La vetrina degli Incipit - Aprile 2015

Creato il 01 maggio 2015 da La Stamberga Dei Lettori

L'incipit in un libro è tutto. In pochi capoversi l'autore cattura l'attenzione del lettore e lo risucchia nel vortice della storia. Oppure con poche banali parole lo perde per sempre...
Quanti libri, magari meritevoli, giacciono abbandonati dopo poche righe sui comodini di ogni lettore? E quanti altri invece sono stati divorati in poche ore perché già dalle prime righe non siamo più riusciti a staccare gli occhi dalle pagine? Anche questo mese vogliamo condividere con voi gli incipit dei libri che stiamo leggendo, perché alcuni di voi possano trarre ispirazione per le loro future letture e perché altri possano di nuovo perdersi nel ricordo di personaggi e atmosfere che già una volta li avevano rapiti...



***
«Sono in un cottage ed è autunno. La mano destra mi dà sui nervi, punti di sutura dappertutto, soprattutto il dito indice. È storto, adunco come un artiglio. Non riesco a non guardarlo. Si avvinghia alla biro, che scrive a inchiostro rosso. È un dito di una bruttezza fuori del comune. Peccato che io non sia mancino, una volta mi sarebbe piaciuto esserlo, e suonare il basso. Ma sono capace di scrivere a specchio con la sinistra, proprio come Leonardo da Vinci. E invece sto scrivendo con la destra e sopporto la mano deturpata e l’indice ripugnante. C’è profumo di mele, qui dentro, un forte odore di mele che sale dal vecchio tavolo al quale sono seduto, al centro della stanza in penombra. È la sera del primo giorno e ho aperto le persiane a una sola delle finestre. Il davanzale interno è pieno di insetti morti – mosche, zanzare, vespe – con zampe secche, sottili. E l’aroma fruttato mi dà un po’ di vertigini, la mia testa lucida libera qualcosa dentro di me, le ombre danzano lungo le pareti, al chiarore della luna che sta entrando dall’unica finestra, trasformando la stanza in un antiquato diorama. E come il padre di Ola, il barbiere di Solli Plass, che ai compleanni infilava sempre dal verso sbagliato la pellicola nel proiettore, così che ci toccava vedere tre film di Chaplin all’incontrario, ora io volto la schiena e vado all’indietro. E, senza che me ne renda conto, la pellicola dietro ai miei occhi si ferma su un fotogramma preciso, che io trattengo per qualche secondo, immobile, per poi dargli movimento, perché sono onnipotente. Gli do voci, suoni, odori e luci. Riesco a udire chiaramente la ghiaia che scricchiola sotto le scarpe mentre attraversiamo di soppiatto Vestkanttorget, a sentire il capogiro dopo un gran tiro di fumo, e sento ancora il gomito di Ringo che mi batte leggermente sul fianco, e ci fermiamo in fila tutti e quattro, e John indica una Mercedes nera e lucida, parcheggiata davanti al negozio di animali, il Naranja.»
Beatles, di Lars Saabye Christensen - Valetta

«La prima crisi depressiva di mia madre si verificò quando avevo sette anni, e io sentii che era colpa mia. Sentii che avrei dovuto prevenirla. Questo accadde circa un anno prima che mio padre ci lasciasse.»
Trauma, di Patrick McGrath - Antonio

«Questo libro non vuol essere né un atto d'accusa né una confessione. Esso non è che il tentativo di raffigurare una generazione la quale – anche se sfuggì alle granate – venne distrutta dalla guerra.
Siamo a riposo, nove chilometri dietro il fronte. Ci hanno dato il cambio ieri; oggi abbiamo la pancia piena di fagioli bianchi con carne di manzo, e siamo sazi e soddisfatti. Anche per la sera ciascuno ha potuto prenderne una gavetta piena; inoltre, doppia porzione di salsiccia e pane: tutto questo fa bene. Un fatto simile non ci era accaduto da un pezzo; il grosso cuciniere con la sua testa da pomodoro offre addirittura il cibo a chi lo vuole; a chiunque gli venga innanzi fa segno col suo mestolo e gli riempie la gavetta. È disperato perché non sa come vuotare la sua marmitta.
»
Niente di nuovo sul fronte occidentale, di E.M. Remarque - Sakura

«Ciò che è sinora accaduto alla stirpe romana nelle guerre, io l'ho raccontato, per quanto ho potuto, collegando tutta l'esposizione dei fatti con i debiti tempi e luoghi; ma d'ora innanzi non procederò nel tempo suddetto, poiché qui si narrerà quanto è avvenuto all'impero romano nel suo complesso. Di molti fatti riferiti nei libri precedenti sono stato costretto a tacere le cause, e il motivo è che non si poteva riferirne debitamente, perché ne erano ancora vivi i responsabili. Non potevo occultarmi al gran numero degli informatori; scoperto, non sarei scampato a morte atroce; e neppure nei più intimi tra i congiunti potevo riporre fiducia. E dunque si dovrà segnalare in questa sede quanto finora è rimasto non detto, e nei fatti le cause di quanto esposto nei libri precedenti. Ma la prova che mi si para dinanzi è insolita, quasi impossibile: trattare della vita di Giustiniano e Teodora. Ed eccomi tremante ed esitante, soprattutto al pensiero che quanto esporrò per iscritto ora ai posteri sembrerà inaffidabile o inverosimile. E quando poi l'ampio scorrere del tempo avrà dato alla mia voce un timbro antico, mi rimarrà il timore di essere considerato tra gli autori di storie inventate o di tragedie! Comunque non mi tirerò indietro dinanzi a un fardello così pesante, perché confido che le mie parole non cadranno nel vuoto. Gli uomini di oggi, ben informati sui fatti in questione saranno garanti per me sufficienti della mia affidabilità nei confronti del tempo a venire.»
Storie segrete, di Procopio di Cesarea - Polyfilo

