di Rasna Warah
Global Research
The Citizen (Tanzania)
L’espressione di auto-sufficienza, della compassione politicamente corretta, era evidente sul suo volto mentre parlava di bambini che muoiono di fame e di madri emaciate che camminano per chilometri in cerca di cibo. Com’era da prevedere, gli spettatori della CNN hanno visto immagini di bambini scheletrici e donne esauste con seni avvizziti, immagini che hanno lanciato una campagna di raccolta fondi da molti milioni di dollari delle Nazioni Unite e delle agenzie di donatori.
Il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon ha chiesto ai donatori di raccogliere 1,6 miliardi di dollari per aiutare la sola Somalia. Intanto, decine di agenzie umanitarie chiedono a gran voce di fare la loro apparizione a Dadaab al fine di raccogliere fondi per le proprie organizzazioni. La giornalista olandese Linda Polman lo chiama "Il Carrozzone della Crisi".
Nel suo libro con lo stesso nome, Polman dice che un intero settore industriale è cresciuto intorno agli aiuti umanitari "con sfilate di organizzazioni che seguono il flusso di denaro e in concorrenza tra loro in un territorio umanitario dopo l’altro, per ottenere la quota maggiore di miliardi". Secondo Polman, disastri come quello in Somalia attirano una media di 1.000 organzzazioni umanitarie nazionali ed internazionali. Questo non include enti di beneficenza con la "valigetta" che raccolgono fondi attraverso le chiese, i club e la vendita di dolci.
Gran parte del denaro raccolto va a costi amministrativi e logistici delle agenzie umanitarie, compresi gli stipendi degli operatori umanitari dagli occhi splendenti, come quello sopra descritto, che guidano macchinoni e vivono in belle case, ma che dicono alla gente a casa di vivere in aree disagiate dove aiutano gli Africani che muoiono di fame. La gente sta morendo di fame? Sì. Dovrebbero essere aiutati? Naturalmente.
Ma quanto del cibo che presumibilmente dovrebbe essere distribuito sarà probabilmente rubato dalle milizie o prenderà la strada dei negozi in cui sarà venduto?
Anche se oscurato dal clamore dei media è la vera causa della fame in luoghi come la Somalia.
In un recente articolo, Michel Chossudovsky, professore di Economia all’Università di Ottawa e fondatore del Centro per la Ricerca sulla Globalizzazione, sostiene che negli anni ’80, l’agricoltura in Somalia era una seria minaccia per le riforme economiche imposte dal FMI e dalla Banca Mondiale. La Somalia conservò l’autosufficienza alimentare fino alla fine del 1970, nonostante la siccità ricorrente, scrive.
Le riforme economiche, che comprendevano misure di austerità e la privatizzazione dei servizi essenziali, destabilizzarono l’economia e distrussero l’agricoltura. I salari nel settore pubblico furono drasticamente ridotti, il potere d’acquisto urbano diminuì drasticamente e il costo di carburante, fertilizzanti e risorse agricole aumentò. Questo pose le basi per la guerra civile nel 1991, da cui la Somalia non si è ancora ripresa.
Carestia e aiuti alimentari sono diventati la norma, mentre centinaia di agenzie di aiuto aprono bottega per gestire una crisi che loro stessi hanno creato. In breve, la Somalia è diventata un’"opportunità di business", che ha fornito lavoro a centinaia, se non migliaia di impiegati delle agenzie di aiuti (per lo più occidentali). .Nicholas Stockton, ex direttore esecutivo di Oxfam, una volta chiamò questo fenomeno "economia etica".
Michael Maren, il cui libro, The Road to Hell, dovrebbe essere una lettura obbligatoria per chi vuole capire la politica e l’economia degli aiuti alimentari, mostra come questi aiuti hanno soppresso la produzione locale di cibo in Somalia, alimentato la guerra civile e creato una crisi alimentare permanente.
Questa crisi e la mancanza di un forte e ben funzionante governo centrale sono sfociati in una situazione in cui le agenzie umanitarie si muovono rapidamente dentro e fuori la Somalia senza nessuna approvazione del governo.
In effetti, la Somalia viene gestita e controllata dalle agenzie di aiuto – il governo è lì solo di nome.
Purtroppo, è improbabile che questa storia sia raccontata alla CNN, BBC, Sky TV o altre reti di notizie globali che dominano le l’agenda delle notizie internazionali. E certamente non sarà raccontata dagli addetti agli aiuti il cui sostentamento dipende dai soldi dei donatori, che presto entreranno in Somalia attraverso il Kenya.
Né il popolo somalo avrà la possibilità di spiegare agli spettatori l’impatto che gli aiuti alimentari e l’intervento straniero hanno avuto sulla loro vita.
Rasna Warah è un’analista e commentatrice con sede a Nairobi. rasna.warah@gmail.com rasna.warah @ gmail.com
Fonte: Global Research 2 Agosto 2011
Traduzione: Anna Moffa per ilupidieinstein.blogspot.com
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