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Formulazione accademica di un concetto che di recente è stato ribadito in forma popolare. "Se hai avuto successo, non lo hai fatto da solo ... Qualcuno lungo la strada ti ha dato qualche aiuto ... Qualcuno si è dato da fare per creare questo incredibile sistema americano che ti ha permesso di prosperare. Qualcuno ha investito in strade e ponti. Se hai un business vincente, il merito non è tuo. Qualcun altro ha fatto in modo che esistessero le condizioni affinché tu potessi farlo." Parole del boss di Sunstein, il presidente Obama. Ma cos'è esattamente uno stato? La definizione canonica fu offerta da Max Weber, che definì lo Stato come "quella comunità umana che (con successo) rivendica il monopolio legittimo della violenza fisica all'interno di un determinato territorio." In realtà non è affatto vero che ogni ricchezza sia imputabile allo Stato. Storicamente, l'esistenza di un apparato statale è sempre stata subordinata ad un surplus di ricchezza che potesse sostenerlo. Lo Stato, in altre parole, non può esistere senza una grande ricchezza che preceda la sua nascita. Andiamo avanti. Perché le persone diventano ricche? Charles Dunoyer, tra i primi sociologi libertari, ha spiegato che "esistono al mondo solo due grandi partiti, quello di coloro che preferiscono vivere da prodotti del loro lavoro o della loro proprietà, e quello di coloro che preferiscono vivere sul lavoro o la proprietà altrui." In poche parole, i produttori producono ricchezza, mentre i prenditori se ne appropriano. Nel suo importante libro Lo Stato, il sociologo Franz Oppenheimer distingue tra ciò che egli chiamava i mezzi economici e gli strumenti politici per il raggiungimento della ricchezza, cioè tra "il lavoro e la rapina." "Lo Stato", conclude, "è un'organizzazione di strumenti politici." I mezzi economici devono precedere i mezzi politici. Tuttavia, non tutti i tipi di lavoro producono eccedenze sufficienti a sostenere uno stato. Lo stato non si forma nelle società di tipo cacciatori-raccoglitori perché quelle società non generano abbastanza surplus per sostenere una classe di predatori. Stesso dicasi per le società agricole primitive. Occorreva perciò che l'agricoltura raggiungesse un sufficiente grado di sviluppo ed organizzazione affinché generasse un surplus che attraesse l'attenzione dei predatori. Tali società finivano generalmente per essere conquistate dai nomadi, soprattutto quelli a cavallo, che erano in grado di sopraffare gli agricoltori 'stanziali'. C'è un ricordo di quell'antico conflitto conservato nel Libro della Genesi, che racconta la storia fratricida di Caino e Abele. E' significativo che «Abele era pastore di greggi e Caino era un lavoratore della terra", un eco del conflitto tra agricoltori stanziali e pastori nomadi. La nascita dello Stato rappresenta una evoluzione del banditismo da nomade a stanziale. Come ha scritto l'economista Mancur Olson, "Se il capo di una banda di banditi itineranti è abbastanza forte da prendere possesso di un territorio e tenere fuori dai suoi confini gli altri banditi, esso è in grado di monopolizzare la criminalità in quella zona, diventando così un bandito stanziale." Questa è una importante annotazione in merito allo sviluppo delle associazioni politiche umane. Lo Stato è, in se, un istituto predatorio. Eppure in qualche modo rappresenta anche un vantaggio per coloro che ne sono saccheggiati. Quando la scelta si pone tra le scorrerie di banditi nomadi che combattono, rubano ed incendiano ciò che non possono rubare per poi ritornare l'anno successivo, ed un saccheggio dilazionato per tutto l'anno perpetrato da banditi stanziali, la scelta è ovvia. I banditi stanziali hanno minori probabilità di uccidere e distruggere nell'atto di depredarvi, e poi si occupano di tenere lontani i banditi rivali. Si tratta di una sorta di progresso anche dal punto di vista di coloro che vengono depredati. Gli stati sono andati via via configurandosi come organizzazioni per il drenaggio delle eccedenze provenienti da coloro i quali producono ricchezza. Nel libro L'arte di Non Essere Governati l'antropologo e politologo James C. Scott dell'Università di Yale esamina le fattispecie di alcune regioni del mondo che nessuno Stato è mai riuscito a sottomettere con successo. Concetto centrale nella sua opera è "l'attrito del potere": il potere non attecchisce nei territori disagevoli. Molto spesso quando i conquistatori invadevano una zona montuosa, si stanziavano nelle valli, e difficilmente riuscivano a sottomettere gli indigeni che fuggivano sugli altopiani. Scott fa notare che quei rifugiati sviluppavano forme sociali, giuridiche e religiose che li rendevano assai difficili da soggiogare. Tutto ciò è particolarmente vero per i popoli di montagna e quelli di palude. (E' un peccato che i vari leader non abbiano letto il libro di Scott prima di occupare l'Afghanistan.) Quali sono gli obiettivi dei governanti? Alcuni modelli eccessivamente semplicistici ipotizzano che i governanti cerchino di massimizzare la ricchezza, ossia il prodotto interno lordo. Scott, tuttavia, sostiene che lo scopo del governante non sia quello di massimizzare il PIL, ma di massimizzare il "PAS", cioè il prodotto accessibile allo stato, inteso come la produzione che lo stato sia agevolmente in grado di identificare, monitorare, enumerare, e confiscare mediante tassazione: "Il regnante ... massimizza il prodotto accessibile allo stato, se necessario persino a discapito della ricchezza complessiva del regno e dei suoi sudditi." Si consideri (un regnante direbbe, "Si prenda"), per esempio, l'agricoltura. I regnanti asiatici hanno vietato la coltivazione di radici e tuberi in favore della coltivazione del risone. Il che è