«Non è per il tram. Il tram lo dovevo prendere per cinque anni alle sette di mattina. Ma non mi pesa. Mi pesa tutto quello che viene prima, quando sono ancora a casa al buio, e la luce non la poso accendere se no mia madre si sveglia e, visto che viene a letto così tardi, meglio di no; mi pesa che devo lavarmi al freddo perché il riscaldamento non è ancora partito,mettermi su il latte nel pentolino e stare attento quando sfigola che non si metta a bollire, se no esce tutto sul fuoco, ed è incredibile quanto puzza il latte quando cade sul fuoco. Veramente me la preparerebbe volentieri zia Elsa la colazione, ma siccome è molto grossa, se si alza troppo presto le gira la testa e potrebbe cadere. Mia madre mi ha detto:vuoi mica far cadere zia Elsa?»
Una barca nel bosco, di Paola Mastracola - Margherita

«"Tu irradi,ragazzo; più di chiunque altro abbia mai incontrato in vita mia", disse, mentre sistemava le valigie. "E il prossimo gennaio compirò sessant'anni."
"Come, come?"
"Hai una dote naturale", spiegò Hallorann, voltandosi.
"Io l'ho sempre chiamata l'aura. La chiamava così anche mia nonna. Lei la possedeva. Quando ero un bambino, della tua età, ce ne stavamo seduti in cucina e facevamo chiacchierate interminabili senza bisogno di aprir bocca."
»
Shining, di Stephen King - Chiara A

«"Come una gemma scintillante la città riposava nel cuore del deserto. Un tempo aveva conosciuto sviluppi e mutamenti, ma ora il Tempo le scorreva attorno senza toccarla. Il giorno e la notte s’inseguivano per la distesa del deserto, ma a Diaspar era sempre giorno e l’oscurità non scendeva mai." »
La città e le stelle, di Arthur C. Clarke - Tancredi

«Nel secondo secolo dell’era cristiana l’impero di Roma comprendeva la parte più bella della terra e gli elementi più civili del genere mano. Le frontiere di quella grande monarchia erano difese con antica fama e con disciplinato valore. La discreta ma potente influenza delle leggi e dei costumi aveva cementato a poco a poco l’unione delle province, i cui pacifici abitanti godevano e abusavano dei vantaggi della ricchezza e del lusso. La facciata di una costituzione libera veniva preservata con decorosa venerazione: il senato romano sembrava possedere l’autorità sovrana e delegava agli imperatori tutti i poteri esecutivi di governo. Per un felice periodo di oltre ottant’anni l’amministrazione pubblica venne diretta dal valore e dalle capacità di Nerva, Traiano, Adriano e dei due Antonini. È intento di questo capitolo e dei due che lo seguiranno descrivere le condizioni di prosperità del loro impero, e poi, a partire dalla morte di Marco Aurelio Antonino, desumere le circostanze più importanti della sua decadenza e caduta, rivoluzione che non sarà mai dimenticata e che ancora oggi è avvertita da tutte le nazioni della terra. »
Declino e caduta dell'impero romano, di E. Gibbon - Daniele

«— Io ho guardato con i suoi occhi, ho ascoltato con i suoi orecchi, e le dico che è l'unico. O almeno, il migliore che pos­siamo avere.
— Questo lo aveva detto anche del fratello.
— I test hanno rivelato che il fratello è inadatto. Per altre ragioni. Niente a che vedere con le sue capacità.
— Lo stesso per sua sorella. E su di lui ci sono dei dubbi. È troppo malleabile. Si adegua troppo volentieri alla volontà degli altri.
— Non se questi altri sono suoi nemici.
— E allora cosa dovremmo fare? Circondarlo di nemici giorno e notte?
— Se sarà necessario.
— Credevo d'averle sentito dire che questo bambino le piace.
— A confronto di ciò che gli potrebbero fare gli Scorpioni, io gli sembrerei uno zietto affettuoso.
— E va bene. Dobbiamo salvare il mondo, dopotutto. Lo prenda.
La donna del monitor sorrise con molta simpatia, gli scarruffò i capelli e disse:
— Credo proprio che tu non ne possa più di avere quell'orribile monitor, Andrew. Be', ho buone notizie per te. Oggi è l'ultimo giorno che lo porti. Adesso te lo leveremo, e non sentirai male neppure un poco.
Ender annuì. Che non gli avrebbero fatto male, naturalmente, era una bugia. Ma visto che gli a dulti dicevano sempre così quando faceva male, lui poteva basarsi su quella frase per un'accurata previsione di quel che lo aspettava. A volte le bugie risultavano più affidabili della stessa verità.
— Bene, Andrew, se vuoi venire qui, intanto puoi sederti sul lettino per le visite. Il dottore verrà a occuparsi di te fra un minuto.
»
Il gioco di Ender, di Orson Scott Card - Patrizia


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