La versione di Barney

Creato il 02 novembre 2011 da Misterjamesford
Regia: Richard J. LewisOrigine: CanadaAnno: 2010Durata: 134'
La trama (con parole mie): Barney Panofsky è un produttore televisivo aggressivo e dissoluto, di origini ebraiche, figlio di poliziotto, aspirante artista finito ad essere una sorta di sboccata via di mezzo tra un mecenate ed uno squalo del dietro le quinte.Dagli anni settanta passati in Italia al Canada del nuovo millennio, tra la passione per l'hockey e quella per le donne, un sigaro e un whisky, tre matrimoni e due figli, passiamo in rassegna una vita intera di affetti ed amicizia, eccessi e successi, cuori spezzati e cadute rovinose.Un biopic che pare quasi vero legato ad uno dei protagonisti più riusciti - ed autobiografici - del romanziere Mordecai Richler.

A volte esistono film d'autore potenzialmente da urlo, girati alla grande da talenti assoluti eppure incapaci di risultare qualcosa più che insipidi.
Ed altre, pellicole che di autoriale hanno solo una certa qual patinatura, che riescono a sopperire con il cuore ed un pò di mestiere alla mancanza assoluta di buone premesse tecniche.
La versione di Barney fa senza dubbio parte della seconda categoria.
Consigliato caldamente da mio fratello - che ben conosce la potenzialità guascone ed in una certa misura autodistruttive del sottoscritto, così come le mie passioni, siano esse passate o presenti, per vita, donne e alcool -, il lavoro del modestissimo regista Lewis mi ha conquistato, toccato e coinvolto molto da vicino, e nonostante l'intero lavoro abbia tutto l'aspetto del marchettone finto autoriale patinatissimo che ad annate alterne torna in auge giusto in tempo per la notte degli Oscar, devo dire di essermelo davvero goduto dall'inizio alla fine, senza patire per nulla questo aspetto della sua confezione ed il minutaggio abbondante.
Anzi, per citare due opere decisamente più note, allo stesso modo inclini alla strizzata d'occhio a pubblico e critica ad un tempo ma ugualmente coinvolgenti e da me sempre apprezzate, direi che le vicende dell'incostante Barney tratte dal romanzo di Mordecai Richler devono molto, almeno sul grande schermo, alle epopee di Forrest Gump e soprattutto di Benjamin Button, pur se meno influenzate nella loro narrazione dal legame con la Storia.
Questo principalmente perchè il vecchio Panofsky sembra proprio il tipo da scriversi da solo, i capitoli del grande libro della vita, un pò per gioco e molto per passione: non abbiamo di fronte un protagonista piacevole - anzi, tutt'altro -, eppure nelle sue scelte - spesso e volentieri istintive, talvolta clamorosamente sbagliate - si traduce un'umanità profondamente vera e vissuta, figlia senza dubbio della consistente connotazione autobiografica che l'autore del romanzo ha voluto dare ad un protagonista dal background "alleniano" clamorosamente simile al suo.
Paul Giamatti, in questo senso, si fa carico di tradurre in un'interpretazione decisamente sentita - pur se, a tratti, un pò gigionesca - del protagonista queste sensazioni, portando sulle spalle la pellicola e catalizzando l'attenzione dello spettatore, venendo surclassato soltanto nei momenti in cui sulla scena compare un ottimo Dustin Hoffmann, che da volto e corpo al personaggio più fordiano del cast, il padre di Barney - già piccoli cult il suo siparietto a casa dei genitori della futura seconda moglie del figlio e quello al cimitero, parlando della sua defunta moglie e della voglia di scopare -.
Il resto è tutto mestiere e accademia, e sta allo spettatore e alla sua esperienza personale sentirsi più o meno coinvolto dalle vicende dell'esplosivo produttore televisivo: dai due matrimoni falliti al grande amore della sua vita, dal senso di colpa per il suicidio della prima moglie a quello per la paura che porta alla fine della storia con l'ultima, dai figli alla memoria che, un passo alla volta, scompare con una vita piena, goduta nel profondo come fosse il più buono dei whisky, o dei Montecristo.
Ed è proprio sul finale, e nella progressiva solitudine di Barney, che in un modo o nell'altro ho sentito vibrare quelle corde che cerchiamo di far tacere nel loro canto quando vogliamo apparire tutti d'un pezzo, inattaccabili e forti, decisi ed incapaci di sbagliare: perchè la realtà è che per gran parte della mia vita ho mantenuto la convinzione che il destino del vecchio Ford sarebbe stato simile a quello di Barney, sempre nel pieno di una bufera di umanità diverse e profonde eppure profondamente solo, ed anche perchè nessuno di noi - sottoscritto incluso appieno - è perfetto ed infallibile.
La nostra natura è così, godereccia e tendente all'errore. Un'autodistruzione positiva.
Si vive una volta sola, recita il detto.
Del resto, Barney lo sa.
E Miriam, così diversa, piena e forte - forse troppo, per lui -, altrettanto.
E Boogie, che porta fino alla fine la parte più estrema di Panofsky, e resta uno dei suoi più grandi rimorsi.
Ma attenzione a credere a detectives troppo decisi o a convenzioni sociali predefinite.
Perchè quella che conta davvero, è la versione di Barney delle cose.
Non fosse altro perchè le ha vissute davvero.
Fino all'ultimo respiro.
MrFord
"If you want a lover
I'll do anything you ask me to
and if you want another kind of love
I'll wear a mask for you
if you want a partner
take my hand
or if you want to strike me down in anger
here I stand
I'm your man."
Leonard Cohen - "I'm your man" -

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