La trilogia degli Hunger Games di Suzanne Collins: la post-recensione

Creato il 28 gennaio 2014 da Postscriptum

Felici Hunger Games e possa la fortuna essere sempre a vostro favore

Con queste parole comincia una delle trilogie letterario-cinematografiche più fortunate di questi tempi, capace di attirare le attenzioni dei ragazzi (oggi siamo internazionali quindi diciamo young adults) con più o meno la stessa viralità di Harry Potter e Twilight. Se queste ultime però avevano esplorato e reinventato – purtroppo – l’universo fantasy, la trilogia realizzata dalla scrittrice Suzanne Collins avvicina il lettore tematiche più impegnate come la distopia tipica di autori del calibro di George Orwell, Ray Bradbury o Richard Matheson.

Per chi non lo sapesse, con il termine distopia si intende una realtà opprimente che si realizzerebbe se la società estremizzasse all’inverosimile le proprie tendenze, nel bene  e nel male.

[Trama senza spoiler (si spera)]. Come da copione dei romanzi distopici, dunque, il mondo come lo conosciamo non esiste più a causa di una furiosa guerra nucleare; la società sopravvissuta al cataclisma ha creato la nazione di Panem in cui il governo è nelle mani della ricchissima Capitol City che comanda dispoticamente ma dipende dalle risorse dei 12 distretti che la circondano. In realtà tali distretti sarebbero 13 ma nella grande ribellione avvenuta in un’epoca precedente a questa storia, il 13 è stato raso al suolo e, cosa ancora più terrificante, ogni anno i 12 distretti rimanenti sono costretti a fornire una coppia di giovani ragazzi di età compresa tra i 12 e i 18 anni (i tributi) che verranno impegnati in una sorta di reality show truculento e selvaggio allo scopo di ricordare a tutti che ribellarsi è inutile: gli Hunger Games.  Ovviamente la protagonista/eroina della storia, la sedicenne Katniss Everdeen, appartiene al distretto più povero (il 12 che è specializzato nella produzione di carbone) ed è costretta ad offrirsi volontaria per l’edizione numero 74 degli Hunger Games dando inizio ad una serie di eventi che porteranno alla luce una fitta rete di inganni con contorno di parecchia violenza gratuita. Eventi che costringeranno Katniss a riconsiderare continuamente le sue azioni alla luce di come esse si riflettono su chi le sta vicino.

Hunger Games è un romanzo di contrasti: quello più evidente è tra la poverissima e sfruttata popolazione dei distretti e la opulenta e superficiale società di Capitol City. Da un lato ci sono ragazzini denutriti e più o meno terrorizzati che sanno di dover rischiare la vita per una colpa che non appartiene ne a loro ne ai loro padri; dall’altro, per contrappunto, una schiatta di ricconi dediti a qualsiasi bassezza fisica e mentale che gode nella vista di un massacro pianificato nei minimi dettagli dagli Strateghi, una sorta di autori dello show. A mio avviso però, il contrasto che salta più all’occhio leggendo i tre libri è quello politico tra i concetti di rivoluzione e di ribellione. La questione è sottilissima: quando una parte di una società si ribella ha nell’animo il carattere distruttivo della guerra, rovesciare l’ordine costituito senza alcun progetto di ricostruzione; quando invece avviene una rivoluzione c’è un preciso piano di rinascita dopo aver abbattuto l’ordine costituito. Ebbene queste due reazioni nel romanzo si mescolano di continuo facendo perdere alla storia quell’alone di prevedibilità che purtroppo nell’adattamento cinematografico è rimasto.

Altro punto decisamente a favore del lavoro della Collins è la visione matura della storia dal punto di vista degli intrecci sentimentali tra i personaggi. In un romanzo per ragazzi è facile cadere nella trappola della storia d’amore tra i protagonisti che finisce per assorbire l’intero interesse del lettore ma, la scrittrice americana è geniale nel centralizzare tutta l’attenzione nella parte fondamentale della trama inglobando le escursioni sentimentali dentro uno schema principale in cui – e questo succede anche per il carattere stesso di Katniss – sembrano più una noiosa ma necessaria seccatura.

Oltre allo spessore e alla costruzione della trama, l’autrice ha dimostrato di essere parecchio brava a tenere la tensione capitolo dopo capitolo, spesso ricorrendo al vecchio trucco del colpo di scena finale che ti costringe letteralmente a continuare a leggere anche se sono le 2:00 di notte e la sveglia suonerà tra 5 ore. Hunger Games è un ormanzo parecchio scorrevole ma, non semplice da capire: ci si devono perdere quei due minuti per interpretare il comportamento di taluni personaggi che anche se fino a quel momento hanno agito in un certo modo, possono, all’improvviso, fare o dire qualcosa di contraddittorio che, col senno di poi, risulta chiaro.

Spero di essere riuscito ad accendere la vostra curiosità senza aver spoilerato troppo ma il fatto è che questa trilogia è difficilissima da recensire senza scendere nel particolare: potrebbe tranquillamente essere bollata come letteratura per ragazzi, soprattutto in un paese come il nostro che ha portato al successo robaccia (e mi spiace per chi si offende) come i libri di Moccia o le paturnie adolescenziali (leggi alla voce troiaggine) di Melissa P. ma, in realtà Hunger Games ha un livello di letteratura, allusività e scorrettezza politica che lo rende un lavoro unico nel suo genere seppure sia inserito in un filone letterario in cui 1984 (capolavoro di George Orwell) ha fatto scuola.

Questo lo dico con assoluta insofferenza nei confronti dei lettori presuntuosi che pretendono di insegnare agli altri a leggere sputando loro in faccia nomi sontuosi e titoloni senza aver capito che la cultura della lettura va oltre il titolo e oltre la conoscenza che tu o gli altri hanno di quello che stai leggendo.


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