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La vetrina degli incipit - Gennaio 2015

Creato il 01 febbraio 2015 da La Stamberga Dei Lettori

L'incipit in un libro è tutto. In pochi capoversi l'autore cattura l'attenzione del lettore e lo risucchia nel vortice della storia. Oppure con poche banali parole lo perde per sempre...
Quanti libri, magari meritevoli, giacciono abbandonati dopo poche righe sui comodini di ogni lettore? E quanti altri invece sono stati divorati in poche ore perché già dalle prime righe non siamo più riusciti a staccare gli occhi dalle pagine? Anche questo mese vogliamo condividere con voi gli incipit dei libri che stiamo leggendo, perché alcuni di voi possano trarre ispirazione per le loro future letture e perché altri possano di nuovo perdersi nel ricordo di personaggi e atmosfere che già una volta li avevano rapiti...


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«La settimana prima di lasciare la mia famiglia, la Florida e tutto il resto della mia vita da ragazzino per andare in un liceo-campus in Alabama, mia madre insisté per infliggermi una festa d’addio.
Dire che non mi aspettavo granché sarebbe sottovalutare clamorosamente la realtà. Ero stato più o meno obbligato a invitare tutti i miei “amici di scuola”, cioè l’accozzaglia di svitati del laboratorio di teatro e di secchioncelli intellettuali con cui condividevo, per esigenze sociali, la squallida mensa del mio liceo pubblico, ma sapevo che non sarebbe venuto nessuno. Eppure mia madre si incaponì, cullandosi nell’illusione che in tutti questi anni io le avessi nascosto la mia immensa popolarità. Preparò una ciotola di salsa di carciofi formato piscina.
Appese in salotto festoni verdi e gialli, i colori della mia nuova scuola. Comprò due dozzine di candeline pirotecniche e le dispose intorno al bordo del tavolino del soggiorno.
E alle 16.56 di quell’ultimo venerdì, quando i miei bagagli erano quasi pronti, si sedette sul divano del salotto insieme a mio padre e a me, e si mise ad aspettare pazientemente l’arrivo del Battaglione “Addio caro Miles”.
Detto battaglione si rivelò composto da due persone due: Marie Lawson, una biondina smilza con gli occhiali rettangolari, e il suo fidanzato Will, un tipo che definirò cicciottello per carità di patria.
Il bidone era pieno di acido solforico.»
»
Cercando Alaska, di John Green - Valetta

«Dieci anni senza mai tornare. Quando arrivo è quasi mattina e piove, una pioggia di traverso, gelida, che ti taglia la faccia. A Roccachiara è sempre così .Fa freddo e piove, oppure l’umidità è talmente densa che fa lo stesso, è come se piovesse. Mi incammino per la via principale del paese e tutto è uguale a come mi ricordavo, sembra una fotografia, non cambia mai.
Le case costruite una addosso alle altre, le inferriate dei negozi ancora chiusi, le stesse insegne di trent’anni fa. Le strade strette e desolate, i vicoli con le fioriere appese accanto alle porte. Non c’è nessuno, solo la pioggia. Tutto il resto è silenzio.
»
Acquanera, di Valentina D’Urbano - Cattivissima prof

«Come si arriva a questo misterioso Arcipelago? Aerei, navi, treni partono ogni ora per raggiungerlo, ma non portano alcuna scritta che indichi la destinazione. Gli impiegati agli sportelli, gli agenti del Sovturist e dell'Inturist sarebbero stupefatti se chiedeste loro un biglietto per l'Arcipelago. Non ne conoscono l'insieme, e neppure una delle sue innumerevoli isole; non ne hanno mai sentito parlare. Coloro che amministrano l'Arcipelago hanno fatto la scuola del M.V.D. Coloro che lo difenderanno sono reclutati dai commissariati militari. E coloro che vi moriranno, come voi e me, cari lettori, devono obbligatoriamente e unicamente passare attraverso l'arresto. L'arresto!! Occorre dire che è lo scompiglio di tutta la vostra vita? Che è un vero fulmine che si abbatte su di voi? Che è uno sconvolgimento spirituale inimmaginabile al quale non tutti possono assuefarsi e che spesso fa scivolare nella follia? L'universo ha tanti centri quanti sono gli esseri viventi che contiene.»
Arcipelago Gulag, di Aleksandr Solženicyn - Polyfilo

