La Procura di Reyhanlı – su disposizione del ministero della Giustizia turco – ha vietato alla stampa di riportare notizie sulle indagini in corso a proposito dell’immane (59 morti) strage avvenuta nella cittadina (60.000 abitanti, più attualmente 25.000 rifugiati o presunti tali siriani) di confine con la Siria. L’ipotesi del coinvolgimento di un gruppuscolo di estrema sinistra inattivo da decenni sembra ben difficilmente accreditabile, ma quello che è certo è che il “pantano siriano” pesantemente incentivato dal governo Erdoğan sta allargandosi alla realtà turca suscitando forti proteste nell’opinione pubblica.
I partiti di opposizione – dal repubblicano CHP al nazionalista MHP al filoislamico SP – hanno chiesto le dimissioni dell’esecutivo, mentre anche da parte del filocurdo BDP si parla di fantasie non credibili a proposito dell’asserito coinvolgimento di Damasco nella strage.
Il fatto è che la vasta area a ridosso della frontiera turco-siriana è stata abbandonata alle milizie armate in lotta contro il governo di Damasco e ai mercenari occidentali e di altra provenienza schierati al loro fianco, talvolta in conflitto fra loro stessi. Da queste parti la sovranità dello Stato turco è solo teorica e di facciata.
La popolazione locale è scesa più volte in piazza per rivendicare il suo diritto a una vita normale e per cercare di opporsi alle bande di tagliagole operative e determinanti nel fronte antisiriano.
Il centro comunitario della provincia di Hatay – un comitato che comprende simpatizzanti dei più svariati partiti, dal CHP al MHP al SP ma anche militanti dello stesso AKP in disaccordo con la linea ufficiale del partito – mette apertamente sotto accusa il sostegno turco ai ribelli siriani: “La gente dice semplicemente di non voler più vedere guerriglieri barbuti da queste parti”, ribadisce Mahir Mansuroğlu, portavoce del comitato, mentre il radicalizzarsi del caos e della barbarie appare sempre più come il pretesto per richiedere – da parte di Erdoğan – un intervento militare occidentale.
Di male in peggio. L’incontro del leader turco con Obama di questi giorni e questo tipo di richiesta (una fase intermedia potrebbe essere, come in Libia, l’instaurazione di una zona d’interdizione aerea)può fare definitivamente precipitare la situazione.
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