiore nella sua apparente natura materiale. Ciò che oggi viene generalmente accettato come democrazia è la forma di governo di tipo anglo-sassone, determinata culturalmente e radicatasi durante la prima rivoluzione industriale e l’ascesa della borghesia liberale. Questa venne estesa a gran parte del mondo, almeno in teoria, non tanto per i suoi innati meriti, ma grazie ai due secoli di supremazia coloniale ed economica dell’imperialismo protestante olandese ed inglese e alle società mercantili.

Se guardassimo indietro all’originale nozione greca di democrazia noteremmo che essa si riferiva a piccole comunità urbane e che non venne mai cercato un suo maggiore sviluppo in un quadro più ampio. Aristotele non considerava la democrazia al di sopra degli altri sistemi politici esistenti al suo tempo, pur sostenendo che questa potrebbe essere descritta come una pericolosa o degenerata forma di politeia, simmetrica all’oligarchia, l’eccesso opposto. Le città che si sono riunite politicamente hanno formato delle confederazioni (come una sorta di “sincretismo”, come avvenne sull’isola di Creta da cui deriva quel termine), e vi sono seri dubbi che il moderno sistema su base continentale o di nazione si possa definire come democratico nel senso greco del termine, benché anche in quel caso il potere fosse diviso solo fra i capi famiglia, esclusi gli schiavi e gli operai, cosicché qualsiasi tipo di sistema politico può essere definito come una democrazia fino a quando si può affermare che il popolo ne è rappresentato, almeno nei principi e nello spirito.

Tuttavia, non esiste prova del fatto che le politiche adottate dalle presunte nazioni democratiche, in patria oppure all’estero, riflettano la volontà della loro maggioranza popolare. Infatti, in molti casi è vero il contrario, dal momento che piccole élite redigono o impongono l’agenda di tutte le questioni per loro più importanti, come ha abbondantemente dimostrato la storia recente in diversi casi, ad esempio per quanto concerne le impopolari e illegali guerre in Afghanistan, Iraq e Libia, oppure le attuali politiche d’austerità applicate a discapito della parte più debole della popolazione. Negli Stati Uniti è ampiamente accettato che lo Stato sia di proprietà e funzioni per il benessere del famoso 1%, cioè dell’élite plutocratica privilegiata.

Il punto di vista indiano è profondamente pragmatico poiché si radica nell’osservazione dell’ordine naturale in cui si deve conservare un equilibrio sostenibile. Si può tuttavia sostenere che una visione ciclica del tempo impedisca la ricerca del progresso o anche l’assunzione di un ruolo attivo nello sviluppo della società a causa dell’intrinseco fatalismo che essa genera. Finora, la ciclicità indiana, che dà una più ampia possibilità alla nozione di Braudel della “durata molto lunga” (tres longue duree), accoglie più ruote all’interno di altre ruote o cicli più piccoli in più grandi, cosicché, non solo nella vita di un individuo, ma anche in ogni periodo di essa, sia esso un anno, un mese o un giorno, possa essere realizzato un unico ciclo e un nuovo inizio e questo è, infatti, realizzato alla fine di ogni declino. Entropia e negentropia (o sintropia, nel senso di Mahulikar e Herwing di “una specifica mancanza di entropia (non gaussiana) in un sotto-sistema dinamicamente ordinato), sono due fasi o pulsioni inseparabili e alternative (centrifughe e centripete) del processo, uguali al dipolo neoplatonico di prodos-anodos.

L’idealismo è perciò rimpiazzato, o perlomeno include, la consapevolezza di un più ampio, immutabile, onnicomprensivo e infinitamente diverso ordine, che rende possibile ogni cosa, sebbene non tutto possa essere tentato, poiché il Dharma non permette cambiamenti nel senso che sarà sia offuscato da essi sia eventualmente il correttore del corso cancellandoli. Quindi, la Scrittura afferma che “il Dharma protegge coloro che lo proteggono e distrugge coloro che lo distruggono”. Questa nozione relativa alla salvaguardia del salvifico palladio era presente nell’antica Grecia e sopravvive nell’uso bizantino del Panhagia oppure Pokrov e del Maphorion. L’emergente consapevolezza ambientale riflette il concetto secondo cui noi dobbiamo preservare ciò che ci dona rifugio e protezione, e che rende possibile la realizzazione del nostro futuro.

