Chiesa povera per i poveri
La ricchezza è l’insieme dei beni, mobili e immobili, materiali e immateriali, che un soggetto o più soggetti o persona giuridica possiedono. È anche quel patrimonio immateriale che il soggetto possiede come persona poiché è connaturato con il proprio essere: intelligenza, volontà, abilità e altro. Ma questi beni non sono di nostra esclusiva proprietà poiché ci sono stati dati in gestione, come “i talenti”, perché non ci gloriassimo ma li potessimo valorizzare al meglio per l’intera creazione.
Da quando l’uomo esiste sulla terra, si è procacciato dei beni materiali, utili per sé e per la propria famiglia, collegando a essi un potere non solo economico ma anche civile e sociale. La corsa a questo tipo di beni, che sovrastano il bisogno immediato, ha indotto gli uomini a un accumulo incondizionato, non in vista del bene comune, anzi, dimenticandosi che i beni della terra, appartengono a tutti gli uomini.
L’accaparramento dei beni altrui ha indotto gli uomini a lottare l’un contro l’altro, a occupare territori pur di avere quei prodotti che sono fonte di reddito; ne son nate le guerre, le colonizzazioni, etc. Questo ha portato a valutare, ai nostri giorni, che il 20 per cento della popolazione mondiale possiede l’80 per cento dei beni della terra, mentre l’80 per cento della popolazione, paesi sottosviluppati e in via di sviluppo, ne possiedono appena che il 20 per cento del prodotto totale.
«La terra dei poveri del Sud – dice Papa Francesco - è ricca e poco inquinata, ma l’accesso alla proprietà dei beni e delle risorse per soddisfare le proprie necessità vitali è loro vietato da un sistema di rapporti commerciali e di proprietà strutturalmente perverso» (Laudato Si’, 52).
Eppure l’insegnamento di Cristo «che era ricco, si è fatto povero per farvi diventare ricchi con la sua povertà» (2 Cor 8,9) e il Magistero della Chiesa, da sempre, sono stati portatori di un messaggio nuovo. Cristo proclama beati i poveri, ma ahimè!, la Chiesa non sempre ha manifestato di tenere un comportamento consono all’insegnamento del Maestro. Quelli che l’hanno seguito più da vicino sono stati i seguaci degli Ordini Religiosi che si sono sottomessi rifiutando i beni materiali con il voto di povertà, i desideri della propria carne con la castità e quello del proprio volere con l’obbedienza. La Chiesa ha da sempre consigliato a tutti di astenersi dalla “ricchezza” perché è d’impedimento alla carità e alla libertà del credente. A nulla sono valsi gli ammonimenti e gli esempi dei santi, quale, uno fra tanti, Francesco d’Assisi, a far comprendere il grande valore della povertà nella Chiesa.
Di recente, neanche sono servite le esortazioni del Concilio Vaticano II (LG, PO, GS). Neppure il “Patto delle catacombe”, sottoscritto il 16 novembre 1965 da una quarantina di padri conciliari, in gran parte latino americani che avevano avuto come ispiratori il vescovo brasiliano Helder Camara e il cardinale Giacomo Lercaro (Il Regno 13, 1965, 493). In esso si legge: «Cercheremo di vivere secondo il livello di vita ordinario delle nostre popolazioni per quel che riguarda l’abitazione, il cibo, i mezzi di comunicazione (…). Rinunziamo per sempre all’apparenza e alla realtà della ricchezza, specialmente nelle vesti (…) e nelle insegne di metalli preziosi (…). Eviteremo di dare una qualsiasi preferenza ai ricchi e ai potenti (…). Sosterremo i laici religiosi, i diaconi e i preti che il Signore chiama a evangelizzare i poveri (…). Cercheremo di trasformare le opere di beneficenza in opere sociali, basate sulla carità e sulla giustizia (…). Faremo di tutto (…) [per] stabilire un ordine sociale nuovo degno dei figli dell’uomo e dei figli di Dio» (cf. Il Regno–att. 2, 2013, 50s.).
La dimensione cristologica della povertà si comprende solo dalla radicalità totale al Cristo Signore: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, smetta di pensare a se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mc 8, 9), poiché «Nessuno può servire due padroni: perché, o amerà l'uno e odierà l'altro; oppure preferirà il primo e disprezzerà il secondo. Non potete servire Dio e i soldi» (Mt 6, 24). Ecco perché Cristo pone la ricchezza come massimo impedimento alla salvezza. La vera povertà è la sottomissione a Cristo e alla sua Parola per essere, a sua volta, attenta ai bisogni degli altri: una Chiesa povera, per i poveri. Il riconoscimento della ricchezza di Dio può partire solo se riconosciamo la nostra personale povertà e che tutto quello che abbiamo proviene da Lui, Sommo Bene. Essere poveri vuol dire, poi, accettare i nostri limiti, le privazioni, tutto ciò che è causa di sofferenza, l’incapacità a compiere cose sulle quali abbiamo poca o nessuna competenza, significa essere umili per fidarsi di Dio, lasciandosi destabilizzare dall’onnipotenza di Lui, dalla diversità e sovrabbondanza dell’altro. La povertà ci permette di «conoscere l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità dell’amore di Cristo» (Ef 3, 18).
Questo hanno fatto gli Apostoli e i primi discepoli del Maestro, così sono obbligati a fare i seguaci di Cristo, in forza del loro battesimo. Non c’è rinnovamento nella Chiesa e nel mondo se non proviene da questa forza che è la povertà. Papa Francesco, con la scelta del nome, con il suo insegnamento e soprattutto con azioni concrete sta dimostrando ogni giorno al mondo che bisogna mettere da parte i beni materiali per essere veri servitori di Cristo: “Ah! come vorrei una Chiesa povera per i poveri” va ripetendo. Il nuovo corso da lui adottato, francescanamente, ha dato una svolta alla storia e alla Chiesa che sta facendo ben sperare ai credenti praticanti ma anche a coloro che cristiani non sono.
Bisogna cominciare da ciascuno di noi a mettere in atto i consigli evangelici se vogliamo una Chiesa credibile agli occhi del mondo. La gerarchia ecclesiastica, che è lampada accesa per i credenti, deve smettere di andare dietro alle ricchezze, al potere, agli onori. Deve astenersi dall’essere mercenaria, animata cioè da interessi e senza dignità, trattando le “cose spirituali” come per mestiere e non perché animata dall’Amore di Dio. È necessaria la conformazione a Cristo che salì nudo sulla croce e da lì regna e continua a essere profeta, offrendo da quel trono il dono di sé per l’umanità. Bisogna imparare, come Cristo, a donarsi come ha fatto lui nell’Eucaristia, per diventare carne dei più deboli, degli ultimi: «Vorrei essere – diceva Mons. Tonino Bello - un vescovo fatto popolo». Quali banche, quali privilegi, quali appartamenti di lusso: i poveri sono privi di tutto questo. Si richiede, in modo impellente, di farsi povero con i poveri, con un’attenzione privilegiata a loro e, quando è possibile, condividere con loro la vita. Oggi la Chiesa ha bisogno, più che mai, di testimoni autentici, evangelici, poiché, a dirla con la famosa frase del beato Paolo VI: «L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni» (EN, 41). Come si può essere sale della terra se esso è scipito? E come si può amare Dio se il nostro cuore è pieno di “ricchezze povere” perché prive dell’unico vero Bene che è Dio?
SALVATORE AGUECI