«Putrefazione. Era la putrefazione che si era impadronita di lei, rifletteva Tan’is mentre fissava sua figlia negli occhi.
Grida e imprecazioni, implorazioni e singhiozzi scuotevano l’aria mentre lunghe file di prigionieri riempivano la valle. L’odore del sangue e dell’urina addensava nel caldo di mezzogiorno. Ignorandolo completamente Tan’is si concentrò invece sul viso della figlia che, a terra, si stringeva alle sue ginocchia. Faith adesso era una donna adulta, aveva trent’anni e un mese. A uno sguardo distratto sarebbe anche potuta passare per sana, con gli occhi grigi e splendenti, le spalle scarne e le membra forti, ma ormai i Csestriim non generavano più bambini sani da secoli.
«Padre», supplicò la donna con le lacrime che le rigavano le guance.
Anche quelle lacrime erano un sintomo della putrefazione.
»
Le spade dell'imperatore, di Brian Staveley - Sakura

«Quand'ero ancora ad Amsterdam, per la prima volta dopo anni sognai mia madre. Ero rimasto confinato nella mia stanza d'albergo per più di una settimana, terrorizzato all'idea di chiamare chicchessia o di mettere il naso fuori, il cuore che fremeva e sussultava anche al più innocuo dei rumori: il campanello dell'ascensore, l'andirivieni del carrello del minibar, persino i campanili delle chiese che scandivano le ore, de Westertoren, Krijtberg, un clangore dai contorni vagamente oscuri, come i presagi di sventura delle fiabe. Durante il giorno me ne stavo sul letto e mi sforzavo di decifrare le notizie in olandese alla TV (impresa impossibile, dal momento che non conoscevo una parola di olandese) e, quando rinunciavo, mi sedevo accanto alla finestra a fissare il canale, il cappotto cammello gettato sui vestiti che indossavo, perché avevo lasciato New York in fretta e furia e le cose che avevo portato con me non erano abbastanza calde, nemmeno al chiuso..»
Il cardellino, di Donna Tartt - Morwen

