Dopo le polemiche per la chiusura di tre ore (3 ore!) del Colosseo per un’assemblea sindacale (1) – indetta con congruo anticipo da lavoratori che aspettavano da un anno e mezzo gli straordinari non pagati – pubblichiamo due articoli (di Tomaso Montanari e di Vittorio Emiliani) che raccontano la verità, ormai sempre più spesso sepolta sotto il polverone delle “fatwe” del Governo (in questo caso condivise anche dal Sindaco Marino), che alimentano un qualunquismo sempre più dilagante.
Ma i veri scandali sono altri. Come il fatto che per gestire il più importante monumento della Capitale ogni giorno siano impiegati mediamente solo 7/9 custodi della Soprintendenza, dato che il resto del personale è alle dipendenze del concessionario privato – un’ ATI, Associazione temporanea d’Impresa, tra Mondadori Musei e Coopculture – ed è impiegato nelle biglietterie e nei servizi a pagamento. Che secondo un articolo di Repubblica del gennaio 2014 (2), il 69,8 per cento dei 12 euro del biglietto di ingresso finisca nelle casse del concessionario privato, su un incasso annuale stimato tra i 35 e i 50 milioni di euro. E soprattutto che dal 1997 il concessionario – come i concessionari di servizi muuseali del resto d’Italia – abbia continuato a gestire l’area del Colosseo e dei Fori, grazie a una serie di proroghe e ai ricorsi che hanno bloccato il nuovo bando, con un contratto di concessione di cui i magistrati della sezione di controllo della Corte dei conti del Lazio nel gennaio 2014 dicevano che “si dovrebbe ormai ritenere invalido perché in violazione delle norme comunitarie sulla concorrenza”(2). E infine: che a fronte di questa incredibile situazione, poche settimane fa il Ministro Franceschini abbia annunciato come “finanziamento di necessità e urgenza” l’investimento di 21 milioni di euro (21 milioni!) per la copertura dell’arena del Colosseo. Lo scopo? Tenerci “spettacoli di altissimo livello culturale”. Spettacoli che, vista la ristrettezza dello spazio (l’anfiteatro Flavio non è come l’Arena di Verona, che conserva gli spalti per il pubblico), saranno destinati a un’élite selezionata e danarosa (e magari a passerelle commerciali per prodotti di lusso) (3). (> leggi l’articolo su carteinregola.it)
