L'incipit in un libro è tutto. In pochi capoversi l'autore cattura l'attenzione del lettore e lo risucchia nel vortice della storia. Oppure con poche banali parole lo perde per sempre...
Quanti libri, magari meritevoli, giacciono abbandonati dopo poche righe sui comodini di ogni lettore? E quanti altri invece sono stati divorati in poche ore perché già dalle prime righe non siamo più riusciti a staccare gli occhi dalle pagine? Anche questo mese vogliamo condividere con voi gli incipit dei libri che stiamo leggendo, perché alcuni di voi possano trarre ispirazione per le loro future letture e perché altri possano di nuovo perdersi nel ricordo di personaggi e atmosfere che già una volta li avevano rapiti...
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«“Oggi confusa”, annotarono sulla sua cartella. “Confusa. Meno confusa. Molto confusa”. L’ultima voce veniva riportata spesso, a volte abbreviata dalle infermiere con un semplice “MC” che la faceva sorridere, quasi fosse sufficientemente confusa da meritarsi una medaglia per questo. Anche il suo nome compariva sulla cartella – solo il nome di battesimo, Patricia, co-me se con la vecchiaia l’avessero degradata all’infanzia, negan-dole sia la dignità del cognome sia il titolo e la familiarità con la forma del suo nome che lei preferiva. La cartella le ricordava una pagella scolastica, con quelle piccole caselle e le catego-rie predefinite dentro le quali era così difficile racchiudere la reale complessità di una qualsiasi situazione. “Ortografia pes-sima”. “Scarsa attenzione e partecipazione”. “Oggi confusa”.
Giudizi che apparivano avulsi dalla realtà, distaccati, impossibili da contestare. «Ma Miss!», protestavano le ragazze negli ultimi anni. Lei non avrebbe mai osato farlo quando andava a scuola, né lo avrebbero fatto le studentesse disciplinate dei suoi primi anni di insegnamento. “Ma Miss!” era il prodotto di una crescente fiducia in se stesse, di un femminismo agli albori, e lei lo accettava anche se rendeva la sua giornata di lavoro più faticosa. Adesso avrebbe voluto protestare allo stesso modo con le infermiere che aggiungevano annotazioni: «Ma Miss! Oggi sono solo un po’ confusa!»»
«È una verità universalmente riconosciuta, che uno scapolo in possesso di un'ampia fortuna debba avere bisogno di una moglie.
Per quanto poco si possa sapere circa i sentimenti o i punti di vista di un uomo del genere al suo primo apparire nel vicinato, questa verità è così saldamente fissata nelle menti delle famiglie del circondario, da considerarlo di legittima proprietà di una o l'altra delle loro figlie. »
«“Andiamo.”
“Adoro ballare. Io non mi stanco mai di dimenare la carcassa.”
“Andiamo a dimenarla in altro modo.”
Loli gonfiò le guance per sorridere e soffiò verso l’alto scuotendo la frangetta alla Olivia Newton-John.
“Sei in calore.”
“E’ la mia giornata, bellezza.”.»
«La distanza fra vicolo Behler, dove abita, e il suo ufficio a Palazzo Yacoubian non supera i cento metri, ma ogni mattina Zaki bey al-Dusuqi impiega un’ora per salutare gli amici che incontra lungo la strada. Conosce per nome tutti i proprietari dei negozi di abbigliamento e di scarpe, i commessi e le commesse, gli inservienti e gli impiegati del cinema, i clienti del Caffè brasiliano, perfino i portieri, i lustrascarpe, i mendicanti e i vigili; Zaki bey li saluta e commenta con loro le ultime novità. È uno dei più antichi abitanti di via Suleyman pasha. Vi è arrivato verso la fine degli anni quaranta, dopo essersi laureato in Francia, e non l’ha più abbandonata. Gli abitanti del quartiere lo considerano un simpatico personaggio folcloristico. Sia in estate sia in inverno indossa un abito di due taglie più grandi che copre il suo corpo magro ed emaciato; il fazzolettino accuratamente stirato, dello stesso colore della cravatta, gli sporge sempre dal taschino della giacca; il prestigioso sigaro cubano dei bei tempi andati è stato sostituito da un dozzinale sigaro nazionale che ha un odore terribile e tira male. Il volto anziano e raggrinzito, gli spessi occhiali da vista, la dentiera smagliante e i capelli tinti di nero con le poche ciocche pettinate da sinistra per coprire la diffusa calvizie: in poche parole, Zaki al-Dusuqi è una leggenda. La sua presenza emana un’aura interessante e surreale (sembra poter scomparire da un momento all’altro, come un attore che si toglie gli abiti di scena per indossare i vestiti normali). E se a questo aggiungiamo lo spirito allegro, le barzellette sconce che racconta in continuazione, e la straordinaria capacità di attaccare discorso con chiunque, come se fossero tutti amici di vecchia data, risulta facile comprendere il segreto della calorosa accoglienza che tutti sulla strada gli riservano. Appena Zaki bey appare, verso le dieci del mattino, all’inizio di via Suleyman pasha risuonano da ogni lato i saluti di buongiorno. Molto spesso, alcuni dei suoi discepoli, fra i giovani commessi dei negozi, gli si precipitano incontro per interrogarlo scherzosamente su alcuni argomenti sessuali a loro oscuri. Zaki bey allora, ricorrendo alle sue enciclopediche conoscenze, spiega loro (nei minimi dettagli e in tono voluttuoso, in modo che tutti possano udire) i più reconditi segreti del sesso. Qualche volta chiede carta e penna (che gli vengono consegnate in un batter d’occhio) per disegnare esplicitamente certe curiose posizioni erotiche che lui stesso ha sperimentato in gioventù.»
