La tropopausa non ha più misteri

Creato il 12 dicembre 2013 da Media Inaf

Chiarito il meccanismo della transizione termica anomala attorno ai 100 millibar. Prodotto dell’azione combinata d’infrarossi e ultravioletti, riguarderebbe tutti i pianeti e le lune con atmosfera sufficientemente densa.

di Marco Malaspina

Più saliamo, più fa freddo. Basta andare in montagna, per accorgersene: mano a mano che ci avviciniamo alla cima, con il calare della pressione, scende anche la temperatura. In media, di un grado ogni cento metri per il primo chilometro, poi di uno ogni duecento, e così via. A 12 km di quota, là dove volano gli aerei di linea, la temperatura si aggira così attorno ai -55 gradi. Ma se ci si ostina a salire oltre – come ha fatto per esempio Felix Baumgartner, l’austriaco che nell’ottobre del 2012 superò il muro del suono in caduta libera da oltre 39mila metri – accade un fatto curioso: fino a circa 20 km la temperatura si stabilizza, per poi riprendere bruscamente ad aumentare.

Il fenomeno è noto dall’inizio del secolo scorso, da quando il meteorologo francese Léon Teisserenc de Bort ebbe l’idea di piazzare qualche termometro a bordo di palloni aerostatici in grado di spingersi fino a quelle altitudini, scoprendo così quella che battezzò tropopausa: lo strato a temperatura pressoché stabile che delimita il confine fra la troposfera (al di sotto) e la stratosfera (al di sopra). Soltanto ora, però, s’è compreso pienamente il processo alla base di quest’inversione: un processo – spiegano sulle pagine di Nature Geoscience gli autori della scoperta, i due astronomi Tyler Robinson e David Catling, entrambi dell’Università di Washington – che si verifica non solo nell’atmosfera della Terra ma anche in quelle di pianeti come Giove, Saturno, Urano e Nettuno, d’una luna come Titano e, più in generale, di tutti quei miliardi di mondi che si ritrovano avvolti da un’atmosfera sufficientemente densa.

Densa quanto? Tale da presentare una pressione di almeno 100 millibar, spiegano i due ricercatori. È infatti questa la soglia che i loro modelli indicano come linea di demarcazione fra gli strati in cui domina l’effetto della radiazione infrarossa e quelli dove invece a prevalere – quanto ad azione riscaldante – sono il visibile e l’ultravioletto. «La spiegazione sta nella fisica della radiazione infrarossa», dice Robinson. A bassa quota, laddove l’atmosfera è più densa, il gas acquista energia assorbendo la radiazione infrarossa riflessa dalla crosta illuminata dal Sole, oppure dagli strati più profondi dell’atmosfera nel casi di pianeti senza crosta, come per esempio Giove. Energia che cala salendo di quota, mano a mano che l’atmosfera si fa più rarefatta e dunque più trasparente alla radiazione termica. Fino a quando la pressione non scende al di sotto dei 100 millibar: soglia oltre la quale diventa dominante l’azione della luce visibile o ultravioletta, sempre più intensa mano a mano che l’altitudine aumenta.

Una scoperta, sottolineano i due autori, che acquista particolare rilievo per una corretta estrapolazione della temperatura superficiale dei pianeti extrasolari. «È fisica di base, questa, eppure non solo ci permette di comprendere quel che avviene nelle atmosfere del Sistema solare», conclude Robinson, «ma potrebbe anche darci una mano a trovare la vita altrove. E questo mi pare molto bello».

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Fonte: Media INAF | Scritto da Marco Malaspina



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