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La vendetta di scena. Enrico IV e i Pagliacci

Creato il 04 settembre 2015 da Dragoval
La vendetta di scena.   Enrico IV    e i PagliacciLa vendetta di scena.   Enrico IV    e i Pagliacci

Nei drammi di Canio ed Enrico IV la vendetta per gelosia si consuma in un'allucinata confusione tra realtà e finzione scenica, e per atroce paradosso proprio il loro tentativo di strapparsi di dosso il personaggio a cui sono da troppo tempo inchiodati si fisserà loro addosso per sempre nella rovina.

La trama dell' di Pirandello è ben nota. Enrico IV, di cui non ci viene rivelata altra identità, è un nobile che durante una festa in costume, da lui organizzata per far colpo sull'amata Matilde (Spina, che indossa i panni dell'omonima Matilde di Canossa, anzi di Toscana, come ella stessa più volte corregge), a causa del trauma riportato per una caduta da cavallo provocata dal suo rivale in amore, Tito Belcredi, si convince di essere davvero Enrico IV. Il nipote di lui, il marchese di Nolli, in memoria della madre, sorella di Enrico IV, ha organizzato attorno a lui una perpetua mascherata vivente, con tanto di servi in costume, consiglieri del re, che dura da ben vent'anni dopo l'incidente. Nel frattempo il di Nolli si è fidanzato con Frida, la figlia ventenne di Matilde, di cui Belcredi è diventato l'amante- da lei mal tollerato ed ingiuriato di continuo, forse per l'occulta consapevolezza di essere stato l'artefice dell'incidente di Enrico IV. E così, vent'anni dopo, quasi come in un romanzo di Dumas, Belcredi, Matilde, Frida e di Nolli, in compagnia di un non altrimenti noto Dottore, uno psichiatra ( un alienista) interessato al caso, si recano a far visita al malato. E così, mentre introducono il medico nelle stanze - regno della follia di Enrico, così riassumono l'orribile scoperta della fissazione di lui a quel travestimento, a quella maschera:

Belcredi Recitava ognuno per burla la sua parte! Era
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Dottore Ah, perché anche lui, allora...?
[Davanti alla soglia della comune, fin dove li ha accompagnati, li licenzia, ricevendone l'inchino. Donna Matilde e il Dottore, via. Egli richiude la porta e si volta subito, cangiato.] Buffoni! Buffoni! Buffoni! - Un pianoforte di colori! Appena la toccavo: bianca, rossa, gialla, verde...E quell'altro là: Pietro Damiani. - Ah! Ah! Perfetto! Azzeccato! - S'è spaventato di ricomparirmi davanti! Belcredi Ma sì! Venne in mezzo a noi! Credemmo che
si fosse rimesso e che avesse preso a recitate anche lui,
Recitar! Mentre preso dal delirio,
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.Vesti la giubba e la faccia infarina. La gente paga e rider vuole qua. E se Arlecchin t'invola Colombina, ridi, Pagliaccio... e ognun applaudirà! Tramuta in lazzi lo spasmo ed il pianto; in una smorfia il singhiozzo e 'l dolor... Ridi, Pagliaccio, sul tuo amore infranto! Ridi del duol che t'avvelena il cor! E quelli ne approfittano, vi fanno subire e accettare
il
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loro, per modo che voi sentiate e vediate come

COLOMBINA
(cercando di riprendere la commedia e sorridendo forzatamente)
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(verso la porta a sinistra)
Vieni a dirgli o Taddeo,(Risate del pubblico interrotte dal grido di Canio.)
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Ah! tu mi sfidi!
NEDDA
Non parlerò! No! A costo de la morte! (Alcuni contadini trattengono Silvio non sapendo spiegarsi il suo furore. Una parte delle donne fugge. Nedda vorrebbe fuggire con il pubblico ma Canio la afferra.)

