L'incipit in un libro è tutto. In pochi capoversi l'autore cattura l'attenzione del lettore e lo risucchia nel vortice della storia. Oppure con poche banali parole lo perde per sempre...
Quanti libri, magari meritevoli, giacciono abbandonati dopo poche righe sui comodini di ogni lettore? E quanti altri invece sono stati divorati in poche ore perché già dalle prime righe non siamo più riusciti a staccare gli occhi dalle pagine? Anche questo mese vogliamo condividere con voi gli incipit dei libri che stiamo leggendo, perché alcuni di voi possano trarre ispirazione per le loro future letture e perché altri possano di nuovo perdersi nel ricordo di personaggi e atmosfere che già una volta li avevano rapiti...
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«"Quattro," disse il Giaguaro.
Al chiarore incerto che il globo di luce diffondeva nel locale, attraverso le poche sfaccettature di vetro non ancora coperte di sudiciume, le espressioni dei visi si rilassano: il pericolo era passato per tutti, salvo che per Porfirio Cava. I dadi erano immobili, bianchi contro il suolo sporco, e segnavano tre e uno.
"Quattro," ripeté il Giaguaro. "Chi è?"
"Io," mormorò Cava. "Avevo detto quattro."
"Muoviti," replicò il Giaguaro. "Lo sai, la seconda a sinistra."»
«Il giorno in cui il mondo gli crllò addosso, il dottor Richard Kimble non si era fermato un attimo: da casa all’ospedale, dalla sala operatoria al giro in reparto senza un solo momento di pausa, neppure per mangiare un boccone. C’era abituato e non era stanco, anche se la giornata era stata particolarmente frenetica.»
«Stavo facendo un brutto sogno. Ero sola a bordo di un minibus diretto chissà dove, seduta su uno dei sedili posteriori. Avevo la sensazione di essere nel mezzo di un viaggio, senza una meta precisa.
Triste, avvilita, dirigo lo sguardo oltre il finestrino:un’enorme discarica a cielo aperto invade il mio campo visivo. Sacchi bianchi e blu ricoprono una vasta area desolata, terra e polvere turbinano nell’aria. Qua e là torreggiano cumuli di immondizie, dove spiccano sacchetti di plastica gonfiati dal vento simili a palloncini, che sembrano respirare e dimenarsi come fossero vivi.»
««Come si dice?... Come... Si dice…» «Eh, diavolo, c’est la question, ma très chère demoiselle! »
La moglie del console Buddenbrook, di fianco a sua suocera sul sofà dalle linee rigide, laccato di bianco e ornato da una testa di leone dorata, l’imbottitura rivestita di stoffa giallo-chiara, gettò un’occhiata al marito che le sedeva vicino su una poltroncina, e venne in soccorso a sua figlia, che il nonno teneva sulle ginocchia presso la finestra.
«Tony!» disse, «io credo che Dio…»
E la piccola Antonie, di otto anni, esile, in una vestina di leggerissima seta cangiante, distolta un momento dal viso del nonno la graziosa testa bionda, volse gli occhi grigio-azzurri verso la stanza sforzandosi di riflettere, senza veder nulla, e ripeté ancora: «Come si ice?», e lentamente «Io credo che Dio...»; poi, illuminandosi in volto, proseguì di corsa: «... mi ha creato insieme con tutte le creature»; d’improvviso era giunta sulla via liscia, e ora sdipanava raggiante e inarrestabile tutto il precetto di fede, secondo il catechismo nuovamente riveduto e, proprio allora, anno 1835, dato alle stampe con privilegio dell’alto e sapientissimo Senato. Una volta preso l’avvio, pensava, si aveva la stessa sensazione di quando d’inverno con i fratelli filava con lo slittino per lo Jerusalemsberg: s’andava giù senza pensare a niente, e non ci si poteva fermare, neanche volendo.
«... e inoltre,» disse, «vesti e calzature, cibi e bevande, casa e podere, moglie e figli, campi e bestiame...» Ma a queste parole il vecchio Monsieur Johann Buddenbrook scoppiò proprio a ridere, con il chiaro riso contento che di nascosto teneva in serbo. Rideva soddisfatto di poter canzonare il catechismo, e probabilmente aveva iniziato il piccolo esame solo con quello scopo. S’informò dei campi e del bestiame di Tony, le chiese quanto prendeva per sacco di frumento, e si offrì di combinare affari con lei. Il suo volto rotondo, roseo e bonario, al quale con la miglior buona volontà non riusciva a conferire un’espressione di cattiveria, era incorniciato da nivei capelli incipriati, e una sorta di codino appena appena accennato ricadeva sul largo collo della giacca grigio topo. Con i suoi settant’anni, era rimasto fedele alla moda della sua giovinezza; aveva solo rinunciato ai galloni fra i bottoni e alle grandi tasche, ma in vita sua non aveva mai indossato calzoni lunghi. Il suo largo doppio mento poggiava placidamente sul bianco jabot di pizzo.»
