Sopra immagini della Val Grande e di Gianfri…
Qui trovi alcune delle mie foto
e qui trovi il sito ufficiale del parco.
Sabato Pietro ed io siamo andati in Val Grande da Gianfri, l’eremita che abita il rifugio montano da oltre dieci anni e che ormai è diventato una star. Avevo dedicato un articolo a questo personaggio proprio all’inizio del mio blog, intitolato appunto Un personaggio particolare. Quando siamo arrivati, verso le quattro del pomeriggio, la grande casa nella circostanza era già stata presa d’assalto dall’Associazione dell’omonima valle ed il padrone di casa non c’era. Il fatto è che Gianfri quando vede arrivare folle di turisti non si fa trovare. Noi pensiamo che abbia un rifugio suo segreto secondario ed incognito dove sceglie di stare in caso di emergenza. Una comitiva di venti persone che passa il tempo libero a camminare tra le valli interpretando la montagna come un’occasione di gioconda compagnia è esattamente l’opposto di quello che è per Gianfri stare tutto l’anno, dodici mesi e trecentosessantacinque giorni, qui nella montagna, in assoluto silenzio.
Da dove si trova il rifugio può sentire e vedere arrivare la gente con largo anticipo; dalla casa può osservare chiunque travalichi la bocchetta e può così sapere se avrà compagnia più o meno gradita per cena.
Il grande casone è accogliente, probabilmente grazie al suo custode che lo tiene pulito, vivo e attivo. La cucina è ben attrezzata: c’è un vario genere di stoviglie, piattume e pentolame; scorte di zucchero e sale; legna quanto basta per potere accendere la stufetta ( lui è molto parco, sostiene che non serve bruciare più legna del necessario, soprattutto quando dalla scorta di combustibile dipende la propria sopravvivenza durante il lungo inverno); materassini da potere gettare a terra su cui coricarsi con i propri sacchi a pelo.
In effetti non ci sono molte brande, solo cinque; chi deve dormire si ricuce il proprio angolo per la notte; io mi sistemo proprio davanti la sua tenda, c’è abbastanza spazio per due persone, intanto immagino che se non si farà trovare per le prossime quattro ore, difficilmente arriverà con il buio…
Chi arriva dalla Val Vigezzo, subito dopo Malesco, attraverso il Sentiero Natura in questo buco del mondo, lo sa che nella casa potrà fare la conoscenza di questo originale personaggio; peccato che io non abbia avuto l’onore e l’occasione, per ora ancora da rimandarsi in altro tempo.
A cena, tutti riuniti al grande tavolo, io Pietro e gli altri abbiamo potuto parlare del grande assente; alcuni dell’Associazione lo conoscevano quando ancora faceva l’autista di scuola bus; dalle loro battute e dalle loro estemporanee confidenze mi faccio un quadro, un’idea, che purtroppo rimarrà tale fino a che non avrò la reale opportunità di verificarla.
Qualcuno lo giudica un opportunista perché sfrutta la struttura montana a sbafo, ma penso che parli soprattutto mosso dall’invidia; qualcuno lo giudica una persona assolutamente normale con qualche originalismo di troppo; qualcuno lo sente come un figlio a cui portare provviste e buoni pensieri; qualcuno lo vede come un essere senz’altro fuori del comune, e lo stima come tale ; qualcuno lo concepisce come il vero guardiano della valle, parte integrante della casa, essenziale e prezioso punto di riferimento durante la propria permanenza nei boschi.