E ancor non l'hai capita(a Nedda)
ch'io non ti cedo?...(Alla voce di Silvio, Canio si volge a lui come una belva, gli balza addosso e in un attimo lo ferisce, dicendo.)
CANIO
(Silvio cade come fulminato.) Il nome, o la tua vita! Il nome! che l'uom seduto or dianzi,
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or dianzi a me vicino
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era... il pauroso ed innocuo Arlecchino!
Suvvia, così terribile
davver non ti credeo!
Qui nulla v'ha di tragico. loro! O almeno, si illudono! Perché poi, che riescono a

imporre? Parole! parole che ciascuno intende e ripete a
suo modo. Eh, ma si formano pure così le così dette opinioni
correnti! E guai a chi un bel giorno si trovi bollato
da una di queste parole che tutti ripetono! Per esempio:
"pazzo!" - Per esempio, che so? - "imbecille" - Ma dite
un po', si può star quieti a pensare che c'è uno che si affanna
a persuadere agli altri che voi siete come vi vede
lui, a fissarvi nella stima degli altri secondo il giudizio
che ha fatto di voi? - "Pazzo" "pazzo"!
non so più quel che dico,
e quel che faccio!
Eppur è d'uopo, sforzati!
Bah! sei tu forse un uom?
Tu se' Pagliaccio! come tutti noi... meglio di noi, perché - come le dico -
era bravissimo, lui! Insomma, che scherzasse!
[...]
D. Matilde Non dimenticherò mai quella scena, di tutte
le nostre facce mascherate, sguajate e stravolte, davanti
a quella terribile maschera di lui, che non era più una
maschera, ma la Follia!
Belcredi Enrico IV, ecco! Proprio Enrico IV in persona,
in un momento di furore!
una vera babele!
D. Matilde Lei immagina, dottore, che spavento, quando
si comprese che egli invece, la sua, la recitava sul serio?

Enrico IV, entrato in scena, si comporta esattamente come ci si aspetta da lui, incarnando alla perfezione il ruolo di Enrico Iv a Canossa e addirittura riconoscendo in Matilde la duchessa Adelaide, madre dell'Imperatrice Berta sua moglie, lagnandosi dell' umiliazione a cui lo costringe il papa Gregorio VII.ma appena Belcredi e Matilde escono, rivela attraverso lo sfogo dei sentimenti- di amore e di furente gelosia verso Matilde, di odio verso Belcredi- avviene la rivelazione della lucidità della propria follia, che intende sfruttare, come poi farà Canio, il travestimento che gli è stato imposto- che si è imposto- per mettere in atto la sua vendetta:

I servitori, attoniti , non capiscono inizialmente cosa stia succedendo; ma non avranno tempo di rallegrarsi dell'avvenuta guarigione , perché Enrico IV li confonderà presto ancora di più:

Non capisci? Non vedi come li paro, come li concio, come me li faccio comparire davanti, buffoni spaventati! E si spaventano solo di questo, oh: che stracci loro addosso la maschera buffa e li scopra travestiti; come se non li avessi costretti io stesso a mascherarsi, per questo mio gusto qua, di fare il pazzo! [Landolfo Arialdo Ordulfo (sconvolti, trasecolati, guardandosi tra loro)]. Come! Che dice? Ma dunque?

Enrico IV (si volta subito alle loro esclamazioni e grida, imperioso): Basta! Finiamola! Mi sono seccato! Poi subito, come se, a ripensarci, non se ne possa dar pace, e non sappia crederci: Perdio, l'impudenza di presentarsi qua, a me, ora col suo ganzo accanto... - E avevano l'aria di prestarsi per compassione, per non fare infuriare un poverino già fuori del mondo, fuori del tempo, fuori della vita! [...] Bisogna perdonarli! Questo, (si scuote l'abitoaddosso) questo che è per me la caricatura, evidente e volontaria, di quest'altra mascherata, continua, d'ogni minuto, di cui siamo i pagliacci involontarii (indica Belcredi)quando senza saperlo ci mascheriamo di ciò che ci par d'essere - l'abito, il loro abito, perdonateli, ancora non lo vedono come la loro stessa persona.

