Ci s’interrogava in blocco – inclusi l’allora ministro Frattini e il presidente della Commissione europea Barroso – su chi avesse perso la Turchia o sul perché la Turchia avesse smarrito la retta via verso Bruxelles, magari stanca degli ostacoli frapposti – e dai pregiudizi esibiti – principalmente da Francia, Germania e Austria (con la complicazione cipriota). C’è chi è arrivato a scomodare – in mancanza di migliori argomenti – i califfi, i sultani, i gran vizir: denunciando la volontà di ritornare a un mondo minaccioso fatto di scontri all’ultimo sangue, più che di convergenze e integrazione. “La Turchia è stanca di aspettare e ha deciso di guardare altrove”, questa l’interpretazione più diffusa: un’interpretazione però regolarmente respinta dai diretti interessati, impegnati a intessere rapporti diplomatici e commerciali con tutte le periferie, dai Balcani all’Africa passando per l’Asia centrale.
Da qualche giorno, dopo un’intervista in tv del premier Erdoğan la domanda-ritornello ha assunto un significato molto diverso. Perché il leader dell’Akp – il partito conservatore d’ispirazione islamica al potere dal 2002 – ha sollevato dubbi sul buon esito dei negoziati di adesione all’Ue e ha rivelato di avere l’alternativa già pronta: l’Organizzazione per la cooperazione di Shangai (Sco) con Russia e Cina, “più forte e potente dell’Europa” e magari in futuro “allargato a India e Pakistan”. Gli editorialisti si sono sbizzarriti, dividendosi sostanzialmente in tre gruppi: Erdoğan vuole blandire la sua base islamista, che nutre ancora sentimenti anti-occidentali e anti-imperialisti; Erdoğan si è reso conto che alla Turchia non verrà mai consentita una membership piena dell’Europa dei 27 e cerca un ‘piano B’; Erdoğan è ancora convinto dell’opzione europea e cerca di mettere pressione a chi resiste l’ingresso turco.
[...]
(il resto, direttamente sul sito de L’Indro)
40.980141 29.082270