Io penso che ognuno di questi punti di osservazione abbia un piccolo fondo di verità; mi guardo in giro, osservo le sue foto che generosamente espone intorno alla sua tenda; in un angolo del suo giaciglio infilo i nostri doni, i nostri pensieri gentili per lui; mezzo chilo di spaghetti, zucchero, riso, caffè, biscotti…tutta roba confezionata che non teme il facile deterioramento…E’ un gesto che compio con estremo riguardo, senza volere invadere il suo rifugio per la notte, nel rispetto assoluto della sua casa nella casa, della sua piccola tenda di stoffa dentro la grande tenda di pietra…
Avevamo portato anche del buon Merlini rosso da bere per la cena, ma finisce nella nostra pancia per la gioia di alcuni dei presenti che si offrono molto giocondamente alla consumazione…
Qui ogni gesto diventa in breve il gesto di tutti; si fa il caffè per tutti, si fa la pasta per chi la vuole (dei volontari si fanno avanti), si taglia il dolce per distribuirlo a tutti, si va alla pozza per prendere i secchi d’acqua che serviranno per cucinare come per lavare le stoviglie di tutti…
A proposito di pozza, è una novità di pochi mesi, prima non c’era nemmeno quella; la guardia forestale della zona ha provveduto a portare almeno l’acqua, visto che può venire comoda a loro stessi qualora venissero qui ad aprire la loro base, questa sì fornita anche di un generatore…
Veramente fuori della casa rimangono dei giovani ragazzotti tedeschi, uno di loro è accompagnato dalla propria impavida ragazza (una gran bella ragazza, dai grandi occhi rotondi ed un sorriso dolcissimo…); visto l’affollamento questi si organizza diversamente; si accende il fuoco nel piccolo braciere montano posto ai piedi della scala situata sul retro; si cucina aiutato dalla morosa un intruglio coloratissimo di minestra e verdure; in breve tempo la cena è pronta , calda, nutriente, calorica e soprattutto apprezzata da bocche affamate che mangerebbero qualsiasi cosa, purchè fosse vagamente commestibile.
In questa zona è notevole il passaggio di camminatori provenienti dalla Germania come dall’Austria; in questo angol di ocnfine hanno combattuto la loro triste guerra contro la resistenza partigiana, molti tedeschi come molti partigiani vi hanno trovato indegna sepoltura; adesso i loro figli ed i figli dei figli amano tornarci per ricordare, per raccontare, per vivere con occhi nuovi e diversi quello che è stato uno dei periodi più infelici del nostro recente passato.
Addirittura si vocifera di un tesoro che starebbe seppellito in chissà quale anfratto dei boschi; e si vocifera tra leggenda e verità di armi, di fucili, di strumenti militari ancora mai disseppelliti ma che sarebbe possibile riportare alla luce del mondo.
Tra i presenti, per il momento ci sono solo altri tre giovani tedeschi sistematisi qui e là intorno al casone che pazientemente si apprestano al secondo turno in cucina; liberata noi altri la stufa a legna ed il tavolo, arrivano con le loro minestre già pronte bisognose solo d’essere allungate nell’acqua e scaldate; ci sono anche i sughi Knorr e Star e chili di pasta che ben presto troveranno la loro morte nelle pentole della grande dispensa…
Qui la cena diventa un rito, l’ultimo atto corale ed umano della giornata; non c’è corrente, quindi con il tramonto anche la vita si spegnerà nel silenzio assoluto della notte; qualcuno della grande compagnia sa suonare la chitarra, e conosce diverse canzoni dei nostri maggiori cantautori, come De Andrè, Battisti, Cocciante, Dalla …In un attimo i gradini di pietra della scalinata frontale che porta all’ingresso dello stanzone si riempie di voci squillanti che cantano, qualcuno tace e fa il gesto con le mani nell’atto di seguire le note… In un attimo ti accorgi che c’è qualcosa dentro ognuno di noi che ci fa rimanere giovani, che non desidera invecchiare, che ci tiene legati al tempo in cui non avevamo ancora le rughe e magari qualche chilo di troppo.
Io non mi associo al grande gruppo, in genere non mi associo mai ai gruppi, di qualunque natura essi siano…ma mi piace osservarli, ed apprezzo chi lo fa trovando così facilmente la propria soddisfazione; per lo più si tratta di persone semplici, o di persone sole che hanno bisogno di stare insieme agli altri.
