L’evoluzione del terreno può portare alla trasformazione del clima. Il processo con cui la materia organica delle piante morte si trasforma in sali nutritivi per le piante viventi è un processo complesso, attuato da batteri particolari. A grandi linee il processo attraversa due fasi; una prima fase, compiuta in assenza dell’ossigeno dell’aria da batteri detti appunto anaerobi, cioè alla cui materia organica delle piantemorte si trasforma in altra materia organica, in particolare l’ humus che non viene sciolto dall’acqua e rimane quindi stabilmente nel terreno come riserva di nutrimento; e una seconda fase compiuta con l’aiuto dell’ossigeno dell’aria dai batteri aerobi, cioè da batteri che per vivere hanno bisogno dell’aria. Nella seconda fase la materia si trasforma in sali che si sciolgono nell’acqua e nutrono le piante che l’acqua assorbono. Particolare importanza per l’accumulazione nel terreno di sostanze nutritive hanno le cosidette legoluminose, fra cui il trifoglio, che hanno la particolare proprietà, insieme con batteri aerobi che vivono sempre associati alle piante stesse, di assorbire l’azoto atmosferico, arricchendo così il terreno alla loro morte di composti dell’azoto, scarsi di per sé nel suolo privo di vegetazione. Affinché un terreno mantenga la sua fertilità, occorre che si stabilisca un equilibrio permanente fra i processi sopra descritti, decomposizione anaerobia, decomposizione aerobia, accumulo di composti dell’azoto. Occorre perciò che il terreno stesso abbia la cosidetta struttura glomerulare, sia cioè costituito da particelle, glomeruli, di dimensioni (uno, dieci millimetri) da permettere sia l’assorbimento da parte del terreno dell’acqua delle pioggie, senza che questa scorra via alla superficie, sia che l’acqua circoli senza diventare stagnante e riempire così in modo permanente lo spazio fra i glomeruli. Allora l’aria può circolare liberamente fra i glomeruli, e dar luogo alla decomposizione aerobia, mentre nell’interno dei glomeruli stessi, isolato dall’aria, hanno luogo i processi anaerobi, con la formazione delle riserve di materia nutritiva. Queste riserve si trasformano lentamente in sali nella quantità necessaria al nutrimento delle piante, né troppo scarsa, così da lasciar morir di fame le piante stesse, né eccessiva, così da rimanere inutilizzata, e quindi essere portata via dall’acqua, impoverendo progressivamente il terreno. Ammettiamo che l’equilibrio si rompa, che per esempio un eccessivo accumulo di materia organica riempia gli spazi fra glomerulo e glomerulo, impedendo all’acqua di circolare e rendendola stagnante; cessano i processi aerobi, la materia organica si accumula ma non si trasforma in sali, non può più quindi venir utilizzata dalle piante. Molti tipi di piante muoiono quindi per mancanza di nutrimento, sopravvivono solo altre che hanno radici alla superficie del terreno, nella zona cioè in cui ancora possono aver luogo i processi aerobi. Le radici di queste piante, a mano a mano che i detriti delle piante stesse tendono a sommergerle, continuano a salire, formando dei monticelli di detriti vegetali. Si ha alla fine un suolo reso impermeabile dall’accumulo dei detriti organici in cui l’acqua resta alla superficie, trattenuta in pozzanghere, senza poter scorrere nemmeno sulla superficie del suolo perché impedita dai monticelli di detriti. I residui delle piante morte, ricoperti dal velo d’acqua superficiale, si trasformano in torba. Abbiamo così le paludi, che spesso troviamo anche in alta montagna, dove sembrerebbe impossibile la loro formazione. Le paludi sono dovute quindi non soltanto all’accumularsi dell’acqua nelle parti più basse del suolo, ma soprattutto a un particolare processo di decadenza del terreno fertile. Quando per altre ragioni, qui troppo lunghe da chiarire, prevalgono i processi aerobi, i residui delle piante morte si trasformano rapidamente e totalmente in sali solubili nell’acqua, che vengono solo in parte utilizzati. I soli non utilizzati, non assorbiti cioè dalle piante, vengono lavati via dalle piogge, rendendo il suolo sempre più sterile e incapace di trattenere l’acqua per la distruzione della struttura glomerulare, perché i glomeruli sono tenuti assieme dalla sostanza organica. Si ha allora un suolo eccessivamente arido d’estate, umido solo nei periodi di pioggia, con una vegetazione irregolare legata all’andamento delle piogge. Si ha il cosidetto predeserto, che passa facilmente al deserto vero e proprio con la morte degli ultimi residui di vegetazione. I processi che abbiamo descritti, di formazione del terreno e della sua distruzione, attraversano come abbiamo visto varie fasi; a volte una fase, bosco per esempio o prato, può per particolari ragioni – clima, posizione del terreno in pianura o in montagna, regime delle acque – durare molto più a lungo delle altre, fino a diventare permanente, così come si può avere il passaggio da una fase ad un’altra in un ordine diverso da quello descritto. L’ordine e la durata delle fasi dipendono infatti da molti fattori, dipendenti l’uno dall’altro e a volte, come per esempio il clima, determinanti da cause estranee alla evoluzione naturale del terreno.
