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La turbolenza della frontiera del Nord-Ovest

Creato il 09 aprile 2015 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
La turbolenza della frontiera del Nord-Ovest

Il Primo Ministro Narendra Modi ha a buon diritto inserito la visita del segretario generale del Ministero degli Esteri S. Jaishankar in Pakistan all’interno del “Saarc Yatra”. Dopo la sospensione dei negoziati con Islamabad lo scorso agosto, al governo serviva un espediente diplomatico per rinnovare il proprio impegno in Pakistan. La nomina del nuovo Segretario degli Esteri e la tradizione secondo la quale il primo diplomatico indiano inizia il proprio incarico con la visita delle capitali limitrofe hanno fornito un contesto proficuo per l’avvio di un nuovo corso con il Pakistan. Il Saarc Yatra offre inoltre a Jaishankar l’opportunità di impegnarsi in Afghanistan, in un momento politicamente decisivo per il Paese, dopo l’espulsione dei Talebani da parte delle forze americane alla fine del 2001.

Gli eventi che interessano le frontiere Nord-Occidentali indiane incidono da secoli in maniera determinante sulla sicurezza di vaste aree territoriali nel Subcontinente intorno ai fiumi Ganga e Yamuna. Ciò si è rivelato strategicamente valido per l’impero Moghul, per il Raj britannico e per l’India indipendente. Sebbene ci siano molte questioni bilaterali che appaiono rilevanti nei negoziati di Jaishankar con Islamabad e Kabul, il Segretario Generale del Ministero degli Esteri è del tutto consapevole della nuova dinamica regionale e di come essa influirà sulle relazioni dell’India con il Pakistan e l’Afghanistan.

La turbolenza che interessa attualmente i confini Nord-Occidentali dell’India è paragonabile agli eventi del 1979-1980: ovvero la Rivoluzione islamica in Iran, l’occupazione sovietica dell’Afghanistan e la promozione del jihad contro il regime filo-moscovita di Kabul da parte di Stati Uniti, Arabia Saudita e Pakistan. Indira Ghandi e Rajiv Gandhi cercarono di replicare alla nuova dinamica diversificando i grandi rapporti di potere dell’India, allontanandoli da Mosca, rafforzando i legami con l’America, normalizzando i rapporti con la Cina, emersa dalla Rivoluzione Culturale, fino ad arrivare all’Arabia Saudita e, soprattutto, cercando di migliorare le relazioni con il Pakistan.

Tuttavia l’adattamento dell’India e il tentativo di esercitare un’influenza sulla sicurezza regionale si rivelarono fragili. Nei decenni precedenti, il peso relativo dell’India nella regione si era progressivamente ridotto. Inoltre, le nuove iniziative diplomatiche erano bloccate da una notevole resistenza interna. Pertanto, alla fine del decennio, l’India era assolutamente impreparata a ciò che seguì; ossia il protrarsi della guerra civile in Afghanistan, l’acquisizione di armi nucleari da parte del Pakistan, il collasso dell’Unione Sovietica e il successo di Rawalpindi che contribuì alla presa di potere dei Talebani a Kabul e a reindirizzare l’estremismo violento verso il Punjab e il Kashmir.

Il nuovo sguardo ai confini Nord-Occidentali permette a Nuova Delhi di osservare una serie di importanti evoluzioni. Gli Americani stanno lasciando l’Afghanistan, non in maniera trionfante, ma nell’incertezza, dopo un’occupazione durata dieci anni. La Cina, fino a poco tempo fa attore secondario della regione, è ora un’importante potenza esterna nel Subcontinente e sembra determinata a influenzare il futuro del Pakistan e dell’Afghanistan.

Intanto Washington e Pechino ritengono che la riconciliazione tra Kabul e Rawalpindi sia la chiave della stabilità nell’area Nord-Occidentale del Subcontinente. I loro sforzi sembrano aver avuto una certa presa, come quella ottenuta dal Presidente afghano, Ashraf Giani a Rawalpindi. Il capo dell’esercito pakistano, a sua volta, ha promesso che porterà i Talebani afghani ai tavoli di negoziato.

L’Arabia Saudita è attualmente stretta tra l’ascesa dell’estremismo sunnita e il movimento sciita in crescita in Iran. La Repubblica Islamica iraniana, che ha a lungo bollato l’America come il grande demonio, sta gradualmente muovendosi verso un accordo nucleare con gli Stati Uniti ed è alla ricerca di rafforzare la sua posizione nel Medio Oriente e in Afghanistan.

Com’è avvenuto all’inizio degli anni Ottanta, anche gli eventi attuali avranno conseguenze durature per l’India. Rispetto agli anni Ottanta, tuttavia, l’India riveste oggi una posizione migliore. Il suo peso nella regione e nel mondo è in continua crescita, grazie alle riforme economiche avviate nell’ultimo quarto di secolo. I suoi accordi in gran parte del Medio Oriente assumono sempre più maggiore spessore. In particolare, Delhi ha superato tutto quello che il Pakistan ha provocato in Kashmir e non solo.

Tuttavia, Delhi non ne ha beneficiato pienamente a livello diplomatico. La presunta necessità politica a livello nazionale di una postura combattiva rispetto al Pakistan e l’incapacità di controllare l’aggressività di larghe parti dell’apparato di sicurezza, ne hanno limitato la possibilità di manovra nel Nord-Ovest del Paese. Le audaci proposte del Primo Ministro Manmohan Singh, non hanno ricevuto il sostegno del Congresso e dunque nemmeno l’approvazione. A livello nazionale, lo stesso Modi è sotto pressione affinché intraprenda una linea dura nei confronti del Pakistan, a prescindere dagli effettivi vantaggi.

Il governo Modi dovrebbe invece liberarsi del paradigma “negoziati – non negoziati” che ha impantanato tutti i governi degli ultimi anni. Il rifiuto da parte di Delhi di avviare trattative con i governi civili di Islamabad non è stata una soluzione in passato per evitare il proliferare del terrorismo nella regione. L’emergente riconoscimento da parte del Pakistan della propria vulnerabilità nei confronti del terrorismo, in particolare dopo l’attacco a una scuola militare a Peshawar lo scorso dicembre, potrebbe invece fare la differenza. Nel momento in cui il Pakistan tenterà di affrontare la sfida dell’estremismo in casa propria e lungo i confini occidentali, Jaishankar valuterà l’estensione e la portata di questo cambiamento e le relative implicazioni per l’India.

L’adesione alle vecchie certezze politiche di Delhi non farà altro che limitare la capacità dell’India di gestire la profonda trasformazione in atto lungo i confini Nord-Occidentali del Subcontinente. Delhi ha bisogno di una strategia che consenta all’India di plasmare il futuro di questa subregione critica.

Tale strategia richiederà inevitabilmente un dialogo prolungato con il Pakistan, un ricalibramento della politica afghana, l’incoraggiamento dei negoziati di pace tra Kabul e Rawalpindi e la capacità di coinvolgere tutte le potenze, Stati Uniti, Cina, Russia, Iran, Arabia Saudita e Turchia, che nutrono interesse per la stabilità della regione.

(Traduzione dall’inglese di Daniela Rocchi)


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