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La Versione di Barney (di R. J. Lewis, 2010)
Creato il 05 marzo 2013 da Frank_romantico @Combinazione_CPorsi di fronte a un film come La Versione di Barney è complicato. Lo è a prescindere, poiché parliamo di una pellicola tratta da un romanzo (di successo), lo è in questo caso specifico perché il romanzo è uno dei miei preferiti e forse dei più belli dell'ultimo ventennio. Ed è una delle opere letterarie più complesse che abbia avuto il piacere di leggere negli ultimi anni.
La versione di Mordecai Richler è un romanzo sulla memoria e sulla perdita di memoria. Lo dice il titolo stesso: si tratta delle memorie di chi sta perdendo la memoria, ma il punto di vista rimane assolutamente relativo. La complessità è quindi intrinseca alla trama ma anche metaletteraria (il lettore è portato a mettere in dubbio il punto di vista del narratore in prima persona proprio perché è lui a metterlo in dubbio per primo, mettendo fine tanto all'oggettività quanto alla soggettività del narratore di stampo ottocentesco e novecentesco) e stilistica, tra giochi linguistici, rimandi letterari e diverse sotto-trame che si snodano attraverso la penna di un uomo complicato dalla vita complicata.Traspositare tale "grandezza" è impossibile perché è una grandezza destinata all'uso della parola e non a quello delle immagini. Quindi, nella sua trasposizione filmica, il giovane regista canadese Richard J. Lewis fa l'unica cosa che era possibile fare e semplifica, lavorando per sottrazione. Gran parte del merito (o delle colpe) in questo va allo sceneggiatore Michael Konyves, ma Lewis riesce a gestire la situazione rinunciando a qualunque pretesa autoriale e facendo quello che il cinema è abituato a fare da decenni: raccontare.
La Versione di Barney, film del 2010, è una commedia romantica che si concentra su uno dei tanti temi del libro (la storia d'amore tra Barney e la sua terza moglie Miriam) ma non rinuncia a tutto il resto: la storia di un uomo che vive di un passato che gli sta pian piano scivolando tra le dita, il giallo della morte del suo migliore amico/rivale Boogie e il biopic di un personaggio dalle mille sfaccettature e i mille volti tutti nascosti dietro un'unica maschera che lo rende monumentale. Il tutto a discapito di una varietà che non si traduce mai in piattezza. Ammettiamolo: l'ovvio paragone con l'opera omonima è infelice e chiunque si accosti al film dopo aver letto il romanzo di Richler sarà d'accordo con me. Questo però non significa che il film di Lewis, preso per se stesso, non sia riuscito. Banalotto (o banalizzato), certo. Zuccheroso (rispetto alla scorrettezza del testo originario), ovvio. Ma capace, verso il finale, di prenderti il cuore e di strapparlo, di farlo a pezzi e tutto questo succedeva anche nel libro, anche se con una complessità drammatica superiore.
E poi c'è Paul Giamatti. Ecco, Giamatti è un genio e sfido chiunque a contraddirmi. Un attore capace di passare da produzioni indipendenti a quelle hollywoodiane senza per questo perdere un grammo della bravura che lo contraddistingue. E Paul Giamatti, in questo film, è Barney. Meno infantile, cattivo e volgare, ma pur sempre Barney. Lo è fisicamente, ne ha preso le sembianze e basta il suo volto sfatto e sconfitto per chiarirlo subito. Del resto Rosamund Pike (bellissima) è Miriam e Dustin Hoffman è Izzy Panofsky. E se rinunci alla forza della narrazione, alla stravaganza linguistica e al citazionismo storico/letterario, i personaggi sono l'ultima cosa che ti rimane e quei personaggi, seppur semplificati, sono nel film.
E allora ci si chiede: La Versione di Barney è o non è un film riuscito? Lo è, con tutti i suoi difetti, ma non è La Versione di Barney. Non fino in fondo, nonostante l'evidente fedeltà al soggetto. Sarebbe più corretto affermare che è una versione della Versione di Barney. Sarebbe potuto andare peggio, ma sarebbe potuto essere decisamente meglio. Quel che resta è un lungometraggio dignitoso e, se lo si guarda dimenticandosi del romanzo, addirittura buono. Al di là di ogni oggettivo difetto.
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