sconcertante. Perché mai i governanti dovrebbero preoccuparsi tanto di cosa viene coltivato? La ragione, osserva Scott, è che non è possibile controllare e tassare efficacemente le colture che crescono sotto terra. Il risone invece, la cui raccolta deve naturalmente effettuarsi in momenti specifici da grandi concentrazioni di persone, risulta molto più facilmente tassabile. Gli obiettivi dei regnanti producono effetti sistemici su molte pratiche e permeano le nostre società. I sistemi di controllo come la coscrizione militare e le scuole obbligatorie hanno colonizzato la nostra coscienza. Ad esempio, consideriamo il passaporto. Spostarsi nel mondo oggi è vietato se si è sprovvisti di un documento rilasciato dallo stato. In realtà, non è più possibile nemmeno viaggiare all'interno degli Stati Uniti senza un documento rilasciato dallo stato. I passaporti sono invenzioni molto recenti. Per migliaia di anni le persone sono state libere di andare dove volevano senza dover richiedere autorizzazioni allo Stato. Sulla parete del mio ufficio c'è un annuncio preso da una vecchia rivista tedesca, in cui è raffigurata una coppia in uno scompartimento ferroviario di fronte a un ufficiale di frontiera esigente, "Il vostro passaporto, prego!" L'annuncio illustra come i meravigliosi passaporti esistano per concedere la libertà di viaggiare nel mondo. Questo, chiaramente, è assurdo, dal momento che i passaporti limitano la tua libertà. Il viaggio ci è precluso in assenza di un permesso, ma l'ideologia statalistica ci ha impregnati così profondamente, interiormente, che molti vedono il passaporto come un qualcosa che conferisce libertà, piuttosto che limitarla. Una volta mi fu chiesto, dopo una lezione, se fossi a favore dei certificati di nascita rilasciati dallo stato. Dopo un attimo di esitazione ho risposto che non vedevo motivo che giustificasse tale pratica burocratica, dunque la mia risposta è stata negativa. L'interrogante mi ha aggredito! "E allora uno come dovrebbe fare a conoscere la propria identità?" Anche l'identità personale, a quanto pare, sarebbe conferita dallo Stato. Gli stati moderni affermano inoltre di essere l'unica fonte di diritto. Ma storicamente i rapporti erano governati principalmente dal diritto consuetudinario, poi sempre più sostituito dalle leggi imposte con la forza. C'è una grande quantità di leggi intorno a noi di matrice non statale, in quanto sottoprodotti della interazione volontaria. Come sosteneva il grande giurista Bruno Leoni, "Gli individui fanno la legge in quanto fanno affermazioni di successo." I privati che stipulano contratti stanno facendo legge. Nel 16° secolo, l'influente pensatore Jean Bodin definì la sovranità come "il più alto, assoluto e perpetuo potere esercitato su cittadini e sudditi riuniti in una comunità." Nelle sue speculazioni Bodin contrappose il "potere indivisibile" ad un altro genere di legalità denominato diritto consuetudinario, da egli bocciato perché, a suo dire: "il diritto consuetudinario è poco pratico poiché acquista forza a poco a poco e con il consenso di tutti, o la maggior parte, nel corso di molti lunghi anni, mentre la legge appare improvvisamente e ottiene forza istantaneamente da una persona che ha il potere di comandare su tutti." In altre parole Bodin riconosce che il potere indivisibile crei ordine sociale, ma funzioni solo attraverso leggi imposte mediante la gerarchia della forza, la quale a propria volta richiede un sovrano, un potere che sia assoluto, incondizionato e quindi al di sopra della legge. Questo tipo di sovranità è intrinsecamente contrario al concetto di stato di diritto, nonché in contrasto con i principi federalistici come quelli vigenti negli Stati Uniti, in cui il potere è suddiviso tra i diversi livelli e settori del governo. In regimi costituzionali, la legge, non il potere assoluto, dovrebbe essere suprema. L'evoluzione della libertà coinvolge un lungo processo per portare al potere il diritto. L'imposizione della forza ha comunque lasciato una forte impronta nelle nostre menti. Alexander Rustow, sociologo di primo piano e padre della rinascita post-bellica della libertà in Germania, meditando in merito alle origini violente e predatorie dello Stato persistente afferma che: "Tutti noi, senza eccezione, portiamo dentro tale veleno ereditato in forme e luoghi diversi e inaspettati, spesso sfidando la percezione. Tutti noi, collettivamente e individualmente, siamo complici del più grande peccato di tutti i tempi, un vero e proprio peccato originale, un difetto ereditario asportabile solo con grande difficoltà e lentamente, con un approccio terapeutico, con una grande volontà di recuperare, con il rimorso di tutti." Ci vuole lavoro per liberare le nostre menti dalla nostra dipendenza dallo Stato. Quando si medita su ciò che significa vivere da persone libere non dobbiamo mai dimenticare che non è lo Stato a concederci la nostra identità ed i nostri diritti. La Dichiarazione d'Indipendenza Americana afferma che "i governi sono stati istituiti tra gli uomini per proteggere questi diritti." Prendiamo infine atto che si tratta di cose già nostre. Lo Stato può aggiungere valore quando ci aiuta a farlo, ma i diritti e la società sono anteriori allo Stato. Ricordare tutto ciò è fondamentale quando qualcuno vuol farti credere che "tutto ciò che hai costruito, lo devi al sistema allestito dallo stato."Note sull'AutoreTom G. Palmer è senior fellow presso il Cato Institute. Ha scritto il saggio La Realizzazione della Libertà: Teoria, Storia e Pratica Libertaria, ed è coautore de La Moralità del Capitalismo. E' vice presidente esecutivo per i programmi internazionali presso l'Economic Research Foundation Atlas.Fonte: www.cato.org
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