«Ecco, per stilare una classifica, le cinque più memorabili fregature di tutti i tempi, in ordine cronologico:
1) Alison Ashworth
2) Penny Hardwick
3) Jackie Allen
4) Charlie Nicholson
5) Sarah Kendrew
Ecco quelle che mi hanno ferito davvero. Ci vedi forse il tuo nome lì in mezzo, Laura? Ammetto che rientreresti tra le prime dieci, ma non c'è spazio per te tra le prime cinque; sono posti destinati a quel genere di umiliazioni e di strazi che tu semplicemente non sei in grado di appioppare. Questo forse suona più cattivo di quanto vorrei, ma il fatto è che noi siamo troppo cresciuti per rovinarci la vita a vicenda, e questo è un bene, non un male, per cui se non sei in classifica, non prenderla sul piano personale. Quei tempi sono passati, e che liberazione, cazzo; l'infelicità significava davvero qualcosa, allora. Adesso è solo una seccatura, un po' come avere il raffreddore o essere al verde. Se volevi veramente incasinarmi, dovevi arrivare prima.»
«Una pazza. era una pazza. La donna col vestito rosso che ballava sopra il tavolo era una pazza, gli dissero.
Questa sarebbe stata la prima informazione su di lei, se le parole fossero state più forti delle immagini: un polpaccio sodo, muscoloso e flessibile, dai contorni perfetti sotto le calze a rete da ballerina, migliaia di triangolini neri sul biancore della pelle come una minuscola scacchiera vista in diagonale, diamanti perfetti che risplendono nel vortice della danza.
Tutto il resto, l'ampia gonna rossa che volteggia sopra le teste, i capelli arricciati che si scompigliano a ogni movimento, le gocce di sudore sopra il labbro, il corpo scattante a ritmo della musica, i piedi nudi, lo sguardo ardente di uomini appoggiati contro la parete di un rosa acceso, a scolarsi un bicchiere di tequila dopo l'altro, l'atmosfera densa di risate complici, fumo di sigarette e marijuana, vapori di alcool, il locale affollato, l'aria irrespirabile e un giovane che tenta di farsi largo per portare l'ordinazione laggiù in fondo, in mezzo a sedie e tavolini che sbattono gli uni contro gli altri, concentratissimo nel tentativo di non sprecare una sola goccia del liquido incolore che porta nei bicchierini cilindrici, ditali di un azzurro incerto.»
«Per la prima volta nella sua vita, Alba sentì il bisogno di essere bella e rimpianse che nessuna delle splendide donne della sua famiglia le avesse lasciato in eredità i suoi attributi, e l'unica che l'aveva fatto, la bella Rosa, le aveva dato solo una sfumatura d'alga marina ai suoi capelli, che, se non era accompagnata da tutto il resto, sembrava piuttosto un errore del parrucchiere. Quando Miguel indovinò la sua inquietudine, la portò per mano fino al grande specchio veneziano che ornava un angolo della camera segreta; tolse la polvere dal vetro incrinato e poi accese tutte le candele che aveva e gliele mise intorno. Lei si rimirò nei mille frammenti dello specchio. La sua pelle, illuminata dalle candele, aveva il colore irreale delle figure di cera. Miguel cominciò ad accarezzarla e lei vide trasformarsi il suo volto nel caleidoscopio dello specchio e convenne infine che lei era la più bella dell'universo, perché aveva potuto vedersi con gli occhi con cui la vedeva Miguel.»
«L'acido desossiribonucleico, comunemente noto come DNA, è il mattone genetico fondamentale di tutte le creature viventi. La struttura del DNA viene scoperta e svelata, insieme al suo significato, a Cambridge, Inghilterra, nel 1952, e annunciata al mondo nel marzo 1953. Tuttavia non si tratta del primo DNA a fare la sua comparsa a Cambridge. Una anno prima, l'11 marzo del 1952, Douglas Noel Adams era nato in un ex ospizio vittoriano del luogo. Sua madre era un'infermiera, e suo padre uno studente di teologia che stava cercando di prendere i voti, per poi rinunciarvi quando i suoi amici riescono a convincerlo che si tratta di un'idea davvero pessima.»
«Il primo Impero Galattico era durato diecimila anni. Aveva regnato su tutti i pianeti della Galassia con un governo centralizzato, a volte tirannico, a volte benevolo; era stato sempre però una fonte d'ordine. Ogni essere umano aveva dimenticato che potesse esistere un altro tipo di governo.
Tutti tranne Hari Seldon.
Hari Seldon fu l'ultimo dei grandi scienziati del Primo Impero. Fu lui a sviluppare la psicostoriografia fino a farne una vera e propria scienza. La psicostoriografia era la quintessenza della sociologia; era la scienza del comportamento umano ridotto ad equazioni matematiche.»