Se è vero che non sempre lavoro e social vanno d'amore e d'accordo, anche il fare impresa si sta scontrando con le nuove peculiarità del web 2.0.
Il nuovo fenomeno del web è la compravendita di like e follower sui social media. Commercio redditizio, ma sterile. I numeri, gonfiati, non vanno di pari passo all’interesse. Il rischio è di perdere totalmente la credibilità dei propri seguaci, quelli veri.
Per esempio, il pilota Yamaha Valentino Rossi raccoglie su Twitter 2,788,574 follower, di cui il 30% risulta essere fasullo. A seguire il conduttore di “Che tempo che fa”, Fabio Fazio, con il 54% di followers falsi. Nel mondo della politica il fenomeno si amplifica, fino ad arrivare al leader del Movimento 5 Stelle che può “vantare” un 74% di follower fasulli.
Negli ultimi anni sta nascendo una nuova economia legata al mondo dei social network, basata sul falso presupposto che più fan, follower e like sui social network portino a un ritorno di popolarità e di buoni affari. Società “2.0” fioriscono e ottengono fatturati invidiabili grazie a questo business. Ma come fanno? Creano profili fasulli che vanno ad ingrossare le file dei fans delle pagine Facebook. Con un semplice scopo: creare un “effetto traino” tra gli utenti.
Nel mare magnum di nuove attività nate con l’avvento del digitale si potrebbe pensare che anche questa sia l’alba di una nuova professione, o l’evoluzione di quello che una volta era il mestiere del pubblicitario. Eppure, osservando con attenzione, non è così. Pare piuttosto un modo ingegnoso per creare un business sulle spalle di persone del Terzo Mondo costrette ad aprire centinaia di profili social fasulli per pochi soldi, come messo in luce da un’inchiesta del Corriere della Sera.
È dunque una strategia di self-marketing che porta ad un ritorno di immagine molto limitato: chi compra “like” sarà di certo più popolare, ma non necessariamente più seguito. Aumenterà il numero sul contatore della propria pagina social ma non le persone che realmente lo seguono.
A cosa servono centinaia di migliaia di fan, se poi nessuno commenta i post? A cosa servono orde di follower totalmente disinteressate ai contenuti? A che pro tanti ammiratori, se poi nessuno compra? Che vantaggio dà comunicare a chi non è interessato a quello che uno ha da dire? Pagare per avere follower o like equivale ad utilizzare un megafono più potente per parlare ad una piazza più numerosa. Piazza di persone che, però, o non parlano la lingua di chi ha il megafono o sono sorde.
È lo stesso discorso che facevamo per la pubblicità online: è morta (ne parlavamo in questo articolo). La strategia del futuro sarà fare informazione sul proprio prodotto, marchio o servizio a chi è davvero interessato (o, meglio ancora, a un influencer sinceramente fidelizzato). Aprendo dunque la strada, questa sì, ad una vera nuova professione legata al mondo dei social.
Probabilmente chiunque di noi abbia un blog o un sito può ritrovarsi ad avere un certo numero di fans fasulli. Se la curiosità vi spinge a far chiarezza, Twitter ha creato un servizio ad hoc che controlla l’identità fasulla o reale dei nostri followers.
Pronti a verificare?
Carlotta Piovesan