La nozione di spazio-tempo sancita nella cosmologia indù-jainista-buddhista e nelle altre cosmologie indiane può essere illustrata da una moderna tecnica fotografica dimostrata da Mark Johnson (www.jaymarkjohnson.com) nella sua fotocamera a “fessura” ad alta velocità, che raffigura gli eventi nel modo in cui si verificano in un determinato lasso di tempo da sinistra a destra, come una frase scritta in senso orario benché sembri quasi piatta oppure orizzontale se ne prendiamo soltanto un segmento. La frase visiva è letta in sequenza, ma la sua comprensione è di tipo olistico, una volta che è stata afferrata a pieno come se il presente completasse o spiegasse il passato (la frase incompleta). Il passato della manifestazione-oggetto rappresentato è sulla sinistra e il suo presente è all’estrema destra, dove inizia il futuro. La continuità senza fine del processo attuale è più evidente se continuiamo a seguirlo – o fotografarlo – lungo la sinistra alla spirale destra della sua evoluzione che ritorna indietro al punto di partenza, ma ad un più alto livello secondo una sequenza logaritmica.

Se tralasciassimo la dimensione temporale, le serie fotografiche potrebbero essere viste come una catena o un blocco di discrete, ma continue istantanee, degli oggetti congelati i quali sono tutti simultaneamente senza tempo, come il flusso del fiume in meditazione descritto dal maestro zen Dogen nello Shobogenzo o i pannelli scolpiti che ricorrono lungo i frontoni e le pareti dei templi indù. È la percezione di porzioni di spazio-tempo della coscienza che genera l’impressione di movimento e di un susseguirsi cronologico. Deducendo dalla serie di scene prese dalla nostra memoria o rappresentate graficamente, possiamo sapere, “prevedere” in una certa misura cosa accadrà nel futuro oppure come esso sarà. La filosofia indiana definisce questa successione di azioni di vario tipo, incluse quelle che definiamo oggetti, karma, e predice i suoi inevitabili, ma pur sempre modificabili, risultati (karmaphala) secondo le sequenze alle quali conduce.

In questo modo ogni classe di oggetti contiene oppure manifesta il suo specifico dharma o legge e ogni processo cronologico sancisce il proprio futuro sebbene la stessa complessità dei rispettivi componenti (parametri) e dei fattori esterni rende impossibile descrivere con precisione come sarà il loro futuro. Quindi, diamo uno sguardo al futuro “attraverso una lente oscurata” e le nostre azioni devono essere eseguite per sé stesse, in modo corretto e completo, e non per il risultato o la ricompensa che potremmo desiderare. La Bhagavad Gita è decisa su questo concetto, “compi le azioni solo per sé stesse e non bramarne la ricompensa” (2-48). In questo senso, l’etica indù è abbastanza diversa dalla visione del mondo capitalistica e utilitaristica che fa dell’interesse personale e del calcolo dei vantaggi attesi i primi scopi dell’azione umana.
Ognuno dovrebbe fare ciò che naturalmente e moralmente richiede un determinato momento, considerando che il futuro non può essere deliberatamente pianificato come se potesse essere controllato.

Pianificare un determinato futuro, in contrasto con il futuro atteso dagli altri, porterà conflitti e il fallimento di almeno alcuni se non tutti i progetti. Il tentativo di costruire uno Stato sempre più ricco e potente porterà l’impoverimento e il declino di altri Stati oppure, se tale progetto fosse realizzato su scala mondiale, al depauperamento totale dell’ambiente che ci sostiene. Una società che raggiunge un alto livello di benessere materiale e di libertà individuale decadrà sistematicamente o nell’anarchia violenta oppure nella tirannia oligarchica, come dimostra l’attuale destino degli Stati Uniti. J.M. Keynes considera la “libertà” o il capitalismo liberale come intrinsecamente instabile e auto-distruttivo, mentre alcuni filosofi sociali come Oswald Spengler e Carl Schmitt hanno analizzato la democrazia come un processo che porta i semi della propria distruzione aumentando la segmentazione, l’individualismo, l’alienazione, le lotte e l’anomia che producono una reazione autoritaria.