Anche la vicenda di Pagliacci è un dramma della gelosia in cui la realtà non si distingue dalla finzione (peraltro ispirato all'autore da un episodio di cronaca di cui ebbe notizia nella fanciullezza dal padre, regio magistrato): Canio, il Pagliaccio protagonista dello spettacolo itinerante in cui recita la parte del marito di Colombina ( sua moglie Nedda)

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reso Becco da Arlecchino (l'attore Beppe). Ma Colombina ha anche un altro corteggiatore, Taddeo, impersonato dal gobbo e deforme Tonio, innamorato della donna non solo sulla scena; ed è questo l'innesco della tragedia. Quando Tonio dichiara il suo amore a Nedda, e ne viene respinto, la segue e scopre degli incontri segreti di Nedda con il vero amante, Silvio, e rivela ogni cosa a Canio, facendo sì che anch'egli li sorprenda in flagranza di reato e trasformandolo in strumento di vendetta del proprio orgoglio ferito. Canio, infatti, fuori di sé urla a Nedda di rivelargli il nome dell'amante, ma Nedda si rifiuta riuscendo a sfuggirgli. È Tonio, allora, che a questo punto suggerisce a Canio di trasportare la realtà in finzione, esortandolo a rivestire i panni del Pagliaccio pronto a replicare sul palcoscenico la terribile scenata appena conclusa. Canio, sconvolto,è fuori di sé, eppure vede chiaramente di non avere scelta, perché, per crudele paradosso, a causa del travestimento che ha scelto, per cui tutti lo conoscono, il suo dramma- come si vedrà- non potrebbe essere preso sul serio fuori dalla scena:

Enrico IV e Canio sono dunque entrambi inchiodati al proprio ruolo, ridotti ai personaggi che interpretano: nell'aria Vesti la giubba c'è in qualche modo i n nuce lo sgretolamento dell'identità dietro la maschera in cui gli altri inesorabili ci fissano, ovvero il nucleo stesso della poetica pirandelliana:

All'oscuro della ritrovata lucidità di Enrico IV i visitatori decidono di realizzare lo scopo per cui si sono presentati al

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"palazzo". Su suggerimento del Dottore, infatti, l'intenzione è quella di provocare al malato un salutare choc psichico che lo riporti al presente facendogli rivivere il momento del dramma e ponendogli davanti la Matilde ventenne da lui amata impersonata dalla giovane Frida, con indosso l'antico costume della madre. Sarà proprio la vista di Frida, invece, a scatenare il raptus omicida di Enrico IV , che prima cerca di abbrancare la giovane con tutta la forza per poi lasciarla improvvisamente andare, vedendola terrorizzata e inerme, vittima di un gioco più grande di lei, e trafiggere e uccidere con la spada il rivale Belcredi:

[A Frida]: E ti sei spaventata davvero tu, bambina, dello

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scherzo che ti avevano persuaso a fare, senza intendere
che per me non poteva essere lo scherzo che loro credevano;
ma questo terribile prodigio: il sogno che si fa
vivo in te, più che mai! Eri lì un'immagine; ti hanno fatta
persona viva - sei mia! sei mia! mia! di diritto mia!
[La cinge con le braccia, ridendo come un pazzo, mentre
tutti gridano atterriti; ma come accorrono per strappargli
Frida dalle braccia, si fa terribile.] Belcredi (si libera subito e si avventa su Enrico IV).
Lasciala! Lasciala! Tu non sei pazzo!
Enrico IV (fulmineamente, cavando la spada dal fianco
di Landolfo che gli sta presso). Non sono pazzo? Eccoti!
E lo ferisce al ventre.
(È un urlo d'orrore. Tutti accorrono a sorreggere il Belcredi,
esclamando in tumulto)
Di Nolli T'ha ferito?
Bertoldo L'ha ferito! L'ha ferito!
Dottore Lo dicevo io!
Frida Oh Dio!
Di Nolli Frida, qua!
D. Matilde È pazzo! È pazzo!
Di Nolli Tenetelo!
Belcredi (mentre lo trasportano di là, per l'uscio a sinistra
protesta ferocemente): No! Non sei pazzo! Non è
pazzo! Non è pazzo!

