Il punto è: ma la fanciulla che parla di questa traumatica esperienza, ha avuto modo – qui in Turchia – di conoscere tutte le feste dell’islam e magari di parteciparvi, vero? A me sembra tanto la storia di quelli che in Italia “gli immigrati devono rispettare le nostre tradizioni”, ma poi quando vanno altrove sono sempre gli altri che devono adeguarsi/uniformarsi mentre loro non fanno mai nessuno sforzo per scoprire e integrarsi!
L’anno scorso mi trovavo in Turchia, dove il Natale non lo festeggia nessuno. Più le festività si avvicinavano, più mi sentivo malinconica all’idea di non riuscire a tornare. Avevo due coinquiline italiane, così decidemmo di organizzare la nostra piccola festa tra noi. Preparammo un albero di cartone e pacchetti da scambiarci.
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Invece mi trovavo in un Paese che per la prima volta sentivo davvero straniero. Fino ad allora Bursa era casa mia e non avevo provato nostalgia, ma in quei giorni no. Sentivo come insopportabile che tutti fossero convinti che Natale e Capodanno fossero la stessa cosa, celebrati il 31 dicembre.
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Il 24 mattina io e le mie coinquiline eravamo convocate in questura per ritirare il nostro permesso di soggiorno. [...] Anche i turchi dell’ufficio immigrazione erano così, irascibili e poco simpatici. Ci rimbalzarono tra uno sportello e l’altro perché noi non sapevamo il turco e loro non sapevano l’inglese. Poi finalmente trovammo una poliziotta capace di parlarlo, e lei ci spiegò che avremmo dovuto tornare il giorno dopo, perché il nostro permesso non era ancora pronto. Alzarsi all’alba e attraversare la città per ritirare uno stupido libretto, che per legge dovevo avere ma che nessuno mi aveva mai chiesto. Rinunciare alla colazione assieme alle mie coinquiline e a skype per fare gli auguri a mia madre. No, il giorno dopo no… “Domani non possiamo… è Natale!” mi uscì spontaneo. La poliziotta scoppiò a ridere in modo sguaiato, seguita dai colleghi ai quali tradusse il nostro discorso. Quando s’accorse che noi non ridevamo si ricompose e ci disse: “Non vi sto chiedendo di passare qui la giornata, venite presto e poi andate in chiesa, mangiate… fate quello che volete”. Io mi sentivo indignata: “No, non se ne parla neanche, è Natale tutto il giorno, anche la mattina abbiamo da fare”. La mia coinquilina allora provò a mettersi in mezzo: “Se venissimo dopodomani sarebbe un problema?”. A quel punto la poliziotta era tornata davvero seria. “Venite dopodomani.. E’ a voi che serve il permesso, fate come vi pare”. Con molta diplomazia la mia amica ringraziò e uscimmo. Sulla porta però udimmo, in un inglese stentato: Merry Christmas!. Improvvisamente un sorriso mi tornò spontaneo sulle labbra. Mi girai, una donna velata dai tratti arabi mi sorrideva e mi guardava fisso dalla sala d’attesa. Quello è stato il primo augurio che ricevetti quell’anno. Felice le biascicai: Shukran (una delle poche parole che conosco in arabo) e lei mi salutò con la mano.