Io e Pietro stiamo benissimo così; ci mancano forse i nostri amici di sempre, sono altrove in questo momento, ed alcuni di loro non si adatterebbero mai ad una simile fatica di muscoli…mentre per noi la giornata è stata molto faticosa; non abbiamo allenamento e praticamente ci siamo sparati cinque ore di sentiero come se dovessimo andare a prendere il latte dietro l’angolo di casa. Non siamo allenati, ma nemmeno sprovveduti; nello zaino avevamo di tutto, dall’antipioggia all’antigelo, dal cambio per l’arrivo all’acqua per la sete, dai panini per la marcia alle provviste per la permanenza…e tutto per la grande gioia delle nostre spalle che si sono caricate di qualche chilo su necessità…
Il tratto più faticoso per Pietro è stato quello in cui arrivati alla bocchetta, guardando nella valle, vedi in lontananza la meta; sembra vicina, sembra lì a portata di braccio, ma sono ancora più di un’ora di marcia; la più insidiosa perché tutta in discesa; la più a rischio perché si è già stanchi e le gambe potrebbero cedere inavvertitamente; la più temibile per chi ha paura di avere un cedimento al ginocchio, quel ginocchio lesionato in gioventù e mai più recuperato alla sua perfetta forma…
Il tratto più faticoso per me è stato il giorno del ritorno, la domenica, quando il fisico già stanco della marcia del giorno prima deve affrontare la stessa fatica a ritroso; per carità, nulla di impossibile, per valli ci si può andare a tutte le età, basta avere due gambe funzionanti, ma è naturalmente l’allenamento che fa la grande differenza in termini di fatica e di resistenza, oltre che di tempo.
La sera della domenica io e Pietro eravamo di nuovo al nostro punto di partenza, dentro la nostra cucina con tutte le nostre varie comodità elettriche, con i servizi igienici disponibili e tutto il resto; ho pensato a Gianfri, quest’uomo che per me è rimasto ancora un’ombra da svelare, da schiarire, da capire…
Ho pensato che comunque fosse, lui ha trovato la sua felicità, lui ha avuto il coraggio di realizzare il suo sogno, nel nome del suo sogno sopporta le sue fatiche, le sue rinunce; me lo immagino davanti agli occhi, così come l’ho visto ritratto nelle sue foto; non molto alto, quasi rasato, lo stemma verde della valle dipinto sul collo, i suoi enormi piedi scalzi capaci di camminare liberi per i sentieri, ed il suo fisico asciutto, abbronzato dalle lunghe ore di sole torrido…
So che quando è solo nella grande distesa di boschi e dirupi e torrenti, ossia quasi sempre, i caprioli lo vanno a trovare fuori nell’ aia erbosa dove Gianfri sta piantando quattro alberi, forse degli abeti (cerano già le buche scavate); vanno a leccare la sua piscia ricca di sali e magari trovano, se estate, e sempre per mano del loro vicino di bosco, anche qualche avanzo lasciato dagli incauti turisti che non sanno che qui, dove non c’è il frigorifero, non è corretto abbandonare non solo in giro ma neanche nel rifugio, avanzi alimentari iniziati e facilmente deperibili…
Prima di andarmene sono andata a cercare il torrente che sapevo scorrere nel basso del bosco; non l’ho raggiunto, mi sono risparmiata l’energia per il sentiero del ritorno, ed ho scattato l’ultima delle foto che ho poi messo in rete; penso che potrei vivere come fa lui, io potrei rinunciare a molte cose a cui Gianfri ha rinunciato, ma non ad alcune; penso che non potrei vivere senza un compagno al mio fianco, e penso che mi mancherebbe il filo di arianna per potere comunicare con il mondo…
Penso che anche Gianfri non disdegnerebbe di trovare una compagna che dividesse con lui la sua scelta…e penso che nemmeno disdegnerebbe di potere avere la luce…ma a quel punto la sua felicità sarebbe più che perfetta, praticamente divina.
E la Val Grande con la luce, ma sempre senza le strade com’ è adesso, come si trasformerebbe ? No, non penso cambierebbe di molto, io credo che resterebbe la Val Grande di ora, di ieri, di duecento anni fa…
Ciao Gianfri, ne approfitto per riscriverti, anche se non mi leggerai, che l’acqua della fonte è potabilissima, e che, se la sorte lo vorrà, ti incontrerò la prossima volta alla prossima cena. Merlini o chi per esso in testa.