Allo stesso modo si gioca sull'equivoco quando, entrato in scena come marito di Colombina, Canio vuole conoscere il nome dell'amante di Nedda, e Nedda in un tentativo disperato di stornare il pericolo cerca inizialmente di ricondurre il dramma alla commedia:

Ma Canio, nella follia è terribile come Enrico IV ( per entrambi i personaggi è indicato in didascalia proprio questo stesso termine):e così, nella sua furia allucinata trafigge con la mano armata da Tonio prima Nedda/Colombina e poi il rivale Silvio accorso- come aveva fatto Belcredi- in aiuto della donna.

CANIO
(urlando dà di piglio a un coltello sul tavolo)
Il nome! Il nome!

(snudando il pugnale)
Santo diavolo! Fa davvero...

LA FOLLA e BEPPE
(che cerca svincolarsi da Tonio)
Che fai! Ferma! Aita!

(Le donne che indietreggiano spaventate, rovesciando i banchi ed impedendo agli uomini di avanzare; ciò obbliga Silvio a lottare per arrivare alla scena. Canio, che trattiene Nedda, al parossismo della collera, la colpisce alla schiena con un coltello mentre essa cerca di svincolarsi da lui.)

A te! A te!

Di morte negli spasimi lo dirai!

SILVIO

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(che e quasi arrivato alla scena)
Nedda!

Ah!... Sei tu?
Ben venga!

LA F OLLA (urlando) Aita!Arresta! Gesummaria!

Il delitto di Canio avviene in presenza del pubblico, che tuttavia (confondendo finzione e realtà), non comprende cosa stia succedendo se non troppo tardi per impedirlo; a quando la vendetta è compiuta, Canio appare incapace di sembra non rendersi conto di quanto è avvenuto, l suo ultimo grido, " La commedia è finita", appare come l'estremo, inutile sforzo di ricondurre il delitto nell'ambito rassicurante della finzione, di negarne l'irreparabilità, come se d'improvviso, tragicamente e per sempre, l'uomo si fosse effettivamente ridotto a un tragico automa.

Ugualmente inutili appaion l'urlo di Belcredi ( Non sei pazzo! Non sei pazzo) , l'urlo di Matilde per la morte dell'amante e lo sgomento attonito dei servi richiamati da Enrico a condividere per sempre la follia, a restare con lui inchiodati alla maschera, perché nell'attimo stesso del compimento del delitto si è condannato a rimanere per sempre esiliato dal tempo e dalla vita.

[Escono per l'uscio a sinistra, gridando, e seguitano di
là a gridare finché sugli altri gridi se ne sente uno più
acuto di Donna Matilde, a cui segue un silenzio].
Enrico IV (rimasto sulla scena tra Landolfo, Arialdo e
Ordulfo, con gli occhi sbarrati, esterrefatto dalla vita
della sua stessa finzione che in un momento lo ha forzato
al delitto). Ora sì... per forza... (li chiama attorno a
sè, come a ripararsi), qua insieme, qua insieme... e per
sempre!

RISORSE E NOTE A MARGINE

-Il titolo del post è tratto dall' aria Ad essi non perdono; vendetta avrò di in cui Santa rivela ad Alfio il tradimento di Lola con Turiddu.

-La pagina di Turin D@ms dedicata all'allestimento dell'Enrico IV con Ugo Pagliai e Paola Gassman, a cui si riferiscono le immagini del post

-Il libretto dell'opera Pagliacci

-Qui sotto il link all'opera completa di Pagliacci, regia di Franco Zeffirelli (sono desolata per i contenuti pubblicitari che appestano il video), con Placido Domingo e Teresa Stratas, da cui le immagini qui riportate sono tratte. Da assoluta profana, ho preferito indicare qui l'edizione di maggiore impatto emotivo- almeno a mio avviso- piuttosto che altre, certo filologicamente più corrette. Non mancano tuttavia in rete le alternative, come l'edizione di Riccardo Muti del 1997 al Festival di Ravenna o l'interpretazione di Mario Del Monaco- ma ci spostiamo in un ambito che chiaramente travalica le mie competenze. Va da sé che qualsiasi integrazione o correzione sarà immensamente gradita.


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