La Turchia censura Twitter

Creato il 23 marzo 2014 da Retrò Online Magazine @retr_online
mar 23, 2014    Scritto da Giacomo Conti    Attualità, Europa    8.8.8.8, censura, dns, erdogan, oscuramento, proteste, turchia, twitter 0

La Turchia censura Twitter

Twitter è stato bloccato in Turchia poche ore dopo che il primo ministro, Erdogan, già nominato più volte nei titoli di giornali durante quelle enormi rivolte del maggio dell’anno scorso nate al Gezi Park di Istanbul, ha minacciato “provvedimenti” nei confronti del social network dopo una fuga di notizie e di registrazioni audio aventi ad oggetto il Governo Erdogan stesso, che ne hanno irrimediabilmente danneggiato la reputazione.

L’azione contro Twitter è stata, ovviamente, non portata avanti come quello che è, cioè una pesantissima limitazione della libertà d’espressione e di stampa, ma come una “misura di protezione”, seguendo uno schema non dissimile dal filtro pornografico adottato dal Governo Cameron nel Regno Unito.

Su Twitter sono state postate, nelle scorse settimane, tutta una serie di registrazioni e documenti, cosiddetti “leaks” (da cui, per esempio, “Wikileaks”) che hanno mostrato, se non dimostrato, una serie di problemi di corruzione.

Avendo richiesto il Governo di eliminare da Twitter questi “leaks”, e non avendo Twitter ottemperato, dietro la motivazione di proteggere i cittadini da eventuali vittimizzazioni derivanti dall’uso spudorato dei social network, che, a detta di Erdogan, sono estremamente proni a violare la privacy del singolo utente.

Proprio per questo, pare sia nell’aria un blocco totale anche di Facebook e Youtube, che dovrebbe arrivare nelle prossime settimane, anche se il Presidente della Turchia, Abdullah Gul, ha preferito negare.

Oggi, l’hashtag #TwitterisblockedinTurkey è globalmente esploso in termini di visualizzazioni, ovviamente dietro il forte sdegno dei fortunati, sempre meno, che a Twitter possono ancora accedere, in Turchia e all’estero.

Ma, come spesso avviene per questi fantomatici “blocchi” informatici, la soluzione per aggirarli è rimessa nelle mani dell’utente, per via dell’inevitabile libertà derivante dall’utilizzo di internet e degli strumenti informatici in senso lato, e per via dell’approssimazione con cui vengono posti. In giro per la Turchia si mostrano graffiti sui muri delle case e sui balconi degli appartamenti, recanti i numeri magici dell’anticensura: 8.8.8.8 e 8.8.4.4, cioè i cosiddetti DNS di Google. Il DNS, o Domain Name System, è un sistema utilizzato dal client per tradurre in indirizzo IP l’host da cui si prendono informazioni e viceversa. In questo caso, il client è evidentemente il povero cittadino turco a cui è stato censurato Twitter, e l’host è Twitter stesso.

Attraverso una rapidissima procedura che consiste nella modifica dei DNS di default delle macchine, sostituendoli con quelli dati da Google, il blocco è totalmente aggirato.

Non c’è ormai alcun dubbio che in Turchia esista ancora un serio problema di libertà di espressione, che tende a venire censurata oggi come lo veniva a maggio dello scorso anno durante le proteste contro il Governo Erdogan nate da un semplice parco di Istanbul. L’esplosione crescente di questi malumori va in prima misura ricercata nelle misure repressive e antistoriche che Erdogan ha sempre posto in essere nel momento in cui si trovava a dover fronteggiare una massa di opinione che andava contro i suoi dettami e contro la sua politica. Il tentativo di censurare internet, poi, è come cercare di sconfiggere l’erculea Idra di Lerna. Ogni volta che parte di internet muore o viene resa inacessibile, ne nascono altre due libere e decisamente più infervorate di prima. Il progetto di censura di Erdogan è destinato a fallire in partenza, e, se le cose non cambieranno, è da augurarsi che la stessa fine la faccia il suo pseudo totalitarismo.


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