Doveva essere la risposta a "Che tempo che fa", la trasmissione di Fabio Fazio in onda ormai da anni su Rai 3, e al suo "spin off" con gli elenchi e con Roberto Saviano, la trasmissione che Vittorio Sgarbi aveva preparato per Rai 1 e per la quale, dopo averne presi in esame diversi, era stato scelto il titolo "Ci tocca anche Sgarbi", quasi ad evocare la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso della sopportazione del pubblico televisivo.
Doveva esserlo forse, a modo suo, lo è stata, anche e soprattutto nel suo naufragare dopo appena la prima puntata, mentre la rivale galleggia placidamente da sette anni in un mare di consensi. Eppure "Ci tocca pure Sgarbi" è già divenuta, a pochi giorni della sua morte, un programma cult della televisione italiana, proprio per la sua unicità, nel suo essere puntata unica, imperfetto prototipo di qualcosa ancora da rifinire ma che mai verrà alla luce, e irripetibile.
Non che la trasmissione fosse in se qualcosa di assolutamente nuovo e rivoluzionario, il suo schema riprendeva e ampliava le trasmissioni che videro Sgarbi protagonista su Canale 5 con i suoi "Sgarbi Quotidiani", con una scenografia più ricca, il pubblico in studio e ospiti che avrebbero dovuto intramezzare i monologhi del critico d'arte - conduttore.
Perché era stata propria la natura di "programma culturale" attribuita a alle trasmissioni di fazio a far nascere l'idea di una risposta televisiva a quelle, considerate invece dagli ambienti di centro destra delle vetrine per politici e intellettuali dell'opposizione al governo, nelle quali pubblicizzare e propagandare libri, film, e iniziative di parte, grazie anche alle sempre entusiastiche critiche che il conduttore Fazio elargisce alle opere dei suoi ospiti, tanto da far passare il famoso critico cinematografico Vincenzo Mollica, noto per la bontà con la quale parla di qualsiasi cosa, per un severo stroncatore.
L'intenzione di Sgarbi di portare al pubblico della prima serata di Rai 1 argomenti di discussione difficili, complicati e politicamente scorretti era pertanto da considerarsi suicida già in un panorama di normalità televisiva e giornalistica e addirittura da folli, se si fosse preso in considerazione la campagna stampa che il quotidiano ispirato dal guru dell'opposizione dura e pura alla dittatura berlusconiana aveva pianificato in attesa del debutto di Sgarbi.
Il flop era dunque inevitabile: non si possono citare Ariosto, Pirandello, Caravaggio e quant'altro per contrastare giganti della pop art contemporanea come Roberto saviano o Antonio Albanese (a questo punto Michele Apicella avrebbe gridato che ci meritiamo Nanni Moretti).
Sperare poi che, grazie all'intervento del giornalista Carlo Vulpio, si potesse introdurre un argomento così impopolare come la lotta tra le lobbies dell'energia alternativa, per far comprendere come dietro le cosiddette energie rinnovabili ed ecologicamente sostenibili si muovano interessi tutt'altro che cristallini, era una speranza vana.
Il pubblico che ha seguito la trasmissione è stato molto meno numeroso della media della rete e le critiche dei militanti travagliati si sono mosse subito ferocemente all'assalto dei media e di internet.
La mia opinione è che lo stesso Sgarbi era consapevole prima ancora di iniziare la puntata che quella sarebbe stata la sua unica rappresentazione e aveva già preparato tutto per uscire di scena nel miglior modo possibile, anche se alla fine non può lamentarsi se è rimasto vittima della sua stessa megalomania. La scelta di un diverso collocamento orario sarebbe stata più opportuna e gli avrebbe consentito di rodare il programma, offrendo la sua visione solo ad un pubblico necessariamente meno numeroso ma più attento.
L'esperimento è fallito e difficilmente sarà ripetuto, con o senza Sgarbi, se la Rai rimarra qullo che è oggi, ovvero tutto fuorché un servizio pubblico.