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La tribù dei Digitali

Creato il 10 ottobre 2012 da Mcnab75

La tribù dei Digitali

I saggi di Domenico De Masi, sociologo italiano, classe 1938, andrebbero letti e riletti. Dai suoi trattati su lavoro, sul futuro del medesimo, sull’ozio creativo e sul progresso umanista si possono trarre tantissimi spunti di riflessione.
Studioso molto particolare, atipico per un paese che da decenni sembra immutabile, basato su tradizioni sempre più simili a catene che non a valori, De Masi si distingue come voce fuori dal coro. Le sue idee sulla necessità di ridurre le ore lavorative al fine di recuperare una dimensione umana più elevata vanno contro tutto ciò che i soloni del nostro paese predicano da sempre: sacrificio, sudore, sangue.
Nei suoi libri De Masi ci spiega come e perché questa visione della vita va contro il progresso e, al contempo, contro il nostro benessere. Soprattutto in un saggio, L’ozio creativo, il professore ci spiega come la nostra società va (o dovrebbe andare) incontro a un futuro in cui il lavoro sarà sempre più vicino all’indole personale e creativa dei lavoratori.
Utopia? Per ora senz’altro. Non a caso De Masi identifica il target di questa rivoluzione culturale in quella categoria di persone che chiama “i Digitali“, i quali già da ora si distinguono per una visione dell’esistenza moderna, duttile e positiva. E’ di loro che parliamo oggi.
Che poi (forse) saremmo noi.

I Digitali sono tutti coloro che sanno lavorare su Internet, che utilizzano il computer non come mero strumento d’esecuzione, bensì come principale strumento creativo, vuoi per sviluppare le loro passioni (musica, scrittura, cinema etc) vuoi per lavoro. Definizione semplice ma efficace, che abbraccia un crescente numero di persone.
De Masi – ammettendo di generalizzare – individua in questi Digitali creativi una serie di qualità comuni a buona parte di loro.

La tribù dei Digitali

  • Non fanno particolari distinzioni tra le attività di studio, di lavoro o di tempo libero. La consuetudine alla disoccupazione li ha abituati a lavorare saltuariamente, alternando periodi di impiego ad altri di studio, di viaggio o di sviluppo di eventuali passioni.
  • Questo li porta generalmente a conoscere una o più lingue straniere, ma anche nuovi linguaggi non convenzionali: i “dialetti” del Web, la musica, le immagini, i neologismi dei social network.
  • Generalmente i digitali sono sensibili ai temi ecologici, sono favorevoli allo sviluppo sostenibile, accettano con entusiasmo la multirazzialità e la convivenza civile tra culture diverse. Non fanno nemmeno molta differenza tra giorni feriali e giorni festivi.
  • Leggono molto, sono attratti dalle novità in qualunque campo.
  • Sono informati ma al contempo non sono fanatici delle cosiddette “ideologie forti”.
  • Considerano la scienza e la tecnologia come elementi in grado di migliorare la loro vita.
  • Danno la giusta importanza al denaro, ossia né troppa né troppo poca.
  • Quando sono disoccupati – e la cosa capita spesso – non stanno mai con le mani in mano. Sperimentano, studiano, producono quella che volgarmente possiamo chiamare Arte, cercando di farla diventare lavoro.

Ovviamente i Digitali hanno degli strenui oppositori, in primis i custodi delle tradizioni più ortodosse. Essi vedono nei Digitali degli sfaccendati, incapaci di adattarsi ai lavori più umili, delapidatori di patrimoni altrui, intellettuali senza nerbo e senza rispetto per i diritti acquisti dai loro genitori.
I non-digitali temono che le novità e gli sconvolgimenti sociali porteranno a catastrofi di ogni genere e tipo, a partire da una vita “innaturale”, in cui il lavoro viene svolto in maniera nomade, oppure a casa, e non più nelle canoniche otto ore d’ufficio più due (1+1) di traffico. Essi non vedono nessun vantaggio in questi cambiamenti, bensì solo minacce a uno status quo in cui interagiscono da generazioni.

Di chi sarà dunque il futuro? Dei Digitali, come pare inesorabile, o dei difensori delle tradizioni?


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