«Le station wagon arrivarono a mezzogiorno, lunga fila lucente che attraversò il settore occidentale del campus. In fila indiana girarono con cautela attorno alla scultura metallica a forma di I, color arancio, dirigendosi verso i dormitori. I tetti delle auto erano carichi di valigie assicurate con cura piene di abiti leggeri e pesanti; scatole di coperte, scarponi e scarpe, cancelleria e libri, lenzuola, cuscini, trapunte; tappeti arrotolati e sacchi a pelo; biciclette, sci, zaini, selle inglesi e western, gommoni già gonfiati. A mano a mano che rallentavano fino a mettersi a passo d’uomo e infine a fermarsi, saltavano fuori velocissimi gli studenti che si precipitavano agli sportelli posteriori per cominciare a scaricare gli oggetti sistemati all’interno: gli stereo, le radio, i personal computer; piccoli frigo e fornellini portatili; scatole di dischi e cassette; asciuga ed arricciacapelli; racchette da tennis, palloni da calcio, mazze da hockey e da lacrosse, frecce ed archi; sostanze illegali, pillole e strumenti anticoncezionali; junk food ancora nei sacchetti della spesa: patatine all’aglio e alla cipolla, nachos, tortini di crema di arachidi, wafer e cracker, cicche alla frutta e popcorn caramellato; gazzose Dum-Dum, mentine Mystic.»
«Era nata a Napoli nel 1575, dietro le spesse mura del forte Sant'Elmo, di cui suo padre era governatore. Don Alvaro, stabilitosi ormai da lunghi anni nella penisola, si era conquistato il favore del viceré ma anche l'ostilità del popolo e quella dei membri della nobiltà campana che mal sopportavano gli abusi dei funzionari spagnoli. Nessuno peraltro contestava la sua integrità né l'eccellenza della sua stirpe. Con l'appoggio del cardinale Maurizio Carafa, suo parente, aveva sposato la nipote di Agnese di Montefeltro, Valentina, ultimo fiore di una razza privilegiata che in lei aveva esaurito la sua linfa.
Valentina era bella, il viso luminoso, la figura sottile: la sua perfezione scoraggiava i rimatori delle Due Sicilie. Preoccupato del pericolo che una tale meraviglia faceva correre al suo onore e per natura incline a diffidare delle donne, Don Alvaro le imponeva un'esistenza quasi claustrale e gli anni di Valentina si dividevano tra le melanconiche tenute che il marito possedeva in Calabria, il convento d'Ischia, dove trascorreva la Quaresima, e le camerette a volta della fortezza, dove, nelle segrete, marcivano i sospetti di eresia e gli avversari politici.»
«"Chiediamolo a Jimmy", disse Outspan, "Jimmu lo sa di sicuro."
Jimmy Rabbitte se ne intendeva di musica. Se ne intendeva eccome. Quando andava in centro, mai che lo si vedesse tornare a casa senza un nuovo album o un LP o come minimo un singolo. Leggeva Melody Maker e New Musical Express tutte le settimane, se li divorava, e Hot Press ogni due settimane. Ascoltava Dave Fanning e John Peel. Leggeva perfino Jackie, la copia di sua sorella, se nessuno lo vedeva. E allora era chiaro che Jimmy se ne intendeva.
L'ultima volta che Outspan aveva dato un'occhiata ai dischi di Jimmy, ci aveva trovato dei nomi come Micro-disney, Eddi e gli Hot Rods, Otis Redding, gli Screaming Blue Messiahs, Scraping Foetus off the Wheel («Feto», aveva detto Outspan. "È il bambino dentro la donna, no?"
"Eh", aveva detto Jimmy
"Aah, ma che roba, cazzo, fa schifo"). Era tutta gente che Outspan non aveva mai sentito nominare, figuriamoci se aveva sentito la loro musica. C'erano perfino degli album di Frank Sinatra e dei Monkees. Perciò quando Outspan e Derek decisero, mentre Ray era al cesso, che il loro gruppo aveva bisogno di una svolta, tutti e due avevano pensato a Jimmy. Jimmy se ne intendeva. Jimmy sapeva che cosa c'era di nuovo, che cosa era nuovo ma non lo sarebbe stato per molto e che cosa non lo era ancora ma stava per diventarlo. Jimmy aveva Relax quando ancora nessuno aveva mai sentito parlare di Frankie Goes to Hollywood, e aveva cominciato a parlarne male mesi prima che si capisse che non valevano niente. La sapeva lunga, Jimmy, in fatto di musica..»
L’11 settembre 2001 quattro aeroplani dirottati da 19 terroristi arabi si schiantarono contro le Torri Gemelle a New York, contro il Pentagono a Washington e solo per poco non riuscirono a distruggere anche la Casa Bianca o il Campidoglio. Fu il più grande attacco subìto dagli Stati Uniti d’America sul proprio suolo dopo quello di Pearl Harbor, nel 1941, una devastazione che provocò la morte di quasi 3.000 persone e mise in ginocchio la più grande potenza mondiale. Fu anche la tragedia meglio documentata della storia.
Ciò nonostante, a sei anni di distanza da quegli eventi, un sondaggio della Scripps News Service e dell’Università dell’Ohio rivelava che un americano su tre era convinto che dietro gli attentati ci fosse, in un modo o nell’altro, il Governo statunitense. Negli anni seguenti, la percentuale è scesa, attestandosi però pur sempre tra il 6 e il 15% nel 2010. Già il giorno dopo, con le ceneri ancora fumanti, si diffuse la prima insinuazione.»