Un’omeostasi armoniosa dovrebbe essere lo scopo, piuttosto che un’infinita cancerogena crescita, nel momento in cui si raggiunge una maturità organica. La crescita, tuttavia, dovrebbe ancora avere spazio nell’Ordine Naturale delle cose, ma a un livello successivo più alto, dal punto di vista intellettuale e spirituale, una volta ottenuto l’equilibrio materiale. La dottrina economica e sociale indiana è profondamente ambientale, e c’è poco da meravigliarsi che molte moderne alternative all’attuale egemonico modello di crescita economica stiano abbracciando le tradizionali nozioni indù-buddhiste di sostenibilità ecologica nel nome della de-crescita (decroissance). Secondo l’ordine sociale del varnasrama, il manava dharma (legge umana) porta ricompense legittime e dà diritto all’uomo ai piaceri, ma il suo ultimo scopo deve essere la liberazione dalle catene della condizionata esistenza mortale.

Questa attitudine definisce gli Arya, i nobili esseri umani, secondo la radice linguistica che troviamo nel greco Arete (virtù) e in Aristos: gli uomini migliori (purusottama in sanscrito). Il Dharma definisce quindi la vera aristocrazia, il governo dei migliori, non secondo la nascita, anche se la nascita sancisce predisposizioni e circostanze favorevoli, ma in base alla gerarchia (“principio sacro” – lo spirito è superiore alla materia) nel riconoscimento dell’io superiore interno e del temperamento. I superiori fra gli Arya sono i brahmani (le ruote, coloro che crescono sempre più spiritualmente); la radice brah (espandere) potrebbe spiegare il nome dato ad Abraham (Abramo) da El Shaddai: “padre di molte (nazioni)”: la radice è la stessa, la moltiplicazione dell’Uno in molti.

Il riconoscimento dei cicli naturali e dei movimenti (o giri) simili al pendolo che essi rendono manifesti, proteggono il pensiero indiano tradizionale dall’utopistico e assolutista messianismo e permettono la riconciliazione di opposti dinamici (conjunctio oppositorum), così come democrazia e aristocrazia, politeismo e monoteismo (tramite il panteismo), trascendente ed immanente, libera iniziativa e normative sociali, determinismo e libertà e pari passu, infine, possibilità e necessità. La ciclica visione indiana della realtà eco-sociale, quindi, fornisce un onnicomprensivo quadro cosmologico per quanto riguarda teorie di economia, tecnologia e cicli monetari dimostrati da Kondratiev, Kitehin e altri, coerenti con la successione di Fibonacci, che di per sé espongono i limiti e i difetti delle teorie liberali capitaliste ed ortodosse, pur dimostrando di essere dei potenti strumenti di previsione.

Come può essere usato su scala globale questo paradigma olistico di auto-regolazione e sviluppo? È evidente che le più grandi società asiatiche ed eurasiatiche, come la Cina, l’India e la Russia, al centro delle proprie rispettive geo-regioni possono prendere l’iniziativa di coordinare riforme in quella direzione, in accordo con l’attuale revival del Confucianesimo in Cina, dell’Ortodossia in Russia e delle dottrine socio-economiche dharmiche (indù, buddhiste, jainiste, sikh, sufi islamiche, cristiane indiane) in India. Questi sistemi spirituali e politici tradizionali condividono elementi basilari ed essenziali in opposizione al modello giudaico-anglosassone, “secolare, liberale, materialistico, individualistico”, che si basa sull’accumulo di capitale e sulla speculazione per la sete di guadagno e “massimizzazione di utili”. Si può, perciò, catalizzare una “fusione senza confusione” per produrre una valida alternativa dialogica, pluralistica e flessibile al fallito, neo-liberale e imperiale Washington Consensus.

(Traduzione dall’inglese di Marcella La Cioppa)


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