«Non c’è liceo migliore del Nostra Signora del Nilo. Non ce ne sono neanche di più alti. 2500 metri, annunciano fieri i professori bianchi. 2493, corregge suor Lydwine, la professoressa di geografia. «Siamo così vicini al cielo» sussurra la madre superiora giungendo le mani.
Poiché l’anno scolastico coincide con la stagione delle piogge, il liceo si trova spesso tra le nuvole. Qualche volta, ma assai di rado, c’è una schiarita. Allora, giù in fondo, si intravede il grande lago come una pozzanghera di luce livida.
Il liceo è per le femmine. Loro, i maschi, restano giù nella capitale. È per le ragazze che il liceo l’hanno costruito così in alto, così distante, per tenerle lontane, per proteggerle dal male, dalle tentazioni della grande città. Perché le signorine del liceo sono destinate a un bel matrimonio. Ci devono arrivare vergini, se non rimangono incinte prima. Vergini è meglio. Il matrimonio è una cosa seria. Le convittrici del liceo sono fi­glie di ministri, di militari d’alto rango, di uomini d’affari, di ricchi commercianti. Il matrimonio delle loro figlie è un fatto politico. Le ragazze ne vanno fiere, sanno perfettamente quanto valgono. Sono lontani i tempi in cui contava solo la bellezza. In dote, le famiglie non avranno solo mucche o boccali di birra tradizionali, ma anche valigie traboccanti di banconote, un cospicuo conto in banca alla Belgolaise di Nairobi o di Bru­xel­les. Grazie a loro, la famiglia si arricchirà, il clan consolide­rà la sua potenza, la dinastia espanderà il suo dominio. Sanno perfettamente quanto valgono, le ragazze del liceo Nostra Signora del Nilo.
Il liceo è vicinissimo al Nilo. O meglio, alla sorgente. Per andarci, si prende un cammino sassoso che segue la linea delle creste. Si arriva così a un terrapieno dove stazionano le rare Land Rover dei turisti che si avventurano fin là. Un cartello indica: SORGENTE DEL NILO > 200 M. Un sentiero scosceso conduce a un ammasso di detriti da cui sgorga tra due rocce un esile ruscelletto. L’acqua della sorgente viene trattenuta in un bacino cementato, dopodiché una minuscola cascata la riversa in un rigagnolo indefinito di cui si perde subito traccia tra le erbe del versante e sotto le felci arborescenti della valle. A destra della sorgente, hanno eretto una piramide che reca l’iscrizione: SORGENTE DEL NILO. MISSIONE DI COCK, 1924. Non è molto alta la piramide: le ragazze del liceo toccano senza difficoltà la punta sbrecciata, dicono che porta fortuna. Ma non è per la piramide che le liceali vanno alla sorgente. Non ci vanno in gita, ci vanno in pellegrinaggio. La statua di Nostra Signora del Nilo si trova tra le grosse rocce a strapiombo sulla sorgente, sotto una baracca di lamiera. Non è proprio una grotta. Sullo zoccolo, hanno inciso: NOSTRA SIGNORA DEL NILO, 1953. È stato il monsignor vicario apostolico che ha deciso di erigerla. Il re aveva ottenuto dal sommo pontefice di consacrare il paese a Cristo Re. Il vescovo ha voluto consacrare il Nilo alla Vergine.
Nostra signora del Nilo, di Scholastique Mukasonga - Patrizia

«Bucati il polpastrello nella borsetta, non se ne accorgerà nessuno. Bevi il succo di frutta come se niente fosse, non svenire. Resisti, sii forte. Inserisci l'ago nella pelle mentre sei seduto al ristorante e tutti parlano, lascia che sembri un atto banale, come grattarsi un fianco.
Camuffa, menti, non si accorgeranno che sei uno di noi. Oppure, più semplicemente, lascia che ci scoprano.
»
L'altra sete, di Alice Torriani - Daniele

«Per tutti gli anni della mia triste giovinezza, Huysmans è stato per me un compagno, un amico fedele; non ho mai dubitato di lui, non sono mai stato tentato di abbandonarlo o di orientarmi verso un altro soggetto; poi, in un pomeriggio di giugno del 2007, dopo aver aspettato molto, dopo aver tergiversato a lungo, anche un po' più di uanto fosse accettabile, dscussi davanti alla commissione dell'università Parigi IV-Srbona la mia tesi di dottorato: Joris-Karl Huysmans, o l'uscita dal tunnerl. Già l'indomani mattina (o forse la sera stessa, non saprei, la sera della mia tesi fu solitaria, e molto etilica), capii che una parte della mia vita si era appena conclusa e che probabilmente era quella migliore.»
Sottomissione, di Michel Houellebecq - Tancredi

A quei tempi era sempre festa. Bastava uscire di casa e traversare la strada, per diventare come matte, e tutto era cosí bello, specialmente di notte, che tornando stanche morte speravano ancora che qualcosa succedesse, che scoppiasse un incendio, che in casa nascesse un bambino, e magari venisse giorno all'improvviso e tutta la gente uscisse in strada e si potesse continuare a camminare camminare fino ai prati e fin dietro le colline. – Siete sane, siete giovani, – dicevano, – siete ragazze, non avete pensieri, si capisce –. Eppure una di loro, quella Tina che era uscita zoppa dall'ospedale e in casa non aveva da mangiare, anche lei rideva per niente, e una sera, trottando dietro gli altri, si era fermata e si era messa a piangere perché dormire era una stupidaggine e rubava tempo all'allegria.»
La bella estate, di Cesare Pavese - Antonio


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