l'erosione del terreno mette in pericolo interi paesi.
Un cambiamento del clima, per esempio, può portare alla comparsa del deserto senza che sia stato compiuto tutto il processo di evoluzione del terreno come lo abbiamo descritto. E’ vero però anche il contrario, che cioè l’evoluzione del terreno può portare ad una trasformazione del clima. Un terreno può, cioè, diventare sterile per cause indipendenti dal clima, per esempio con la trasformazione in palude; la morte della vegetazione, e l’incapacità del terreno di trattenere l’acqua piovana possono allora trasformare una regione umida, in cui l’acqua trattenuta dal terreno evapora a poco a poco durante tutto l’anno, in una regione arida, in cui l’acqua delle piogge scorre via alla superficie e nelle stagioni calde non può quindi evaporare arricchendo d’umidità l’atmosfera. In generale si può dire che clima e evoluzione del terreno sono elementi strettamente dipendenti l’uno dall’altro; a seconda dei casi l’uno o l’altro può prevalere nel determinare la fertilità, ma la trasformazione dell’uno porta sempre alla trasformazione dell’altro. E l’uomo come entra in questo processo? L’agricoltura non può evidentemente provocare un processo di formazione del terreno diverso da quello naturale; in altre parole il terreno fertile presenta più o meno le stesse caratteristiche sia che abbia origine naturale, sia che abbia origine dal lavoro dell’uomo. L’uomo può però mutare profondamente la velocità e il senso dell’evoluzione del terreno può rendere cioè stabile la fase che gli interessa, bosco o prato per esempio, impedire la distruzione del terreno, aumentare fortemente la sua fertilità, così come purtroppo può distruggere il terreno naturalmente fertile e trasformarlo in deserto. Lo scopo immediato dell’uomo con la coltivazione del terreno, è, come dice lo Haussmann nel suo volume su L‘evoluzione del terreno e l’agricoltura, edito da Einaudi, quello di ottenere una produzione elevata di piante utili. Questo scopo può essere raggiunto sia con un’agricoltura di rapina, che non si preoccupi di mantenere la fertilità, portando, come negli ultimi cento anni negli USA, alla formazione di veri e propri deserti, sia cercando anzi di accrescere continuamente con metodi opportuni la fertilità stessa. La scelta di una via piuttosto che di un’altra è dovuta essenzialmente alla situazione economica e sociale locale, e nemmeno nelle società primitive il danno arrecato al suolo è così ingente come nelle manifestazioni esterne del capitalismo liberista e imperialistico; non si può, per esempio, evidentemente chiedere a un piccolo proprietario o affittuario, che lavora su una terra spesso già scadente, e assillato da tasse e necessità immediate di vita, l’esecuzione di un piano a lunga scadenza per l’aumento della fertilità, che può richiedere fra l’altro la rinuncia a parte dei profitti immediati che può dargli uno sfruttamento senza riguardi del terreno. La conservazione e l’aumento della fertilità del terreno, è anch’esso uno degli assillanti problemi dell’umanità che richiedono per la loro soluzione che vengano prima risolte le fondamentali questioni della vita associata degli uomini.
INDOVINA L’ INDOVINELLO:
DI CHI E DI CHE ANNO
E’ QUESTO SCRITTO?
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PAESAGGIO VENEZIANO
All’alta scala d’una casa sbocca
la ragazza che scarica il suo secchio,
s’ode lo schiaffo dell’acqua sull’acqua
e la tenebra corre con le talpe
al canale deserto ove il richiamo
d’un gondoliere svolta lontano.
Al Campo Santi Apostoli la chiesa
raccolta dentro le ore d’un villaggio
s’affaccia rossa con la prima neve.
Un battello che segue col suo corto
fischio la notte, spiana la laguna
ad una pioggia luminosa, è l’alba.
-Alfonso Gatto-