Non potrei mai essere un imprenditore, me ne accorgo ogni anno a Natale, momento in cui mi farei prendere dalla prodigalità e mi metterei a fare doni a chi lavora per me, a dimostrazione della graditudine all’abnegazione con cui i dipendenti mi consentono, giorno dopo giorno, di mantenere il mio stile di vita, conferiscono dignità alla mia impresa, aggiungono valore grazie alla loro professionalità ai prodotti che escono con il mio nome stampato sopra. Così, l’ultimo giorno prima dei saluti e degli scambi di auguri, li radunerei tutti in sala riunioni e ne elogerei apertamente il merito, ricompensandoli uno ad uno per i loro sforzi e ringraziandoli per dedicare così tanto tempo della loro vita, pagato ma mai abbastanza, alla mia idea e alle attività necessarie a metterla in atto. Ringrazierei le loro famiglie perché rinunciare alla presenza di un loro congiunto che passa il tempo nel mio ufficio è comunque un sacrificio. Le vite loro e la mia, professionale e privata, sono e saranno per sempre intrinsecamente legate. Farei quindi regali anche ai loro parenti, grazie, direi, grazie per quello che fate. Si tratta di un comportamento anti-economico e fuori dal mercato, lo so, in un paio d’anni fallirei e non potrei più nemmeno mantenere gli stessi stipendi e lo stesso numero di persone, chissà. Ma non ne sono così certo. Avrei al mio fianco una squadra fidata e imbattibile con cui sbaragliare la concorrenza grazie anche al tasso di turn over ai minimi termini e all’elevanto know how interno. Per non parlare dell’entusiasmo. Potrei visitare i settori operativi e respirare il rispetto reciproco, camminare tra la stima delle persone valorizzate che si spendono per me. Non potrei mai essere un imprenditore, e comunque anche se lo fossi nessuno ci crederebbe.
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