In un periodo così delicato, prossimo alle elezioni politiche, le preoccupazioni del popolo italiano sono all’ordine del giorno. Il problema che si sta profilando nella politica italiana rientra principalmente nell’ambito della credibilità. I candidati sono credibili rispetto a quanto promettono di fare o di non fare? Questo è il primo punto. La loro credibilità non appare intatta specie dopo un periodo annoverabile come berlusconismo, tanto lungo quanto solo verbalmente osteggiato dall’opposizione. I politici che ora dichiarano di volere operare dei cambiamenti nel nostro paese sono dei “coraggiosi” perché continuano a presentarsi ai potenziali elettori come possibili propulsori di riforme e/o di aggiustamenti tesi al miglioramento delle condizioni del popolo. Il secondo punto riguarda l’ambito della competenza. Per troppo tempo si è frainteso l’essere competente con l’arte oratoria, ovvero con la capacità nel portare avanti una linea di pensiero, contraria a quella dell’avversario durante un dibattito in tv inviando messaggi che arrivassero a tutti rispetto alle linee programmatiche, spesso aleatorie, alla base della propria configurazione partitica. Ora come possono dimostrare la loro competenza privandosi delle promesse, o addirittura, dei patti firmati con gli italiani? Il terzo riguarda l’indipendenza. Possono una o più personalità, seppur legate a un partito politico decidere per il bene della nazione senza doverne rispondere ai dirigenti del partito stesso? Come è possibile scalfire, almeno in parte, la partitocrazia che si è andata sedimentando con conseguente crescente potere di intervento o di decisione a danno del Parlamento e della sua sovranità? Sembra proprio che la maggior parte degli elettori italiani, almeno quelli che hanno un minimo di cognizione storico politica dell’Italia, non si lasceranno confondere dagli slogan utilizzati negli ultimi tempi. Le primarie, così come concepite in Italia, sono una deformazione di quelle del sistema politico americano. Il PD ha proposto 5 candidati, due hanno reso pubblica l’opposizione interna tra il vecchio e il nuovo. A tal riguardo, il nuovo è ritenuto tale solo in virtù dell’età del candidato ma è chiaro che si tratta di rappresentante di uno stesso partito, nominato e sponsorizzato dagli stessi dirigenti che ora rinnega o che vorrebbe addirittura rimpiazzare. Il candidato SeL, così come presentato agli occhi dei cittadini, sembra, invece, un’articolazione minore del PD. Vi è una donna su cinque, già questa scelta è un relegare nell’indifferenza il femminile, come sintomatico risulta aver chiuso nel dimenticatoio colei che, con tanto di frangia baldanzosa e procace dialettica, veniva ritenuta, pochi anni fa, la scoperta giovanile del PD, ora parlamentare in Europa. Di contro, un PDL anch’esso frammentato e ancora articolato secondo linee di indirizzi dettati dai capi. Il centro poi, è sempre disposto ad allearsi con tutti. Anche questa volta, sembra rivolto verso una scelta in linea con l’esercizio del potere del momento: Oggi con il governo in essere, domani chissà. Poi c’è il movimento additato come “anti politico” che è solo più sensibile rispetto al concetto fondamentale della teoria dello Stato moderno: attuare una forma di democrazia diretta che permetta con la sua rappresentanza di agire in nome della volontà popolare. Esso ha introdotto anche forme digitalizzate di partecipazione ma internet, purtroppo, non viene utilizzata da una gran fetta di italiani, anziani e meno anziani. Inoltre, è parso poco aperto ai dibattiti con i cittadini ove discutere di esigenze e priorità piuttosto che presenziare ai monologhi del suo rappresentante carismatico. Ricambio generazionale, ecco la parola chiave da cui partire, senza doverlo per forza intendere come ricambio volto solo alla giovinezza ma come nuova stagione politica fatta da nuove personalità e nuovi confronti. Se le elezioni rappresentano un procedimento attraverso cui una collettività sceglie i titolari di una carica, proprio perché eligere significa “scegliere”, allora non è opportuno restringere la rosa dei candidati ai soliti nomi, rimpasti, scambi, architetture, promesse o a personaggi che per decenni hanno già avuto l’opportunità di dar vita a un nuovo corso della politica. Lasciare agli esperti il compito di ideare nuovi modelli elettorali, così come trovare soluzioni da adottare in tema di sanità, giustizia, istruzione, pensioni e lavoro. A questo punto della storia politica i sindacati dovrebbero prendere le mosse dal corporativismo diventando sì apolitici ma al contempo rivendicativi di diritti collettivi; La Pubblica Amministrazione dovrebbe essere tenuta fuori dall’attività politica ( un articolo di Autieri dal titolo ” sui dirigenti pubblici la scure di Monti” evidenziava proprio questo concetto) affinché non entri più in commistione indebita con essa e chi decide di rappresentare la volontà popolare dovrebbe agire non solo in nome ma anche per conto dei cittadini, rispondendone personalmente per un servizio pubblico non reso.